Ōtagaki Rengetsu

Ōtagaki Rengetsu (大田垣 蓮月) non ebbe una vita facile. Poeta, calligrafa, ceramista, si manteneva con la produzione di bellissime tazze e teiere, su cui incideva, oppure scriveva sullo smalto, i suoi waka. Con il termine waka (和歌 letteralmente “poesia giapponese”) si intende una forma poetica in 31 sillabe divise in 5 versi di 5-7-5-7-7 sillabe rispettivamente.

Nacque il 10 febbraio 1791 a Kyoto e nella medesima città morì il 10 dicembre 1875. Pare sia stata figlia segreta di una geisha, e quando sia la madre che il fratellastro morirono, fu adottata da una famiglia di samurai. Trascorse la sua prima infanzia nel tempio principale della scuola Jōdo e a dieci anni si trasferì nella zona di Hirado, dove lavorò come dama di corte. Sposò Mochihisa, un giovane samurai adottato dal padre e, nell’anno successivo al matrimonio, diede alla luce tre bambini, che però morirono di lì a poco. Il marito era dedito all’alcol e non le era fedele. Si separarono dopo poco tempo, e in seguito rimase vedova. Fino all’età di sedici anni visse nel castello di Kameoka come dama di corte; durante la sua permanenza, Otagaki eccelse nella poesia waka, in quanto era un modo classico di comporre versi particolarmente popolare tra le donne durante il periodo Edo. Quando anche il secondo marito e i due figli nati dal loro matrimonio morirono, divenne una monaca buddhista. Proprio nella notte in cui morì il secondo marito, lei si tagliò i capelli, palesando, in tal modo, la decisione di dedicarsi alla vita monacale e di non sposarsi mai più. Aveva trentatré anni e aveva perso tutti i suoi cinque figli; affranta decise di prendere il nome di Rengetsu, Loto di Luna, e divenne monaca della setta buddista della Terra Pura. Non a caso scelse tale nome visto che il significato spirituale del fiore di loto è purezza, gentilezza, compassione, buon cuore e illuminazione del sentiero spirituale. Il fiore di loto cresce al di sopra di un’acqua fangosa, granulosa e sporca e questo parallelismo con la sua esistenza cupa evidenzia come lei volesse superare le difficoltà vissute, elevarsi e rifiorire nel suo animo proprio come un fiore di loto. Le radici si sviluppano in acque impure, ma la bellezza del fiore rimane intatta. Conosciuta per le sue, diciamo così, “tre dimensioni”: monaca buddhista, poeta e ceramista, è ricordata come una delle più straordinarie figure del panorama artistico giapponese del diciannovesimo secolo. Il suo stile di ceramica, detto Rengetsu, è diventato molto popolare dopo la sua morte e si è tramandato fino a oggi, la superficie è ruvida e irregolare e lei modellava principalmente vasi, tazze per il tè e bottiglie di sakè incidendovi versi sparsi con kana rotondeggianti che infondevano a ogni opera uno stile unico e che tendeva a una semplicità intensa.

Coppia di bottiglie di sakè
Tazza per il tè

Amava la natura e da essa traeva emozioni che condivideva. Lo testimoniano diverse sue opere e scritti. Ne ricordiamo uno ad esempio sui ciliegi, alberi tanto legati alla cultura giapponese:

«I fiori di ciliegio cadono all’apice della loro bellezza
per insegnare in questo mondo ai nostri cuori
a liberarci dagli attaccamenti».

In quanto alla calligrafia sulle tazze e nei tanzaku possiamo senz’altro dire che rispecchia pienamente il suo caratteristico stile, che unisce eleganza e delicatezza a una rotondità dei tratti che evoca subito un senso di grande apertura. Era un donna molto umile e delicata, sensibile nei rapporti umani. Tra gli esempi c’è una lettera diretta a Tomioka Tessai (1836-1924) che in seguito sarebbe diventato il più famoso letterato di Kyoto, particolarmente capace nella pittura e nella calligrafia, ma che allora era un giovane letterato che Ōtagaki Rengetsu aiutava scrivendo waka su alcuni suoi dipinti, e nella lettera gli scrive: «Ti immagino molto occupato, ma ti prego lo stesso di dipingere per me su questi cinque fogli. Mi rammarica sapere che non ne ricaverai molto, comunque mi auguro che tu possa accontentare la mia richiesta. Ti pregherei di dipingere bambù e pini sui fogli contrassegnati e dei kinuta sui due fogli non contrassegnati. Verrò a trovarti presto». Rengetsu, ormai avanti con gli anni, aveva conquistato più fama di quanta ne desiderasse, mentre Tessai era ancora uno sconosciuto. In queste poche righe traspare quanta delicatezza lei avesse nel lasciar intendere che fosse lui a fare un piacere a lei!

