Pornografia e violenza, studi sulle nuove generazioni europee

Entrando in una qualunque delle nostre classi del corso professionale in manutenzione e assistenza tecnica, nelle quali non si vede una ragazza da decenni o forse non si è proprio mai vista, noi tutte sappiamo di dover combattere, prima ancora di iniziare a fare lezione, contro l’idea che, in quanto donne, valiamo poco o niente. Anzi, mi correggo, valiamo se abbiamo meno di quarant’anni, un bel culo e un giro-tette di un certo diametro, altrimenti siamo poco più che soprammobili dietro una cattedra. La laurea? Un pezzo di carta di nessun valore. Il ruolo di docente? Pura formalità. Cultura e cervello? Orpelli inutili per una donna. Nel 2025. Nella civilissima e modernissima Lombardia. Non sto esagerando, qui i nostri studenti si salutano al lunedì mattina, chiedendosi reciprocamente “quante tipe si sono sbattuti” nel fine settimana.

All’ultima Assemblea d’Istituto, organizzata con la collaborazione delle psicologhe scolastiche, alla domanda: «Cosa avreste fatto se la vostra ragazza vi avesse mandato in bianco, dopo che voi vi eravate fatti un altro film?», la risposta più sobria, seguita da entusiastico scroscio di applausi e risate, è stata: «Mi sarei cercato un altro buco più aperto». La metafora è più che esplicita, il concetto agghiacciante, tanto più che è stato espresso in una riunione di quasi mille studenti e studentesse, alla presenza di numerosi/e docenti di ambo i sessi. Perché? Cosa sta accadendo? Come possiamo essere tornati così indietro, dopo tutti gli anni dedicati all’educazione all’affettività e alle campagne del 25 novembre? Le psicologhe del servizio scolastico, le professioniste dell’Asl e la pedagogista che mi fa da consulente per i casi più problematici danno da tempo la stessa lettura del fenomeno. E nemmeno si conoscono tra loro. Cooperative, Centri di Ricerca, Associazioni ed Enti Sociali sono giunti alla medesima conclusione, partendo da presupposti differenti e portando avanti percorsi diversi. Significa che, sul nostro territorio, un settore intero (quello delle realtà che si occupano di interventi psico-socio-educativi) ha un’idea molto chiara delle responsabilità legate al dilagare di questa cultura becera e misogina. Il principale imputato ha un nome preciso: pornografia online. Il Sole24ore, il 13 settembre 2024, pubblicava un articolo in cui si evidenziava la costante crescita del consumo di pornografia in Europa.

Secondo un report di Pornhub, la Francia è prima in classifica, seguita da Regno Unito, Germania, Italia e Spagna. Gli fa eco Scienza in rete, che sottolinea come negli ultimi anni si è assistito a un crescente consumo di pornografia mainstream online e alla diminuzione dell’età dei suoi consumatori. Su uno dei canali ufficiali Ansa, troviamo dati allarmanti. Il 52,2% dei/lle giovani dichiara di aver appreso più sulla sessualità da Internet che dalla scuola. Se hanno dubbi, il 52,7% di loro cerca risposte online, mentre solo il 27,8% si rivolge ai genitori. Colpisce però un dato: le differenze di genere sono molto significative. I ragazzi europei sono più esposti ai contenuti pornografici rispetto alle ragazze (il 40,3% contro il 18,4% nella fascia 16-19 anni). Il 70% dei giovani di ambo i sessi ritiene che la pornografia influenzi le aspettative su sesso e relazioni e le ragazze sembrano percepire maggiormente l’impatto del fenomeno. Le femmine sentono cioè che le aspettative dei rispettivi compagni sono assolutamente lontane dall’immaginario romantico che invece loro hanno in mente.

