Il rebus di Papa Leone. Il numero di giugno di Limes. Parte seconda 

Un miliardo e 406 milioni di persone è il numero di chi si professa cattolico/a nel mondo (comprendendo in questo dato coloro che hanno ricevuto il Battesimo). Questo è il popolo che Papa Leone XIV si trova a guidare, dopo essere stato eletto da cardinali scelti in maggioranza da Papa Francesco: 52 europei, 37 americani, di cui 16 dal Nord, 4 dall’America Centrale e 17 dal Sud, 23 asiatici, 18 africani e 4 oceanici. La maggioranza dei/lle fedeli è in America (47,8%), seguita da Europa (20,4%) Africa (20%), Asia (11%) e Oceania (0,8%). Questi e altri dati si trovano nell’Appendice all’editoriale di Lucio Caracciolo, I numeri dell’arcipelago cattolico di Guglielmo Gallone, che ci ricorda che l’Europa è la zona del pianeta meno dinamica per la Chiesa universale, con solo lo 0,2% di nuovi/e cattolici/he nell’ultimo biennio, mentre la più vitale è l’Africa, seguita dall’Asia. Sono ovunque ininterrottamente in calo i seminaristi maggiori, rappresentati per il 61% da Africa e Asia. Non si può peraltro fare a meno di interrogarsi sui reali motivi e sulla qualità comunitaria di queste vocazioni, come di quelle delle religiose, anch’esse in diminuzione, vocazioni spesso legate alla condizione politica, sociale o economica delle singole persone. In aumento solo i diaconi, rigorosamente tutti uomini, nonostante il riconoscimento della funzione indispensabile delle suore all’interno della Chiesa. Del resto che cosa ci si può aspettare da una organizzazione in cui il celibato è imposto agli uomini che soli possono essere nominati presbiteri vescovi cardinali e Papi? (Peraltro un articolo di Germano Dottori, La tomba vuota di Gesù nella terza parte della rivista, suggerisce una diversa interpretazione della vita di Cristo, supportata da scoperte e ricerche di archeologi/he e storici/he a Gerusalemme, che sconfesserebbe proprio il celibato). Come ci ricorda Edoardo Borla nella sua preziosa rubrica La storia in carte che chiude ogni volume di Limes, il Vaticano è una monarchia assoluta elettiva, rigorosamente maschile (n.d.r.) i cui elettori compongono il conclave, «parola che deriva dal latino — inevitabilmente visto che si tratta della lingua ufficiale della Santa Sede — e precisamente da cum clavis che sta per «sottochiave». Già l’etimologia indica la condizione di isolamento in cui si trovano per tutta la durata dell’evento i cardinali elettori, tenuti a osservare un riserbo assoluto. Ma la parola «conclave» designa anche il luogo ove l’evento si svolge, una specifica sala della Cappella Sistina». Ricorda Gallone che per la prima volta, nel corso dell’ultimo conclave, sono stati rappresentati con cardinali elettori autoctoni 15 Paesi mai coinvolti in questa scelta: Capo Verde, Repubblica Centrafricana, Ruanda, Sud Sudan, Myanmar, Malaysia, Timor Est, Singapore, Svezia, Lussemburgo, Serbia, Papua Nuova Guinea, Tonga, Haiti e Paraguay. 

Popolazione cattolica nel mondo

Sebbene le firme femminili in questo numero siano 3, senza contare quella di Laura Canali per le mappe e per una geopoesia dal titolo La Chiesa è in ritardo di 200 anni, in questo numero si avverte forte la mancanza della voce delle religiose e delle teologhe all’interno della Chiesa in merito all’elezione di Papa Leone e alla crisi della Chiesa. 