Le sue opere sia in ceramica che negli scritti risultano assai delicate e sofisticate, con calligrafie leggere che non rispecchiano affatto la durezza della vita dell’artista anzi sembrano quasi volerla esorcizzare.

Teiera tradizionale giapponese decorata con un waka di Otagaki Rengetsu

Nella sua poetica, Rengetsu prediligeva la celebrazione di ciò che sperimentava nella vita di tutti i giorni, univa gli aspetti spirituali con quelli tangibili. Molto della sua peculiarità si deve all’istruzione poliedrica: infatti imparò fin da adolescente le arti marziali come l’uso di spada, lancia, falce e catena, ma anche letteratura, poesia, calligrafia, ikebana, la cerimonia del tè. Come ceramista fu autodidatta. Amava conoscere il mondo e si procurava da sola l’argilla per creare le sue ceramiche da lavorare proprio durante i suoi viaggi. Così come Bashō e altri poeti itineranti, Rengetsu accettava le difficoltà di ogni viaggio e rimaneva colpita dalla magnificenza della natura, che la ispirava; questo traspare soprattutto nelle sue poesie.

Rengetsu cercò di guadagnarsi da vivere come insegnante, ma per la sua natura solitaria, preferì rinunciarvi. Il suo aspetto fisico pare fosse talmente bello che, nonostante la veste monacale, veniva spesso importunata dagli uomini. Al fine di rendersi meno attraente, intorno ai quarant’anni prese la drastica decisione di estrarsi tutti i denti. Tomioka Tessai fece un ritratto di Rengetsu come monaca anziana nella primavera del 1877, circa due anni dopo la sua morte, con questa iscrizione: «Dall’infanzia era saggia, brava nelle poesie giapponesi e imparò le arti militari». Durante la sua travagliata esistenza la poeta perse pure due fratelli adottivi; nelle sue opere dunque espresse spesso intensa malinconia dovuta a queste perdite durante l’arco come in questi dolenti versi:

«I miei figli… Io ero solita accarezzare
I loro capelli dormienti nel mattino
Sdraiata sulla mia manica –
La rugiada bianca sui fiori di rosa».

Nel 1832, quando Rengetsu aveva 42 anni, Saishin, l’unico padre che avesse mai conosciuto, morì all’età di 78 anni. Rengetsu, pur affranta dal dolore e, sola, in una cultura nipponica del tutto maschilista, dovette mettersi in gioco ancora per potersi mantenere. Dai suoi scritti, sia da monaca che come artista, emerge nonostante tutto una insita capacità di autoironia, molta onestà di intenti e uno stile semplice sia di vita che di contenuti che traspare pure nella linearità delle sue ceramiche.

Cestino sospeso

Visse in umiltà, vendeva le sue opere ovunque potesse, come espresso in questa poesia:

«Come un passatempo
Portare goffo
Cose fragili da vendere
Mercato di Uruma –
Che sola!».

