Le idee di Giannelli per una necessaria innovazione didattica

Antonello Giannelli dal 2017 è il Presidente nazionale dell’Anp (Associazione nazionale dirigenti pubblici e alte professionalità della scuola). Essendo un ex Ispettore ministeriale, noi comuni docenti, schiave/i di pregiudizi radicatissimi e vecchi stereotipi, al tempo della sua nomina ce l’eravamo immaginato un po’ come il solito burocrate incravattato, attentissimo alle normative e poco incline a discorsi di sistema, capaci di tenere insieme bisogni e risorse, processi e risultati. Invece il dottor Giannelli è uno che il suo mestiere (difficilissimo, esposto e di confine tra il mondo “dentro” e quello “fuori” la scuola) lo sa fare e anche molto bene, a mio avviso. I suoi interventi sono sempre assai centrati, figli di attenta informazione e confronto tra le parti, frutto di riflessioni lungimiranti e concrete. Ora, in Italia il numero dei dirigenti scolastici è di circa 6.800 (cui si aggiungono 1.189 posti vacanti), di cui — udite, udite! — oltre il 70% è donna. Il presidente, accidenti, tanto per cambiare, è uomo, come spesso accade con i ruoli di potere nel nostro Paese, ma per una volta la frustrazione da femminista viene mitigata dalla consapevolezza che, al di là del genere, su quella poltrona sieda la persona giusta. Competente, capace, concreto, profondo conoscitore delle dinamiche del mondo che rappresenta, Giannelli sa il fatto suo e guarda lontano. Insomma, stando al suo operato si direbbe che abbiamo trovato un Presidente che, invece che alla poltrona, è attaccato al presente e al futuro degli/delle studenti e del mondo che li/le accoglie tutte le mattine. Un miracolo? Forse. O forse è solo il frutto di una vita dedicata alla cultura: chi molto si forma, professionalmente e umanamente, non può che migliorare sé stesso e il proprio sguardo sul mondo. Per dare un’idea di ciò che sto dicendo, riporto uno stralcio di quello che il 13 agosto, in occasione di un’intervista di Claudio Tucci del Sole 24Ore, Giannelli ha risposto al giornalista che gli chiedeva un commento sullo svuotamento delle classi a causa della denatalità: «Le “culle vuote” libereranno risorse economiche importanti. Ed è fondamentale che restino nel mondo della scuola e non vengano incamerate invece nel bilancio dello Stato. Innanzitutto per migliorare la didattica. La nostra istruzione ha quanto mai urgenza di fare un salto in avanti per innovarsi e quindi per assicurare opportunità agli studenti. È indispensabile avviare un profondo rinnovamento del modo di fare lezione in classe, con una personalizzazione dei percorsi e con una valutazione che abbia una forte valenza formativa. C’è bisogno di spingere sull’orientamento e sul tutoraggio. Insomma — aggiunge — meno didattica frontale e meramente trasmissiva e più spazio a una nuova didattica personalizzata, più stimolante e coinvolgente per i ragazzi. Smettiamola di pensare che i nostri giovani debbano motivarsi da soli quando frequentano la scuola; è piuttosto la scuola che deve imparare a rendere le ore in aula e nei laboratori più attrattive e interessanti per loro».

Dieci righe in tutto. Eppure siamo di fronte a una proposta di cambiamento a tutto tondo, che, per una volta, non parte dall’Istituzione, ma dai suoi attori e attrici e fruitori fruitrici come protagoniste. C’è tutto, in questo intervento: l’idea di una scuola democratica che deve assicurare pari opportunitá; la personalizzazione dei percorsi, in grado di rispondere adeguatamente ai bisogni di tutte e tutti; un senso della valutazione che da sommativa — centrata unicamente sui risultati — si fa formativa, cioè capace di monitorare le dinamiche e i progressi e identificare gli ambiti che necessitano di miglioramento, non solo per chi impara (ecco la grande novità!) ma anche per chi insegna. E poi c’è lorientamento formativo, che significa l’attivazione di un processo che accompagna le persone nello sviluppo delle proprie competenze orientative, ovvero la capacità di fare scelte individuali, formative e professionali consapevoli e autonome. La figura del Tutor Orientatore è stata introdotta due anni fa proprio per favorire questo processo, ma, essendo una novità, ha ancora bisogno di crescere e migliorare la propria funzione e le proprie competenze. Aiutare qualcuno/a ad autodefinirsi, significa guidarlo nella ricerca di una risposta alla domanda cruciale della vita: chi sono io? Chi voglio essere e come posso fare a realizzare me stesso/a e il mio progetto di vita? Capite che siamo di fronte a un compito importante e serissimo, a un processo cruciale, il cui epilogo può significare la conquista di un’esistenza appagante e felice, oppure la perdita di ogni possibilità di realizzazione personale. Per dirla con il linguaggio dei conflitti psicosociali di Erickson, ogni individuo può incappare nella strutturazione di una propria identità, oppure nella confusione dell’Io che si perde nei ruoli; nell’integrità della propria personalità o nella disperazione che accompagna il trascorrere insopportabile della vita. Sono temi immensi, per affrontare degnamente quali, la classe docente ha disperatamente bisogno di formarsi. Dobbiamo toglierci dalla testa l’immagine del maestro Perboni, personaggio centralissimo del libro Cuore, che entra in classe, siede alla cattedra e fa lezione nel silenzio più assoluto dei suoi alunni. Dobbiamo assolutamente pensarci giocoliere/i e organizzatori di un ambiente in fermento, dove ogni persona presente, che abbia 4 anni o 14 o 44, deve avere lo spazio e le occasioni per portare il proprio contributo personale e creativo all’apprendimento collettivo. Per questo Giannelli insiste sulla necessità di tenere le risorse all’interno della scuola: perché per cambiare la didattica in meglio, bisogna cambiare in meglio chi la propone, cioè i/le docenti, da arricchire di strumenti, di capacità, di competenze, di conoscenze. Bisogna attrezzarli/e. La ciliegina sulla torta (ma quando mai si è sentito un Presidente dei Dirigenti Scolastici dire una cosa del genere?), non a caso, è il passaggio in cui Giannelli spara a zero sulla lezione frontale e invita i/le docenti a imparare o, detto ancor meglio, a re-imparare a fare scuola. In che modo? Motivando, divertendo, stimolando, interessando le proprie classi e rendendo le ore scolastiche un tempo piacevole e ricco, creativo e pregno, fatto di attivazione e partecipazione più che di ascolto passivo e, per la più parte, noioso. Le intelligenze sono almeno nove, come ha ben dimostrato Gardner? Bene, uno stesso argomento deve arrivare in almeno nove modi diversi perché a tutti/e siano date le stesse opportunità di apprendimento, a ciascuno/a sia offerto ciò di cui ha bisogno per risvegliare, stimolare, sviluppare ciò che rappresenta il suo punto di forza. Le aule si svuotano perché non facciamo più figli e figlie? Quale grande occasione per migliorare la scuola e personalizzare la didattica! Giannelli ha capito e ha espresso una verità sacrosanta e inconfutabile: se le risorse rimangono nella scuola, possono essere investite per un miglioramento non solo epocale, ma quantomai necessario a un sistema che, così com’è, finisce per annichilire anziché far sbocciare i talenti che lo attraversano.

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Articolo di Chiara Baldini

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Classe 1978. Laureata in filosofia, specializzata in psicopedagogia, insegnante di sostegno. Consulente filosofica, da venti anni mi occupo di educazione.

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