Via dei Fiorentini a Napoli è una strada del centro, a pochi passi dai Quartieri Spagnoli, non lontana dal porto e dalla stazione ferroviaria. I locali del civico 53/55, dove oggi si trova un garage, hanno ospitato, per molti anni, la sede napoletana del Partito comunista italiano; l’immensa e imponente sala riunioni, dedicata al partigiano Mario Licata, è stata frequentata da militanti divenuti, col tempo, personaggi di spicco della dirigenza e dell’intellighenzia nazionale. Al primo piano dello stabile, una stanza, emblematicamente ribattezzata Una stanza tutta per sé, è stata il luogo di ritrovo esclusivo delle donne di Partito.
Le ragazze di via dei Fiorentini. Un’inedita storia di relazioni femminili nel Pci-Pds-Ds a Napoli, edito dalla casa editrice Liguori nel 2024, raccoglie, in sedici testimonianze, proprio la storia di queste donne che, fra la fine degli anni Sessanta e gli anni Ottanta del Novecento, hanno frequentato la sede di via dei Fiorentini, spinte dal desiderio di sospendere i «meccanismi di potere e di consuetudini di un partito solido come il Pci», di «arrevotare» (“rivoluzionare”, “stravolgere”) le logiche di un’organizzazione politica nella quale, anche dopo la gattopardesca “Svolta della Bolognina”, «non erano del tutto spenti gli echi dell’ossessione maschilista del comunismo napoletano».
Le autrici raccontano le battaglie di cui sono state protagoniste per liberarsi di quella «perenne frustrazione di essere percepite come una quota aggiuntiva o un soggetto debole» — scrive la dirigente scolastica, Patrizia Ferrione nel suo intervento — all’interno di un gruppo che accettava la presenza delle donne più per necessità storica che per convinzione. Gli sforzi profusi da queste militanti «toste» erano, inoltre, finalizzati alla costruzione e al consolidamento di un sentimento impossibile in politica ed escluso soprattutto dalla tradizione comunista: l’amicizia politica. Questa sorellanza, che travalicava i confini delle differenti convinzioni e delle diverse pratiche — femminili e femministe — e insegnava che la relazione fra donne è già politica, si alimentava attraverso i Coordinamenti delle donne, entità autonome nell’elaborazione di politiche specifiche per il genere femminile, che esigevano la pratica dell’ascolto, della sintesi e della relazione.
Le ragazze di via dei Fiorentini è la storia di una «passione travolgente e importante», di «un viaggio sentimentale, dominato dall’amore verso la politica, dalla delusione per i suoi tradimenti, dal desiderio di un’altra politica» — scrive la docente e già dirigente comunista Alessandra Macci — una storia di amore e odio, utile, necessaria, preziosa ma non sempre a lieto fine. Ancora Patrizia Ferrione racconta, infatti, che l’adesione al Pci e l’attivismo politico si sono rivelati, per lei, un utile strumento per percorrere la strada della separazione dalla famiglia e incontrare la comunità; per tutta una generazione, un modo per «salvarsi da altri demoni». Tuttavia, sente di aver subito lo scacco di un’organizzazione connotata da una forte logica maschilista e il congedo dal partito, a un certo punto, è diventato necessario per iniziare a vivere «la propria storia».