Persone di ogni ceto sociale seppero apprezzare le sue opere, tanto che l’artista dovette muoversi costantemente per evitare di avere il suo lavoro interrotto dalle richieste, e decise di trascorrere la maggior parte del tempo nel distretto di Okazaki vicino alle montagne orientali di Kyoto. Non a caso perché molti dei grandi forni di Kyoto (come Kiyomizu e Awataguchi) erano abbastanza vicini. Di conseguenza, collaborò con diversi noti ceramisti, tra cui Kuroda Kouryou del forno Koryouzan e Kinkouzan VI (1824-1884). Anche la sua abilità con il pennello negli anni crebbe. La sua delicatezza di linee iniziò ad assumere un ritmo magistrale e a riflettere la grazia e l’energia interiore della sua vita. Incise i dipinti di molti famosi pittori di Kyoto, in particolare quelli della scuola Shijou, una linea fondata da Matsumura Goshun (1752-1811) e Maruyama Okyo (1733-1795). Tra loro c’era Tomioka Tessai (1837-1924), con il quale aveva una relazione straordinariamente stretta, Wada Gozan (1800-1875), Nakajima Raisho (1796-1871), Mori Kansai (1814-1894), Kishi Chikudo (1826-1897), Hasegawa Gyokuho (1822-1879), Shiokawa Bunrin (1801-1877) e Reizei Tamika (1823). Divenne anche ben nota nei circoli ecclesiastici, viaggiando in molti templi per riunioni e brevi soggiorni. Era un’avida corrispondente e sono a noi pervenute oltre trecento lettere conservate in vari luoghi. Dai suoi scritti emerge che era filo-monarchica. Non era affezionata allo shogunato Tokugawa e nutriva grande simpatia per l’imperatore, sperando che avrebbe preso di nuovo il timone degli affari di governo. Soprattutto era una pacifista, che sosteneva il rispetto reciproco e la gentile persuasione nella risoluzione dei conflitti. Passò alla storia come lei si prodigò e implorò alla moderazione il generale Shimazu Tadayoshi (1840-1897). L’artista infatti credeva nella bontà dell’essere umano e promuoveva il dialogo come mezzo per risolvere controversie. Celebre è l’episodio in cui prega Shimazu Tadayoshi, daimyō di Satsuma, di evitare la violenza vista la rivolta in atto. Lei nascose un monarchico, che aveva fatto arrabbiare lo Shogun ed era in fuga. La sua dolce fede nella buona volontà umana è evidente in questa poesia, composta intorno all’arrivo delle navi nere dell’ammiraglio Perry nel 1853 e al suo ritorno nel 1854:

«In arrivo
Come la pioggia di primavera che cade
L’America sarà gentile
Come umidità per la terra
Per il bene della nostra gente».

Traeva ispirazione per le sue opere da ogni situazione, ogni fiore, animale o persona incontrati sulla sua strada che le era preziosa.
Il risultato sono poesie e opere d’arte che non risultano essere puramente decorative o di qualità estetica apprezzabile, ma che trasmettono forza e sono infuse di energia, rappresentano lo spirito di chi ha visto e sperimentato la vita con tutto il suo essere. Con l’avanzare degli anni, l’artista iniziò ad esprimere, a volte comicamente, a volte malinconicamente, le difficoltà, fisiche ed emotive, dell’invecchiamento. In questa poesia mostra la sua continua sorpresa mentre ogni nuovo anno arriva, richiedendole, come dice l’usanza, di mangiare più fagioli (uno per ogni anno) a Setsubun, un festival intorno all’inizio della primavera.

«Quando ho visto i fagioli
Riempire i miei palmi
E fuoriuscire Ho dovuto chiedermi:
– È stato per qualcun altro?».

Nella seguente Renegstu lamenta l’invecchiamento del proprio corpo:

«Quante volte devo dormire
Prima che arrivi la primavera?
Conto sempre i giorni sulle dita
Ma ora, alla fine di un altro anno
La mia schiena è più piegata di loro».

Intorno ai 75 anni, Rengetsu sapeva che i suoi lunghi periodi di viaggio e i suoi movimenti costanti avrebbero dovuto cedere il passo a una vita più tranquilla. Fu così che l’abate Wada Gozan (1800-1870), noto anche come Gesshin (Luna Mente), le offrì di stare nel suo santuario. Nel 1865 si stabilì in una piccola capanna nei recinti di Jinkou’in (Tempio della Luce Celeste), nel piccolo villaggio di Nishigamo, a poca distanza da Kyoto, dove visse fino al decesso o meglio da lei chiamato “passaggio” nel 1875. Gli ultimi dieci anni dell’esistenza sono stati di gran lunga il periodo più artisticamente produttivo: lavorava con poche interruzioni in un luogo remoto, tranquillo, spirituale, circondato da pini, uccelli e stagni. Collaborò con Gozan che era un pittore e poeta, e quando lui morì nel 1870, lei soggiornò a Jinkou’in con il patrocinio di suo figlio, Wada Chiman (1835-1910).

