Attivista sensibilissima a tematiche di genere, Rita Majerotti dedicò la sua intera vita — condotta con l’intenzione di dar voce alle donne — all’insegnamento e alla militanza nel Partito socialista italiano e nel Partito comunista d’Italia. Il suo obiettivo fu sin da subito la realizzazione di una svolta rivoluzionaria, con la quale restituire dignità agli oppressi ma, soprattutto, alle oppresse. Sebbene vi siano numerosi studi sulla sua persona, solo in poche/i sanno della sua esistenza. Studiamola insieme.
Rita Majerotti nacque a Castelfranco Veneto nel 1876, da una famiglia piccolo-borghese. Durante l’infanzia e l’adolescenza, crebbe in un contesto di scontro tra anticlericalismo socialista e fanatismo religioso: suo padre Eugenio, garibaldino proveniente da una famiglia di insegnanti, si dedicò all’istruzione dei suoi sei figli e figlie opponendosi all’educazione cattolica che la madre, l’aristocratica Elvira de Mori, desiderava tramandare loro. Rita, tuttavia, scelse di seguire l’ideologia socialista paterna grazie anche alle letture dei classici del Marxismo e di Ellen Key, oltre che agli incontri casuali tra cui quello con Angelica Balabanoff e con le operaie. All’età di 18 anni Rita terminò gli studi magistrali e decise di seguire le orme del padre, procedendo con la carriera da insegnante. Il suo primo incarico nelle scuole elementari la spinse ad allontanarsi dalla famiglia per trasferirsi presso la campagna trevigiana. Come era prassi per quell’epoca, le maestre erano considerate donne di dubbia rettitudine a causa della loro giovane età e indipendenza; proprio per questo motivo, erano compensate con un misero stipendio che le obbligava a vivere in condizioni di povertà. Rita, nel corso della sua esperienza lavorativa, girò soprattutto tre sedi: Treviso, Milano e Bari ma la qualità di vita in cui versava fu sempre molto precaria. Nonostante tutto, non lasciò mai la carriera di maestra poiché la considerava un’arma potentissima contro la superstizione religiosa, la violenza e un mezzo per arrivare all’emancipazione sociale ed economica della donna proletaria. Ella credeva che, attraverso lo studio, la futura generazione di lavoratrici potesse mettere in moto un processo che cominciava dalla “liberazione della mente” e si concludeva con la definitiva alienazione dai mariti che trattavano le mogli allo stesso modo in cui i padroni si comportavano con gli operai. Lei stessa disse:

