Protagonista per decenni di docenze, corsi di formazione, attività seminariali e di ricerca in numerose università italiane ed estere — ricordiamo solo le ultime collaborazioni con Paris V: René Descartes e Paris VIII: Vincennes — attualmente la sociologa Marina D’Amato è prof.a onoraria presso l’Università di Roma Tre. Nell’ambito del Dipartimento di Scienze della Formazione, ha tenuto, oltre a diversi altri insegnamenti di Sociologia Generale, anche la cattedra di Sociologia dell’infanzia, che è stata la prima a fondare in Italia. Leggendo nell’archivio di ateneo l’abstract di una delle sue ultime ricerche, Children, TV Spots, and Snacks, leggiamo che da una ricerca di tipo quali-quantitativo, è risultato che bambine e bambini, ragazze e ragazzi delle ultime generazioni, vivono su tutto il pianeta in una cultura mediatica omologante e ricevono sempre meno stimoli dalla tradizione locale. Venuto meno l’habitus basato sul differente clima e ambiente dei luoghi, e assunta una moda di cibo generica e generalizzata, gli allarmi sanitari costituiscono l’indicatore sociale di un disagio sempre più diffuso: obesità, anoressia, bulimia, ipercolesterolemia, intolleranze alimentari sono le patologie più diffuse tra le/i giovanissimi del terzo millennio.
Questo l’interessantissimo campo di indagine di cui si è occupata recentemente la prof.ra Marina D’Amato, a cui rivolgiamo alcune domande per conoscere meglio da vicino una figura rilevante di studiosa attenta a fenomeni sociali importanti per le famiglie, l’educazione e i soggetti in età evolutiva.

Nel tuo libro, dal titolo emblematico Ci siamo persi i bambini. Perché l’infanzia scompare, affronti un tema che è sempre più tragicamente attuale, e che ultimamente fa molto discutere sia per i dati della diminuzione drastica dell’età in cui si fa abuso di alcol sia per il recente fatto di cronaca dei ragazzini che, in questo agosto 2025 a Milano, hanno rubato un’auto e travolto un’anziana. Il libro è del 2014 ed è continuamente ristampato: in questi 10 anni, non sembra che la situazione sia migliorata, per quali motivi e in quali ambiti proporresti di intervenire?
Innanzitutto in ambito familiare, per interrompere un fenomeno prorompente: l’adultizzazione dell’infanzia e l’infantilizzazione dell’età adulta.
Se i padri e le madri trattano le loro figlie/i come “amici” vestendosi come loro, giocando con gli stessi videogiochi, proponendo loro un futuro competitivo per emergere a tutti i costi, creando una relazione di complicità invece che di alleanza e senza definire i ruoli, come possono i piccoli introiettare il rispetto? La regola? Elaborare un progetto di vita?
Il bene genitoriale non può essere reificato con giochi, giocattoli, gadgets e instant pleasure, deve essere un percorso verso un progetto di vita adatto a rispettare i livelli cognitivi, fisici, emotivi di bambini e bambine, non teso ad avere genitori amici a cui confidare pene d’amore, desideri, sconfitte. Insomma il disagio delle/degli adolescenti, che per diventare adulti devono trovare la loro specifica identità, come può svilupparsi se non hanno avuto valori, regole, esempi e modelli di comportamento da introiettare? Su chi possono fare affidamento, su chi scaricare un cruccio, a chi chiedere consiglio, se non a un genitore o a una persona adulta di riferimento? E come farlo se chi hanno davanti è sì grande di età, ma “coetaneo”, incerto e vago nella mente e nel comportamento?
Anche la scuola ha le sue responsabilità evidentemente: come può chi insegna trasmettere cognizioni e visioni del mondo se viene disconosciuta la sua autorevolezza dal genitore che sostiene il figlio o la figlia di fronte a una nota o a un brutto voto?
Come si può insegnare a superare una frustrazione se non rispettando la decisione pragmatica definita da una bocciatura o da un richiamo?
E ancora, pensiamo al ruolo dei media, dei social che predispongono a una rapida crescita formale dell’età, mettendo in mostra bambini adultizzati! Una grave responsabilità che spinge alla diffusione di un narcisismo di massa, che individua nell’attimo il fine delle azioni, predisponendo una società di individui che vivono nel “presentismo”!