L’artista, in tutti i luoghi dove è stata, ha lasciato un buon ricordo, ma soprattutto a Nishigamo, era stata molto amata, dove aveva vissuto per un decennio e aveva prestato particolare attenzione a bambine e bambini del villaggio, usando le sue risorse per alleviare la sofferenza e fornire insegnamento a molti/e. La sua morte fu motivo di grande dolore tra gli abitanti del villaggio, che si prodigarono per la preparazione del suo corpo per la sepoltura. Ancora oggi è comunque rammentata come una delle “luci più brillanti” del XIX secolo di Kyoto. Tuttora nella processione annuale del Jidai Matsuri (Festival delle Ere) si presenta un attore in costume che interpreta la giovane Rengetsu. I suoi atti di carità sono anche ricordati, come quando lei e Wada Gozan hanno prodotto 1.000 immagini di Kan’non, Bodhisattva della Misericordia, e li hanno venduti per raccogliere fondi per le vittime delle inondazioni. Le sue opere sono diffuse ampiamente e sono state esposte nel corso degli anni e i sacerdoti di Jinkou’in sono tradizionalmente utilizzati per la loro perizia di autenticatori. Vi sono diverse leggende e storie su di lei pure attraverso la tradizione orale di Kyoto e la leggenda narra, ad esempio, che una volta ogni famiglia locale avesse un esemplare di una sua opera d’arte.

Sono stati editi a oggi due particolari volumi del suo lavoro: A Poetry Album of Two Ladies (Rengetsu Shikibu Nijo Wakashuu), pubblicato da Kinbyoudou nel 1868, contenente 99 poesie, 48 di Rengetsu e 51 del suo amico Takabatake Shikibu (1785-1881) e A Seaweed Diver’s Harvest (Ama no Karumo), pubblicato da San’eidou, c. 1871, contenente 310 poesie. Le sue poesie hanno ricevuto consensi anche ai giorni nostri ed è annoverata tra i precursori di tanka (verso moderno in metro tradizionale) e persino dello shousetsu watakushi (i-novel). Come queste forme letterarie, la poesia di Rengetsu infatti spinge i confini del vocabolario tradizionale, della sintassi e della forma, spesso usando l’esperienza emotiva dell’autore o dell’autrice come soggetto. I maestri moderni e i praticanti della cerimonia del tè continuano a usare i suoi utensili e pergamene. E recentemente, la sua poesia e i suoi manufatti hanno raggiunto la scena internazionale. Musei in Australia e negli Stati Uniti hanno ospitato mostre del suo lavoro e altre sono in programma in Europa, America Latina e Africa. La Rengetsu Foundation ha tradotto tutte le sue opere pubblicate e alcune nuove poesie scoperte sulle opere d’arte stesse. Più di 900 poesie sono disponibili in inglese e giapponese nel database di ricerca online (www.rengetsu.org). Sono in corso piani per tradurle in altre lingue nei prossimi anni, a partire dal tedesco e dall’italiano, e aggiungerle alla banca dati. La Fondazione evidenzia: «crediamo che il suo spirito rimanga accessibile… tenendo una delle sue ciotole da tè, le persone possono sentire, con la punta delle dita, le impressioni che Rengetsu ha lasciato di e con sé quando lo ha modellato. Leggere una sua lettera su una visita in un giardino ricorda un modo di pensare prevalente nella storia umana, ma quasi perso in questa epoca moderna: l’assunto che le nostre vite siano intrecciate con la natura. Infine, le sue poesie continuano a offrire il semplice piacere del verso e la dimostrazione di un’idea profonda: che la sofferenza e la gioia, prese insieme, ci danno la capacità di vedere con amore».

Qui le traduzioni in francese, spagnolo e inglese.

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Articolo di Cinzia Boschiero

Laureata in Lettere, è giornalista professionista e docente, specializzata su temi europei nei settori ricerca, salute e innovazione. È titolare di ECPARTNERS e lavora come ufficio stampa per diversi enti, associazioni, imprese e come specialista della formazione. Fa parte del direttivo di EUSJA (Ass. europea giornalisti scientifici) e di diverse ass. femminili, come WILEUROPE, EWMD, Fondazione Bellisario.

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