Aleksandra Grigorovič nasce il 18 gennaio 1882 a Bialystok nel Governatorato di Grodno dell’Impero russo (oggi Polonia) da una colta famiglia dell’alta borghesia. Suo padre, Aleksandr Grigorovič, è un ricco uomo d’affari bielorusso di origine ebraica e sua madre è di origine greca.
Si diploma a Kiev nel 1906 alla Scuola d’arte. La sua soffitta, adibita a studio di pittura, diventa punto d’incontro per artiste/i, poete/i, scrittori, scrittrici, ballerine/i e studenti. Nel 1907, alla mostra Le Maillon, presenta i suoi primi dipinti e ricami ispirati all’arte popolare russa.

Nel 1908 sposa Nikolai Evgeneevich Ekster, avvocato di successo, appartenente all’élite culturale e intellettuale di Kiev. Aleksandra e Nikolai trascorrono diversi mesi a Parigi, capitale della moda e della cultura e lei studia all’Académie de la Grande Chaumière. Il suo fascino personale e la sua raffinata intelligenza le aprono i salotti culturali. Conosce in questo modo personaggi importanti dell’arte e della cultura: Apollinaire, Braque, Léger, Picasso, Stein. Nel corso di un viaggio in Italia incontra uno dei coautori del Manifesto del Futurismo, Umberto Boccioni, e conosce Ardengo Soffici. Tra Ardengo e Aissa, la russa dal naso lunghetto come lui la definisce, nasce un rapporto affettuoso e intenso. Soffici descrive i loro incontri nello studio di lei: «La trovavo quasi sempre coperta dalla sua blusa bianca, la tavolozza in mano, intenta a dipingere. Ritto dietro di lei, la guardavo fare. Aveva ingegno, ma il suo gusto non era ancora sicuro. Le davo dei consigli secondo la mia esperienza. Ed ella li accoglieva volentieri». Come sempre accade l’uomo, nel descrivere il loro rapporto artistico e amoroso, non riesce a fare a meno di attribuirsi il ruolo di mentore e maestro.

Tra il 1908 e il 1915, Aleksandra organizza e partecipa a tutte le mostre d’arte della sinistra russo-ucraina, espone in Francia e in Italia e contribuisce alla diffusione in Russia dell’avanguardia mondiale: La Garlande, Mosca, 1908; i Saloni Izdebski, Kiev, Odessa, San Pietroburgo, Riga, 1909-1910; le mostre del Fante di quadri, Mosca, 1910, 1912 e 1914; L’Unione della Gioventù, Mosca, 1910; La Sezione Aurea, Parigi, 1912; L’Esposizione Internazionale dei Liberi Futuristi, Milano; Salon des Independants, Parigi; L’Anneau, Kiev, 1914; Mostra Internazionale dei Pittori e Scultori Futuristi, Galleria Sprovieri, Roma, 1914; Tram V, Pietrogrado, 1915.
Nel 1915 decora i muri, le scale, il vestibolo e il sipario del teatro Kamerny di Aleksandr Tairov. Collabora alla mostra Magasin (Mosca, 1916) con i suoi quadri astratti influenzati sia dalle opere di Tatlin che dal suprematismo di Malevich. Nel 1917 presenta presso il Valet de Carreau (Fante di quadri: movimento pittorico moscovita basato sullo stile di Paul Cézanne e del postimpressionismo francese, del fauvismo e dell’espressionismo tedesco) i suoi lavori degli ultimi dieci anni. Alla morte del marito, avvenuta quello stesso anno, un complotto ereditario la priva di gran parte dei suoi quadri andati poi distrutti in un incendio durante la guerra civile. A Odessa, nel tentativo di lasciare il Paese da questo porto, organizza una scuola di pittura per l’infanzia per avvicinarla all’arte non oggettiva, ovvero la corrente artistica che tende a rappresentare la realtà non come si presenta ma secondo l’interpretazione personale di chi crea.
La critica del tempo la definisce, insieme alle sue contemporanee Goncharova, Rozanova, Popova, Udaltsova, «amazzone dell’avanguardia russa» riconoscendo, come sempre accade, la posizione di leader del movimento agli uomini: Malevich, Tatlin, Kandinskij, Chagall, Rodchenko, Larionov.
Aleksandra è un’artista cosmopolita che si manterrà sempre in equilibrio tra Occidente e Oriente, Cubismo e Futurismo, Suprematismo e Costruttivismo. A Kiev, di ritorno dai viaggi nel corso dei quali si nutre dei nuovi fermenti dell’arte, apre uno studio di decorazione non oggettiva e inizia a sperimentare il teatro come sceneggiatrice e disegnatrice dei costumi introducendo il concetto di interazione dinamica dei vari elementi nell’arte non oggettiva. Nel 1916 la sua prima opera teatrale Famira Kifared, nel testo Il teatro simbolista russo di Annenskij, è una combinazione tra futurismo e folclore ucraino. Gli atleti-attori-marionette, sospesi nel vuoto su sottili pertiche e scale, si muovono come esseri diabolici vestiti di tute aderenti.

Nel 1917 disegna i costumi di scena per Salomè di Oscar Wilde.




Aiuta il giovane critico d’arte Aksionov nella stesura del saggio Picasso e dintorni, dedicato al cubismo. Il libro pubblicato a Mosca nel 1917 con una copertina disegnata da Aleksandra è uno dei primi testi critici dedicati al cubismo e il primo volume in cui compare il nome di Picasso.

I costumi “cubo-barocchi” e le scenografie di Romeo e Giulietta (Mosca, 1921) costituiscono la sua più spettacolare realizzazione del principio di costruzione verticale influenzando la scenografia russa negli anni Venti.