La frequentazione della sezione ha rappresentato una sorta di rito di iniziazione alla vita vera, fatta di problemi pratici e quotidiani da affrontare, per Roberta Calbi, la giovane studente borghese di corso Vittorio Emanuele, la cui adesione al partito può essere stigmatizzata emblematicamente con l’espressione, a inizio di paragrafo: «Mi ritrovai in un basso». Frequentare la sezione ed essere parte attiva dell’azione politica è sì una catabasi palingenetica che permette a iscritti e iscritte di mettersi alla prova in situazioni autentiche e di poter provare a incidere sulla realtà, ma si tratta pur sempre di un partito che “divora biografie”, le inghiotte nella sua voragine, camuffando le “decisioni” sotto la veste di “consigli”. È quanto accade a Angela Francese, impiegata, prima dell’iscrizione al Partito, nella fabbrica metalmeccanica statunitense Remington, a Napoli: quando Adriana Seroni le propone di candidarsi alle elezioni politiche del 1976, il segretario provinciale di allora, Andrea Geremicca, le consiglia con successo di rifiutare perché, in quel momento, è «più utile essere a Napoli che in Parlamento». È il trionfo del primato della politica ossia del partito sulle istituzioni. Il Pci, nota Maria Fortuna Inconstante, senatrice della Repubblica dal 2008 al 2013, ha permesso alle donne di “fare”, “realizzare”, “essere utili” e intrecciare “l’esperienza della politica” con “la politica dell’esperienza”, ma tutto questo è avvenuto a caro prezzo: le donne sono state fagocitate in «quei suoi rituali maschili e ottusi» che alimentavano il desiderio, in molte di esse, di allontanarsi e di dare voce alla propria femminilità.
In via dei Fiorentini si sono date appuntamento nel tempo donne obbligate alla doppia militanza, negli organismi di partito e in quelli delle donne; donne impegnate nelle cruciali campagne referendarie degli anni Settanta sul divorzio e sull’interruzione volontaria di gravidanza, per le quali gli uomini di partito hanno battuto in ritirata; donne convinte, per la maggior parte, che il partito dovesse farsi portavoce di un’istanza pedagogica ossia della creazione di una scuola strumento di crescita ed emancipazione soprattutto per le bambine. Le “ragazze” della storica sede del partito comunista di una traversa di via Medina, non tutte entusiaste della nascita del Pds nel 1991 e dello sdoganamento delle correnti all’interno del partito, hanno condiviso segreti e momenti di vita; hanno messo in relazione le donne dentro e fuori il partito; hanno anelato all’assunzione di una prospettiva di genere nelle strategie di governo del territorio ossia dell’acquisizione di un modo diverso di intendere la politica che vede le donne rappresentanti significative, non solo di questioni specificatamente femminili quali consultori, asili nido e così via, ma di interessi e bisogni comunitari e agenti del cambiamento politico, economico e sociale. Queste donne così diverse per estrazione sociale, esperienze, formazione e provenienza geografica — alcune vengono dalla città, altre dalla provincia, altre ancora dal restante territorio regionale — pur riconoscendo tensioni e divergenze, si erano tutte riconosciute nella figura di Maria Grazia (Graziella) Pagano, una donna «sempre un passo avanti», dice la curatrice del libro, Giovanna Borrello nelle Avvertenze e Ringraziamenti iniziali.
Insegnante, consigliera al comune di Napoli, senatrice della Repubblica ed europarlamentare, Graziella, scomparsa nel settembre del 2022, era, dalle parole della giornalista Titti Marrone, «un’outsider sopra le righe del convenzionalismo e di un certo bigottismo misogino della sinistra», la senatrice più ammirata anche da quelli di Destra, «una bellezza perentoria difficile da ignorare per gli sguardi maschili, fonte di inquietudine e rivalità per molti occhi femminili». Ma questa donna, «inflessibile nei giudizi, apodittica, talvolta anche antipatica […] solare, incredibilmente vivace», aveva saputo incarnare al meglio quella napoletanità distintiva delle donne comuniste militanti di via dei Fiorentini. Napoletanità che contrassegnava anche le esperienze quotidiane di ciascuna: Alberta De Simone racconta dell’«addetto alla custodia delle auto» che le offre aiuto quando, da Atripalda, in provincia di Avellino, raggiunge il centro di Napoli per recarsi in sezione e non riesce a trovare parcheggio, e della casalinga di una traversa di via Medina dove si reca con un addetto alla vigilanza, che le offre il pranzo a un prezzo modico. Come a dire che a Napoli, anche gli/le esponenti di partito e il partito sono differenti.