La Chiesa è indietro di 200 anni. La geopoesia di Laura Canali 

Nella terza parte di Limes di giugno, Pace e guerra tra le Nazioni, ci si chiede quale sarà la posizione del nuovo Papa sulle guerre in corso. Sulla necessità di “armare la pace” Leone XIV si pone in sintonia col suo predecessore, anche se con altre modalità dovute alla diversità del suo temperamento, più mite e pacato, e della sua azione, ispirata alla prudenza e alla diplomazia.
La parola pace ha aperto il primo saluto di Leone XIV ed è poi stata pronunciata altre quattro volte nel discorso, accompagnata da aggettivi potenti: “disarmata e disarmante”, come ricorda Matteo Prodi nel suo saggio La pace di Leone tra profezia e diplomazia. Sulla guerra tra Russia e Ucraina Papa Francesco voleva restare equidistante (parlava di equilontananza) e imparziale, ricevendo consensi dalla Russia e sospetti e diffidenza dall’Ucraina, ma non si possono dimenticare durante il suo pontificato le missioni dei Cardinali Zuppi e Parolin per favorire il dialogo tra i due Paesi in conflitto col supporto dell’Occidente. Sulla stessa linea si pone il nuovo Papa, forse più esposto nella difesa dell’Ucraina. Entrambi, con sfumature ecclesiologiche differenti, si pongono nel solco del Concilio vaticano II sul tema della pace, cui Prodi rinvia riportando l’episodio che riguardò il Cardinale Lercaro ai tempi della guerra in Vietnam, questione assolutamente da conoscere, per chi, per ragioni anagrafiche, non ebbe occasione di viverlo. In questa parte, oltre a segnalare gli articoli Non solo mercenari. La secolare amicizia tra Chiesa e Svizzera, che racconta come sono nate le Guardie svizzere e Giù le mani dall’Africa! (espressione di Papa Francesco), polmone spirituale del cattolicesimo in cerca della propria identità, merita attenzione il saggio di Massimo Naro Le armi del dialogo (altra espressione di Papa Francesco) che riflette sulla risemantizzazione dei linguaggi conflittuali, richiamando anche alcune interessanti teorie di Maria Montessori pedagogista, tratte dal suo testo Educazione e pace a proposito dell’educazione come antidoto alla violenza e «armamento per la pace».

La fame disegna il sud globale

L’ultima parte si intitola Il non provvisorio lascito di Francesco. Tra i contributi più critici Francesco il manager, di Nathan Pinkoski, Senior Fellow al Center for Renewing America e Research Fellow all’Institute for Philosophy, Technology and Politics, utile per comprendere dove stanno andando i cattolici statunitensi più tradizionalisti, quelli che, per intenderci, sostengono il ritorno alla Messa in latino e credono che le liturgie della Chiesa cattolica potrebbero essere uno strumento utile a ricompattare il popolo americano, dilaniato da molte divisioni (basti pensare che oggi i matrimoni tra democratici e repubblicani sono il solo 4%, meno di quelli tra bianchi e neri, attestati all’11%). Per chi non frequenta il mondo cattolico questa posizione, abbracciata dal neoconvertito Vance che ambisce a essere il successore di Trump, resta inspiegabile. O forse si spiega ricordando, secondo quanto riferito a chi scrive da un monaco camaldolese di Fonte Avellana, l’origine del Rosario, che le donne erano solite recitare durante la Messa officiata in latino dal sacerdote che dava loro le spalle, proprio perché non ne capivano la lingua. Tradizione, quella del Rosario, che peraltro prosegue anche dopo le innovazioni del Vaticano II, ancora troppo poco conosciuto da coloro che si professano cattolici/he. 
Gli altri approfondimenti, tutti interessanti, illuminano la figura del Papa che invitava a «fare casino» e cercava di offrire alla Chiesa un volto nuovo, ispirato alla gioia, all’entusiasmo, all’attenzione alle periferie e agli scartati.
In Grazie Francesco il vaticanista Lucio Brunelli, oltre a riportare le molte feroci accuse mosse a Papa Bergoglio dai suoi acerrimi nemici anche all’interno della Chiesa, scrive così: «Anzitutto ci resta un ottimo papa, Leone, che non avremmo mai avuto senza l’esperienza del papa argentino. Bergoglio lo andò a cercare con il lanternino, in Perù, facendolo prima vescovo missionario di una povera diocesi da un milione di anime (2014) e poi chiamandolo a Roma (2023) per porlo a capo del più strategico dei «ministeri» del governo centrale della Chiesa cattolica, quello che seleziona i nuovi vescovi. Gli donò infine la berretta rossa nell’ultima infornata cardinalizia, giusto in tempo perché Prevost potesse partecipare al conclave. Dicevano che Francesco non sapesse scegliere gli uomini, nella Curia romana. In questo caso non poteva esserci scelta migliore». 

La traiettoria del centro di gravità del cristianesimo

Si, anche perché, come ricorda Piero Schiavazzi, titolare della cattedra di geopolitica vaticana all’Università Link di Roma, papa Prevost, attraverso il nome che si è scelto, potrebbe ispirarsi a Leone Magno, che sconfisse Attila e respinse le orde dei barbari, a Leone III, che ha incoronato Carlo Magno, ma forse, più di tutti, a Leone II, il papa siciliano, amante dei poveri e della povertà, cui dobbiamo l’inserimento nella Messa dell’abbraccio di pace, nel 682 dopo Cristo. Parola, come afferma Caracciolo, preziosa (e oggi non facilmente pronunciabile senza essere in qualche modo derisi/e) che ci protegge dall’invasione imperante, sui nostri media e ovunque, della retorica della guerra. 

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Articolo di Sara Marsico

Giornalista pubblicista, si definisce una escursionista con la “e” minuscola e una Camminatrice con la “C” maiuscola. Eterna apprendente, le piace divulgare quello che sa. Procuratrice legale per caso, docente per passione, da poco a riposo, scrive di donne, Costituzione, geopolitica e cammini.

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