Ormai è più di una settimana che Roby non si vede in classe. Proprio lui che si sveglia alle 5.30 ogni mattina, pur di non perdere l’autobus che lo porta a scuola. La sveglia lo sorprende sempre profondamente addormentato, imbottito com’è di farmaci di cui non può fare a meno, eppure lui salta in piedi come un grillo, si lava, si veste, trangugia qualche cucchiaio di latte con i biscotti e, zaino in spalla, attende il pullman appoggiato alla pensilina, con gli occhi che tendono a richiudersi e gli sbadigli che gli sformano la faccia.
Se ne sta lì, con l’inverno che da noi raggiunge temperature ancora abbondantemente sotto lo zero, senza fare una piega. Perché la scuola, per molti dei nostri ragazzi e delle nostre ragazze con disabilità, significa normalità, socialità, relazione, vita ancora prima e ancor più che apprendimento. Anzi, delle lezioni e dei/delle docenti farebbero anche a meno, se le ore in classe fossero l’occasione di trovare qualche amico/a vera, qualcuna/o che sia disposto a stare con loro anche dopo la campanella, che abbia il desiderio di fare qualcosa insieme non per pietà o misericordia, ma per autentico piacere.
Sette giorni di assenza e nessuna notizia. Sarà il caso di fare una telefonata per capire se Roby si è beccato l’influenza. Il cellulare del padre suona a vuoto più volte. Lui un telefono non ce l’ha neppure. Chiamo l’Assistente sociale, che però non sa nulla; la madre, il cui numero risulta inesistente. Non mi resta che andare dai compagni (una classe tutta maschile) e chiedere se qualcuno abbia qualche notizia. Capisco immediatamente che non c’è alcuna volontà di aiutarmi. Anzi, l’intento dei ragazzi sembra proprio quello di mandarmi fuori pista. Sono reticenti, si scambiano sorrisi complici, si danno spallate, mi guardano con quegli occhi da “non siamo mica infami” che ormai noi insegnanti abbiamo imparato a riconoscere lontano un chilometro.
Alla fine uno dei non-infami rompe il silenzio: «Ha avuto un incidente, prof». Ecco, lo sapevo che era successo qualcosa. «Come un incidente? Sta male? È in ospedale? O a casa?» chiedo subito, cercando di capire la gravità della situazione.
Un altro non-infame prende la parola: «Non conosciamo i particolari, prof. Chieda a qualcun altro, che noi quello che sapevamo glielo abbiamo detto».
È una grandissima balla e lo sappiamo bene entrambi. Ma qui dentro, con questo clima da clan camorrista, non c’è da sperare di ottenere nulla di più, così ringrazio la banda dei non-infami e me ne vado in cerca di altri possibili informatori.
Non è la mattina giusta, però, per fare la detective e, per quanto io mi sforzi, non riesco a ottenere nulla di più di quello che già so. La collega di sostegno, che lavora nella classe di Roby, però, carpisce il giorno dopo qualche altra notizia. L’incidente è avvenuto di sabato, nel tardo pomeriggio, in zona stazione. Passeranno altri tre giorni, pieni di assurdi contorsionismi e folli contatti telefonici con semi sconosciuti prima che il quadro si completi.
Da qualche tempo Roby frequenta gente poco raccomandabile. Lui, che è un debole e che non è in grado di comprendere fino in fondo la differenza tra un desiderio e la realtà dei fatti, si fa spesso manipolare, senza neppure accorgersene. Così finisce nei guai per gesti e azioni che nella sua testa sono soltanto dei giochi, ma che per il resto del mondo sono atti di vandalismo o veri e propri reati. Come questo famoso sabato, in cui ha avuto la brillante idea di rubare una bicicletta. Peccato che il proprietario se ne sia accorto e lo abbia inseguito per strada con un furgone. Se quello che è accaduto poi sia stato per esplicita volontà del guidatore, o invece il frutto di un tragico incidente, non è dato sapere; quello che è noto è che il furgone ha investito Roby, il quale è finito lungo disteso in mezzo alla strada. Un ginocchio fuori uso e qualche contusione, oltre che un bello spavento sono il risultato della sua bravata. Più, naturalmente, l’inevitabile segnalazione alle forze dell’ordine con sopra scritto «tentato furto di bicicletta».
Ma, tutto sommato, direi che gli è andata bene. Poteva lasciarci le penne. I commenti dei compagni e anche di qualche collega, quando la notizia si sparge, sono i soliti grandi classici. Da queste parti in tanti e tante ragionano così. È tutto un fiorire di «Ha avuto quello che si meritava»; «Finalmente adesso la capirà che la deve piantare di rompere i coglioni alla gente»; «Speriamo che gli sia servita da lezione». E poi la più bella di tutte: «Fossi stato io sul furgone, avrei messo anche un paio di volte la retro e avrei chiuso il conto una volta per tutte. Un problema in meno per la società».
Su una cosa hanno ragione: Roby non è un Santo. Anzi. Ma ha anche una diagnosi lunga dodici pagine in cui si chiarisce come non abbia gli strumenti cognitivi per capire fino in fondo le conseguenze delle sue azioni. E siccome rinchiuderlo non possiamo (anche se i nostalgici dei manicomi abrogherebbero domani mattina la legge Basaglia con somma gioia), ci resta solo una cosa da fare: educare. EDUCARE. Lui e tante altre persone come lui.