Inizia a sperimentare il Costruttivismo usando materiali moderni come lamiere e celluloide. Le capita di essere criticata per la ridondanza dei colori ma proprio i colori, le forme a zig-zag, i trapezi e i rombi, i triangoli e le losanghe delle scene, dei costumi e degli scudi dei soldati testimoniano la sua origine bielorussa. Nel 1919 partecipa alla riqualificazione delle città di Kiev e Odessa e dal 1921 insegna Colore nello spazio al Vkhoutemas di Mosca. Espone in quell’anno alla mostra 5×5=25, sotto il titolo di Costruzioni di piani, costruzioni di forze, i suoi lavori basati sulla concezione del colore in contraddizione con le teorie del Costruttivismo di cui comunque è sostenitrice.
All’inizio degli anni Venti, il regista danese Peter Urban Gad le commissiona la creazione di quaranta marionette per un film che non sarà mai realizzato.


Per questo lavoro utilizza materiali vari tra cui tessuto, legno, plastica e metallo e per l’occasione produce venti disegni che rappresentano personaggi della Commedia dell’arte italiana. Nel 1922 le viene dedicata una mostra personale presso la libreria-galleria “Sarja” di Berlino. L’anno successivo disegna le uniformi per l’addestramento dell’Armata Rossa e all’Esposizione russa dell’agricoltura, dell’artigianato e dell’industria organizzata dal Presidium di Mosca partecipa all’allestimento dei padiglioni dell’Izvestia e della rivista Krasnaya Niva.
In quegli anni in Russia la burocrazia statale censura la libertà di espressione di artisti e artiste. Molti abbandonano il Paese e dal 1924, con la morte di Lenin e l’avvento di Stalin, l’arte sovietica subisce un’involuzione dovendo rappresentare la realtà al servizio dell’ideologia politica imposta dal potere centrale. Come molti anche Aleksandra decide di lasciare la Russia. Nel giugno 1924, col marito, l’attore Georgij Nekrasov, sposato nell’agosto 1920, col pretesto di esporre le sue opere nell’allestimento del padiglione sovietico alla Biennale di Venezia, riesce a uscire dall’Unione Sovietica. Al termine di un breve soggiorno in Italia si stabilisce a Parigi dove insegna prima all’Academie Moderne e poi all’Academie d’Art Contemporain di Fernand Léger. Continua tuttavia a rimanere legata alla Russia: collabora con il regista Protazanov alla realizzazione del primo film di fantascienza russo, Aelita, e partecipa all’allestimento del padiglione sovietico all’Exposition Internationale des Arts Decoratifs et Industriels Modernes di Parigi.


Alcuni schizzi documentano l’interesse per la danza che la porterà a realizzare, tra Parigi e Berlino, molte opere dal 1924-25 al 1929 per la famosa ballerina Kruger e la coreografa Nijinska. Nel 1929, durante il soggiorno americano realizza le Motolampade: esseri-luce, vestiti con tute che ricordano quelle del Ballet Satanique, sculture viventi in movimento su un fondale che si deforma a seconda della loro azione.

A Parigi apre un Centro di ricerca sull’abbigliamento e pubblica articoli sul “nuovo vestito” costruttivista. I suoi abiti da sera furono premiati con una medaglia d’oro all’Esposizione Internazionale delle Arti Decorative e Industriali Moderne di Parigi nel 1925.
Nel 1933 inizia a realizzare bellissimi e originali manoscritti miniati (guache su carta: libri scritti a mano e illustrati). È del 1939 il manoscritto Callimaque considerato il suo capolavoro: opera compiuta in piena guerra da un’artista trascurata, malata, sull’orlo della povertà, come testimoniano le sue lettere a Simon Lissim.

Nel 1936 partecipa alla mostra Cubismo e arte astratta a New York e tiene una mostra personale a Praga e Parigi, dove illustra pure libri per la casa editrice Flammarion. Dimenticata in un difficile dopoguerra, muore in miseria nel sobborgo parigino di Fontenay-aux-Roses il 17 marzo 1949. Poco prima della morte, non avendo eredi, lascia tutte le sue opere e i suoi archivi a Lissim, suo amico russo emigrato negli Stati Uniti. Si tratta di documenti personali, documenti di lavoro (schizzi, libri di collage, taccuini), corrispondenza personale e artistica, la sua tavolozza e soprattutto gli elenchi delle opere stilati da lei stessa. Nel corso degli anni si sono aggiunti altri documenti provenienti da persone vicine e dai suoi allievi: Nehama, Szmuszkowicz, Colucci, Michelet e altri. A sua volta Lissim prima di morire redige un testamento a favore di Andrei Nakov (1941–2022, storico dell’arte francese di origine bulgara) lasciando a lui l’archivio di Aleksandra insieme al suo archivio personale. Nakov per salvaguardare la memoria fonda nel 2000 l’Associazione Aleksandra Exter con sede a Parigi.
Nel corso degli anni Settanta, il lavoro di Aleksandra Exter è stato esposto in Europa e negli Stati Uniti e in numerose mostre personali e collettive. Le opere sopravvissute sono conservate al Museo del Teatro di Mosca, al Victoria and Albert Museum di Londra, al MoMa di New York e in diversi musei tedeschi.
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Articolo di Antonella Gargano

Da sempre viaggiatrice solitaria nei luoghi delle emozioni e dei sentimenti che non sa dire a voce alta. Eremita dello scrivere, ha vissuto la vita di una sconosciuta e a sessant’anni ha cominciato a vivere la sua senza neanche volerlo. Il suo simbolo: il cactus. Segni particolari: nessuno. Osserva l’essere con sguardo disincantato e ironico. Le passioni non sono il suo mestiere.