I diversi racconti sono organizzati in due sezioni, più una parte introduttiva che ospita le parole di Giovanna Borrello, già docente di Filosofia e Bioetica all’Università Federico II, e un articolo della giornalista del quotidiano Il Mattino, Titti Marrone, scritto per la morte della compianta Maria Grazia Pagano, a cui è dedicato il volume; le diverse testimonianze riflettono uno stile narrativo, nonché tipografico, molto vario e rispondono all’invito rivolto alle autrici da Borrello di scrivere «seguendo il metodo di scrittura femminista del partire da sé». La scelta dei modi e dei tempi riverbera la triplice prospettiva da cui ogni autrice racconta i fatti: “allora”, “ora” e “allora visto da ora”. Il lessico è spesso infarcito di stilemi propri di chi ha una certa dimestichezza col linguaggio politico; «ragazze di via dei Fiorentini» è usato di frequente come costrutto dotato di riconoscimento e autonomia linguistica. Non è raro rintracciare il ripetersi di un aspetto che assurge a modello narrativo: l’autrice di un intervento richiama in modo insistito esperienze e opinioni condivise proprio con l’autrice del lavoro successivo. Le conclusioni, poi, oscillano fra valutazioni e utilità dell’esperienza vissuta e sguardo al presente e sono il luogo della scrittura in cui meglio si manifestano le due direttrici, poi confluite, cui fa riferimento Borrello nell’Introduzione, che hanno ispirato le penne del libro: dichiarazioni esplicite di divergenze e dissenso da una parte; linea più ecumenica e conciliatrice dall’altra. La copertina, di grande impatto, reca l’immagine della bandiera provinciale del Pci, custodita oggi presso la Fondazione Chiaromonte di via Toledo; il vessillo, ricamato a mano da alcune donne napoletane, ha una fortissima valenza simbolica: non fu mai ammainato durante l’assedio dei monarchici alla sede del Partito comunista in via Medina, avvenuto l’11 giugno 1946.
Interessanti, infine, le osservazioni sul tempo presente e sulle sue contraddizioni, che si trovano sparse qua e là in quasi tutti gli interventi.
«Determinazione, empatia e solidarietà», dice Pina Orpello, che ha iniziato la sua avventura politica in via dei Fiorentini come funzionaria della Federazione nel 1977, dovrebbero guidare le giovani donne di oggi in una società in cui i loro diritti stanno arretrando e la cultura maschilista è ancora dominante. Le fa da controcanto la denuncia di Alessandra Macci la quale sottolinea la mancanza di relazione politica fra donne e Angela Francese che dice di aver preferito «il silenzio da outsider dimenticata» al vuoto chiacchiericcio femminista degli anni Novanta, riconoscendo scarso spessore alle battaglie delle donne di fine secolo. Ma, su queste note, la conclusione più amara è affidata a Valeria Valente, senatrice della Repubblica italiana e Presidente della Commissione monocamerale di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere, dal 2018: di fronte al perpetuarsi della violenza maschile che non è un fenomeno emergenziale ma strutturale e di natura culturale, noi donne, oggi, abbiamo saputo opporre solo una prima Presidente del Consiglio che non è una femminista ma «una donna politica che accetta le regole del gioco date senza avere l’ambizione di cambiarle perché non ne vede la parzialità e si vanta di vincere giocando con quelle regole».
In copertina: foto di Luisa Festa.

Borrello, Giovanna (a cura di)
Le ragazze di Via dei Fiorentini
Liguori Editore, 2024
pp. 160
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Articolo di Sara Carbone

Laureata in Storia, è docente di Discipline letterarie. Traduttrice e mediatrice linguistica, è Consigliera dell’Associazione di Storia Contemporanea di Senigallia e componente del Centro studi sul Teatro napoletano, meridionale ed europeo di Napoli. Collabora a diverse riviste, quali Il materiale contemporaneo; è autrice di saggi sul fenomeno migratorio.