Ora, io non credo che passarlo sotto le ruote di un furgone sia una strategia pedagogica approvata dalla Costituzione. Né che possa essere applicata su larga scala. Il che non significa che non possa essere efficace, intendiamoci. A volte un grande spavento o un trauma fisico possono anche sortire effetti educativi (solo fino a sessant’anni fa, migliaia di generazioni sono cresciute a zoccolate, calci nel sedere, schiaffi e bacchettate). Magari davvero adesso Roby metterà la testa a posto e questo pasticciaccio brutto avrà il migliore degli epiloghi. Ma la questione di fondo è un’altra. La questione è legata alla differenza che passa tra un’equa riparazione di fronte a un atto scorretto (che prevede un lavoro educativo di rielaborazione sull’accaduto), e la volontà di farsi giustizia da soli, senza misura e senza controllo. Cosa siamo, pistoleri da Far West? Dobbiamo indossare di nuovo cinturoni e colt?
A parte il fatto che Roby non può avere piena coscienza di ciò che fa perché il suo cervello non glielo consente, ma che relazione c’è tra il furto di una bici e un quasi omicidio stradale? Io ti sottraggo indebitamente un oggetto e quindi tu ti senti autorizzato a togliermi la vita? Che senso della giustizia è questo? Ormai le cronache sono piene zeppe di ragazze e ragazzi giovanissimi, accoltellati per strada da coetanei per motivi banalissimi (un paio di cuffiette, un paio di scarpe, gelosia, rivalità in amore ecc.). Perché? Cosa possiamo fare noi educatrici/educatori, insegnanti, genitori, per affrontare questi fenomeni tanto preoccupanti con il giusto approccio?
Dirò qualcosa che si sente pochissimo nei dibattiti in tv, ma che secondo me è profondamente collegato a questo discorso. Bisogna insegnare ad amare e difendere il bene comune. Che è fatto di spazi, luoghi, simboli, oggetti, ma anche di istituzioni e forme politiche e che rappresenta il presupposto fondamentale per la vita insieme. Se so rispettare la cosa di tutti e tutte, sono già oltre l’ingordigia per quella del singolo; se so rinunciare alla violenza privata per affidarmi alle figure preposte all’ordine pubblico, saremo sempre tutte e tutti tutelati alla stessa maniera.
Certo, la Giustizia deve funzionare e deve farlo bene, altrimenti il discorso non regge più. E i servizi di cura e assistenza per chi è fragile devono essere garantiti a tutti e tutte, come prevede la normativa in Italia (Legge 104/92; Legge 328/2000). Se nel nostro Paese la Giustizia funzionasse come si deve, probabilmente il proprietario della bicicletta non avrebbe mai pensato di salire su un furgone e investire un ragazzino con disabilità per recuperare la sua due ruote. Se sull’Assistenza e l’Educazione si investisse maggiormente, il nostro alunno non passerebbe tutti i pomeriggi con gentaglia raccattata in stazione, che ha il solo obiettivo di sfruttarne le fragilità. Se infine alla formazione di chi è giovane imparassimo a dare l’importanza cruciale che ha, investendo in risorse, strutture e persone, molto probabilmente abbatteremmo i dati sulla devianza minorile che negli ultimi anni si sono fatti estremamente preoccupanti nelle zone settentrionali del Paese.
Avete letto bene: AL NORD. L’Istat rivela infatti che nelle regioni del Nord-Ovest (Liguria, Lombardia, Piemonte e Valle d’Aosta) si è registrato un incremento di segnalazioni a carico di minori del 31,98% tra il 2010 ed il 2022 e del 33,77% nell’area geografica del Nord-Est (Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige e Veneto). Anche nel centro del Paese si assiste a un incremento del 21% della delinquenza minorile, mentre a sorpresa il Sud Italia registra un decremento del 17,74%.
Cosa dobbiamo aspettare ancora, dico, per ridare credibilità al mondo adulto, alle funzioni sociali, alle figure professionali che rappresentano la garanzia della convivenza civile (forze dell’ordine, insegnanti, giudici, educatori, assistenti sociali ecc.)? Lo si fa garantendo leggi giuste e tempi adeguati per le sentenze; offrendo sevizi capillari, di qualità e con personale preparato. Lo si fa credendo senza compromessi nella Repubblica democratica di cui siamo cittadini e cittadine; dandole gambe, braccia, testa e strumenti in numero e qualità adeguati per prendersi cura davvero di tutte e tutti noi.
Le pagine di questa rubrica raccolgono testimonianze di insegnanti di sostegno che hanno scelto di condividere con noi qualche riflessione sul loro lavoro e qualche episodio particolarmente emblematico del mondo dell’inclusione fuori e dentro la scuola. La Redazione ringrazia tutte/i coloro che hanno contribuito alla sua realizzazione, prestando la loro voce a Vitamine vaganti.
In copertina: foto di Christian Tasso, tratta dal libro Nessuno escluso, edito da Contrasto, novembre 2020 (particolare).
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Articolo di Danila Baldo

Laureata in filosofia teoretica e perfezionata in epistemologia, già docente di filosofia/scienze umane e consigliera di parità provinciale, tiene corsi di formazione, in particolare sui temi delle politiche di genere. Giornalista pubblicista, è vicepresidente dell’associazione Toponomastica femminile e caporedattrice della rivista online Vitamine vaganti.