L’Economy Magazine, in una ricerca che parte dalla letteratura internazionale a riguardo, sottolinea il legame tra pornografia e violenza. La pornografia di oggi è infatti molto diversa di quella di vent’anni fa. Oggi essa propone un modello non soltanto estremo di rapporto sessuale, ma anche violento, in cui la donna è sempre oggetto di atti aggressivi e intimidatori da parte del partner. La donna viene spogliata senza riguardi, picchiata, morsa, schiaffeggiata, a volte frustata e fisicamente calpestata. Non si tratta mai solo di avere un rapporto sessuale: si tratta di ottenerlo con la forza o di viverlo come un atto di sottomissione/prevaricazione. Il messaggio che veicolano tali contenuti lega la sfera del piacere a quella della violenza e del sadismo, l’eccitabilità al dominio assoluto della componente femminile. Sempre studi dell’Economy Magazine rivelano che gli uomini che accedono a questo tipo di pornografia, che ormai è la più diffusa, sono meno soddisfatti della loro vita, hanno più sintomi depressivi e una peggiore immagine di sé. Inoltre, tra gli uomini che si espongono alla pornografia online, si registrano livelli più elevati di aggressività, assunzione di alcolici o droghe.

Una recente ricerca nazionale sugli adolescenti, condotta dal gruppo Musa del Cnr ha dimostrato che l’uso precoce di pornografia online produce effetti dissimili su maschi e femmine: negativi sui primi, laddove si enfatizza e si esaspera il sessismo, e positivi, ovvero emancipativi, sulle seconde. Le ragazze che si vedono trasformate nei video pornografici in meri oggetti di piacere di cui servirsi senza freni, anche attraverso la violenza, sviluppano maggior rispetto e consapevolezza di sé stesse e una indisponibilità a farsi sfruttare e mortificare sessualmente. Creano, cioè, una sorta di “coscienza di genere” che le lega le une alle altre nella comune convinzione di desiderare altro e di meglio dal sesso. Forse è proprio da questo concetto che dovremmo partire con ragazzi e ragazze: c’è di meglio. La questione da affrontare con loro non è più, come cinquant’anni fa, se il sesso vada fatto o meno, ma piuttosto come, perché e a che condizioni. Occorre valorizzare i concetti di consenso, parità, gentilezza, condivisione, rispetto, attenzione, delicatezza. Insistere sul concetto di sesso come gioco alla pari, esperienza piacevole e divertente per entrambi, senza assurde asimmetrie.

Da qualche anno, nelle scuole, si registra una crescente cultura della relazione affettiva sbilanciata, in cui l’uomo tiranneggia la donna, la umilia sessualmente e non solo, la maltratta, la riduce a mero oggetto del piacere. Le iniziative di educazione sessuale negli istituti scolastici sembrano influire molto poco, comunque assai meno rispetto ai contenuti del web. Cosa fare, quindi? A mio avviso, due sono i principali fronti sui quali bisognerebbe agire: formulare leggi restrittive su tutto il settore della pornografia, che limiti il più possibile la produzione di contenuti violenti legati alla sessualità. Un conto è l’erotismo spinto, altro la violenza di genere. Non possiamo più esporre adolescenti e giovani a tali contenuti senza aspettarci conseguenze sempre peggiori. La seconda azione riguarda le pubblicità, anch’esse foriere di distorsioni di genere ancora molto forti, figlie di un patriarcato che non muore. Basta donne ammiccanti e mezze nude, che promuovono prodotti che nulla hanno a che fare con il corpo femminile; basta slogan che alludono alla fruizione del corpo delle ragazze per mero piacere maschile; basta misoginia conclamata. I movimenti femministi, ormai più di cinquant’anni fa, hanno abbattuto moltissime barriere, aperto strade nuove, ottenuto leggi e diritti, chiesto e spesso ottenuto pari dignità in parecchi campi della società. Ora occorre fare un altro, fondamentale passo avanti: per incidere sui ragazzi e le ragazze, bisogna andare a prenderli laddove si trovano. Bisogna entrare nel web e iniziare a sporcarsi le mani anche lì. A volte dire NO è molto più progressista di mille sì.

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Articolo di Chiara Baldini

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Classe 1978. Laureata in filosofia, specializzata in psicopedagogia, insegnante di sostegno. Consulente filosofica, da venti anni mi occupo di educazione.

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