Ti sei anche occupata, in diversi studi e convegni, di questione femminile e femminismo, ci parli del tuo punto di vista in merito?
Le donne, a partire dalla generazione degli anni ’50, per la prima volta si sono inserite nel mondo del lavoro senza il bisogno della sopravvivenza, ma per la realizzazione di sé, e hanno modificato l’assetto del nostro Paese, emergendo non solo nei settori di cura, come l’apparato medico, ma anche in quelli dell’insegnamento a tutti i livelli, della politica e della giustizia; hanno modificato di fatto i valori della nostra società. Le leggi — dalla Merlin al divorzio, all’aborto, alla tutela dell’infanzia, della famiglia, del lavoro, dell’ambiente — hanno alle spalle il pensiero e la forza delle donne nel promuoverle e farle approvare (Cfr La politica della differenza. Dati e analisi per uno studio del rapporto donne/partiti, di Marina D’Amato e Angela Cattaneo). In definitiva ritengo che quel “il personale è politico”, motto degli anni passati, sia diventato una realtà condivisa e si sia implementato nella nostra società. Purtroppo, ancora esiste la violenza, e tanti soprusi nei confronti delle donne, ma le statistiche indicano che dagli anni ‘40 in poi il numero in percentuale dei delitti commessi contro le donne sia rimasto lo stesso.

Credi che il ruolo del padre si sia modificato, negli ultimi decenni, e se sì, lo valuti un fenomeno radicato in società e positivo o negativo?
Ho svolto una ricerca sui padri e ho scoperto che la parola chiave per definirli era “dolce”!!! Persa l’identità del capo famiglia, con accanto una donna sempre più protagonista, il padre non è più il castigatore o la regola, è il complice di giochi e fa il “mammo” con allegria…
Allora? Come e dove si introietta l’autorevolezza? Chi trasmette la visione del mondo e le pratiche per raggiungerla se lui, il papà “dolce”, non lo fa più?
La crisi di identità dell’adolescenza è da ricercarsi oggi soprattutto nella confusione di ruoli… per ribellarsi e crescere ci vuole una regola, altrimenti per noia si va in giro… a rubare? A fare del male ? A bighellonare?

Ora dirigi un gruppo di ricerca europeo sulle strade della favola in Europa. In che cosa consiste?
Ho creato un percorso, un cammino certificato dal Consiglio d’Europa e ho creato un network di 36 associazioni nell’ambito dei 47 stati membri del Consiglio. Ho individuato centri di lettura, raccontatori di fiabe, musei di bambini ecc. con lo scopo di ridare a piccole/i le basi etiche che nelle fiabe definiscono nel nostro continente il bene e il male, il giusto e lo sbagliato, il bello e il brutto. Dopo un’approfondita ricerca sui miti da cui derivano leggende e racconti e da ultimo fiabe, emerge che l’Europa ha una cultura comune e condivisa che si sta perdendo, per la profusione di racconti televisivi e legati al web, che per piacere in modo generalizzato, non appartengono più a nessuna cultura specifica.
Lo scopo di questo mio impegno è quello di ridare a bambini e bambine l’identità dei loro luoghi di origine, che le fiabe propongono. Insomma è uno sforzo per far sentire l’appartenenza alla nostra civiltà con l’intento di pensarci come un “noi” e non solo come un “io”.

Una vita dedicata alla conoscenza della nostra società nel suo aspetto più prezioso e più vulnerabile: l’infanzia. Certo questo non è l’unico argomento su cui si sono concentrate le sue ricerche, che spaziano dall’indagare sulla povertà e l’esclusione sociale all’impatto delle nuove tecnologie, dagli studi sulle identità collettive a come combattere la mafia, solo per citarne alcuni. Invitiamo a consultare i suoi libri e i suoi numerosi interventi sia scritti sia sul web, per affrontare con sempre più strumenti culturali l’interpretazione della realtà in cui viviamo.
In copertina: Marina D’Amato.
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Articolo di Danila Baldo

Laureata in filosofia teoretica e perfezionata in epistemologia, già docente di filosofia/scienze umane e consigliera di parità provinciale, tiene corsi di formazione, in particolare sui temi delle politiche di genere. Giornalista pubblicista, è vicepresidente dell’associazione Toponomastica femminile e caporedattrice della rivista online Vitamine vaganti.