«È a noi madri e maestre che incombe insegnare ad avere una coscienza, un ingegno e un cervello […] e non vedere il proprio pensiero, […] il voto, la parola, l’atto, il lavoro, la carne, la coscienza. […] Finché sol gli uomini, che non possono conoscere appieno i bisogni, i desideri, le aspirazioni della donna, fanno le leggi, anche quelle che essa sola riguardano; finché si vuol la donna una pupattola […] Non vi può essere morale né progresso». Rita Majerotti fu sempre in prima linea anche per combattere il paradosso della doppia morale borghese — monogamica per le donne ma tollerante per gli uomini — e il matrimonio riparatore, che subì in prima persona. Giovane e inesperta, venne colta dal desiderio e, come lei stessa ammise, rimase incinta senza sapere come; questa situazione comportò, nel 1896, l’unione compensativa con Giuseppe Tonon, dal quale ebbe quattro figli. La vita coniugale con l’uomo fu un calvario per Rita: Giuseppe aveva evidenti problemi di alcool e la maltrattava. La sua morte prematura a 38 anni, nel bel mezzo del divorzio e della battaglia per l’affidamento della prole, segnò l’inizio di una vita politicamente più consapevole per la donna. Tra il 1913 e il 1915 iniziò a pubblicare Il romanzo di una maestra — la sua autobiografia a puntate — su La difesa delle lavoratrici, interrompendone la diffusione con l’inizio della Prima guerra mondiale in quanto il giornale iniziò a virare verso una posizione interventista. Da sempre pacifista si schierò non solo contro il conflitto del 1914, ma anche contro Mussolini, che definì un voltagabbana e un guerrafondaio. Proprio per questa ragione è curioso il fatto che, sebbene la sua opinione nei confronti del futuro dittatore fosse tutt’altro che positiva, quest’ultimo, invece, in un primo momento, apprezzò assai le sue pubblicazioni che divulgò nel suo quotidiano L’Avanti.
A seguito della conoscenza delle opere della militante rivoluzionaria femminista russa Aleksandra Kollontaj, Rita Majerotti abbracciò e condivise il tema del libero amore tanto da affermare che i legami matrimoniali sarebbero diventati indissolubili dal momento in cui sarebbe stata accettata la possibilità di scioglierli. Nello stesso periodo, diede origine alla sua attività pubblicistica su La Fiamma e Compagne, in uno stile oratorio che la espose alle offese, talvolta maschiliste, dei suoi compagni. Nel frattempo, nel 1918, Rita convolò a nozze con un altro uomo di nove anni più giovane di lei, Filippo D’Agostino, con il quale non ebbe soltanto un forte legame amoroso, ma anche un lungo sodalizio caratterizzato da una comunione di ideali politici, di lotte, di lavoro e di persecuzioni. Vissero insieme fino al novembre 1943, giorno in cui Filippo venne arrestato e, qualche mese dopo, deportato nel campo di concentramento e sterminio nazista a Mauthausen, dove morì a luglio del 1944. Ad ogni modo, nel 1921 Rita Majerotti abbandonò il Psi e si uni alla delegazione italiana del Pcd’I che partecipò al IV Congresso dell’Internazionale Comunista a Mosca. Qui incontrò Lenin. Al suo rientro in Italia, iniziò un periodo piuttosto difficile fatto di attacchi, arresti e pedinamenti da parte del regime fascista, culminato con l’aggressione punitiva che la costrinse a calarsi dalla finestra di casa sua. Tale condizione, nel 1925, obbligò lei e suo marito a lasciare Roma per riparare in Belgio e poi in Francia, dove contribuì alla riorganizzazione del Partito comunista all’estero. Rientrata in Italia nel 1943, prima in Veneto e poi a Roma, ormai non più giovanissima né in buona salute, venne colpita da un’interdizione perpetua dalle attività didattiche per il suo impegno politico degli anni precedenti; tale stallo lavorativo durò fino alla caduta del Ventennio fascista.
Un anno dopo, a seguito dell’arresto del marito e della distruzione — dovuta ai bombardamenti — di casa sua, fuggì profuga in Puglia, accolta dai familiari del coniuge e dai suoi compagni e compagne. Dal 1945 in poi, Rita riprese l’attività politica nel Partito comunista, divenne una delle fondatrici dell’Udi (Unione delle donne italiane), scrisse per Civiltà proletaria e L’Unità e tenne moltissimi comizi. Militò, inoltre, in Sicilia, si impegnò per il raggiungimento del suffragio femminile e per l’elezione dell’Assemblea Costituente. Solamente la morte, avvenuta il 30 gennaio 1960 a Castelfranco Veneto, la fece rinunciare ai suoi ideali politici, abbandonando definitivamente quel sistema contro cui tanto aveva lottato.
Una delle iniziative più importanti di cui questa eroina si è fatta protagonista, è stata sicuramente il suo impegno per la sezione barese dell’istituzione filantropica L’Umanitaria, la quale si impegnava nell’assistenza sociale dei lavoratori e delle lavoratrici, soprattutto nelle campagne in cui si combatteva ancora l’analfabetismo. Sempre lei, contribuì — assieme a Pesce, Di Vittorio, D’Agostino e Solonna — alla fondazione dell’Alleanza del Lavoro, proclamando lo sciopero legalitario dell’agosto del 1922. Infine, nello stesso anno fu anche oratrice il Primo maggio a Bari, durante il quale si rivolse alle donne, incitandole a entrare nel movimento proletario. Rita Majerotti, infatti, considerava «un dovere imposto proprio dall’amore» il fatto che la componente femminile si avvicinasse alla politica per garantire un futuro diverso e migliore alle giovani delle generazioni successive.

Tra le recenti iniziative a lei dedicate troviamo il dibattito Donne Resistenti. Italia, Spagna, Germania, Francia 1936-1945, tenutosi presso il Museo Civico di Bari il 4 febbraio 2022. Hanno dialogato Lea Durante, studiosa di Gramsci e italianista dell’Università di Bari, la storica Antonella Lovecchio e la vicepreside della Fondazione Majerotti della Cgil, Francesca Abbrescia.
Tanto grande fu il suo impegno quanto numerosi furono i suoi riconoscimenti: oltre a un giardino intitolatole, ubicato a Bari tra Via Brigata Regina e Corso della Carboneria, l’associazione Retake ha deciso di omaggiarla con un murales realizzato dall’illustratrice Daniela Giarratana, nel quartiere Libertà della medesima città. Il messaggio che l’associazione vuole trasmettere è quello di «pace come valore universale» e quale figura, se non la fervente pacifista Rita Majerotti può rappresentarlo al meglio?
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Articolo di Ludovica Pinna

Classe 1994. Laureata in Lettere Moderne e in Informazione, editoria, giornalismo presso L’Università Roma Tre. Nutre e coltiva un forte interesse verso varie tematiche sociali, soprattutto quelle relative agli studi di genere. Le sue passioni sono la lettura, la scrittura e l’arte in ogni sua forma. Ama anche viaggiare, in quanto fonte di crescita e apertura mentale.
