Nata il 3 luglio 1881 in Russia, nelle tenute della sua nobile famiglia presso Tula, Natal’ja Sergeevna Gončarova prende il nome di una bellissima e celebre antenata, colei che fece letteralmente impazzire di gelosia il marito Alekandr Puškin, morto in seguito a un duello.

A Mosca, dove si traferisce nel 1891, studia medicina e poi scultura, quindi pittura che meglio offre l’opportunità di cogliere «la fragilità commovente di un fiore o la freschezza di un fiore primaverile». Qui incontra il compagno della vita, l’artista Mikhail Larionov, con cui formerà una coppia “aperta” e si legherà in matrimonio nel 1955, solo per motivi di reciproca eredità. La loro carriera corre parallela e il loro sodalizio artistico sarà solidissimo. Insieme fanno parte degli animatori della rivista Vello d’oro, aperta alle avanguardie artistiche. Insieme sperimenteranno, viaggeranno, faranno scandalo, frequenteranno le/gli intellettuali più importanti dell’epoca e, grazie a due ricchissimi collezionisti russi, conosceranno le opere di Cezanne, Matisse, Gauguin, Picasso, a cui Natal’ja si è avvicinata fino dal 1906, quando già espone a Parigi. Nel 1910 formano un gruppo su posizioni artistiche radicali, attivo per circa sette anni, denominato Fante di quadri. Altri movimenti d’avanguardia a cui dettero vita, dai nomi assai fantasiosi, furono il Cavaliere di diamanti, il Coda d’asino, il Raggismo. Nel 1912 Natalia espose una cinquantina di opere, volutamente distanti dalle correnti occidentali, in cui riprese la tradizione russa.

Fatto insolito, per non dire eccezionale, per una giovane artista, e donna, nel 1913 le venne dedicata nella galleria di Klavdia Mikhailova una retrospettiva che pare ospitasse ben 700 lavori a testimonianza del suo audace eclettismo: dipinti, sculture, bozzetti, figurini, ricami, disegni per carta da parati e tessuti. La mostra ebbe un successo straordinario, fu visitata da 12000 persone e furono vendute 31 opere per 5000 rubli. Quell’anno, insieme al compagno e all’amico scrittore Ilia Zdanevich, avevano compiuto un gesto senza precedenti, che oggi inseriremmo nella body-art; si erano infatti dipinti il volto e il corpo, intanto passeggiavano per le vie di Mosca declamando versi e scandalizzando le persone con questa inedita e originalissima performance futurista. Non contenta, Natal’ja diventa attrice e compare nel primo film dell’avanguardia russa, in cui balla il tip-tap; si tratta di Dramma nel Cabaret futurista n.13.
Quando le è stata dedicata a Firenze una grandiosa mostra a Palazzo Strozzi (settembre 2019-gennaio 2020) in cui era esposta una significativa selezione che spaziava nei generi che le furono congeniali, si è potuto finalmente apprezzare il suo genio, cominciando dalla pittura. Influenzata sì dalla tradizione europea, ma orgogliosa delle proprie radici culturali e artistiche, diceva: «L’arte del mio Paese è incomparabilmente più profonda di tutto ciò che conosce l’Occidente». Fu la prima pittrice a esporre quadri con donne nude in Russia, e fu scandalo; addirittura ci furono sequestri da parte delle autorità: per Modella su sfondo blu fu accusata di immoralità e pornografia perché il ritratto è dettagliato ed esplicito nella descrizione del corpo, mentre la posa è davvero originale, con quelle braccia sollevate e quel sesso in primo piano. Ma poi arrivò l’assoluzione. Ancora oggi su internet è un’impresa trovarlo in forma integrale. Produsse anche dipinti di argomento sacro, e così fece ugualmente scandalo perché questo genere, da sempre, era riservato agli uomini; d’altra parte era convinta che essere a immagine e somiglianza di Dio non fosse solo appannaggio dell’uomo e che l’intelligenza si manifestasse allo stesso modo in entrambi i sessi. I suoi Evangelisti vennero sequestrati perché così moderni da apparire agli occhi dei censori più tradizionalisti quasi delle parodie blasfeme, ma ancora una volta venne assolta. Al ritorno dalla Grande guerra del compagno, gravemente ferito, raffigura battaglie, trincee, soldati, cadaveri in una serie di litografie, non ne dà una visione romantica ed eroica, tutt’altro: offre invece un’immagine straziante, forte, senza abbellimenti, in cui l’esercito russo viene protetto dai due santi Giorgio di Cappadocia e Aleksandr Nevsky.

Natal’ja continuava a cambiare, a sperimentare, a utilizzare la sua inesauribile vena creatrice, quindi le furono congeniali la moda e il teatro. Veniamo dunque alla fruttuosa collaborazione con Sergej Pavlovič Djagilev, il massimo regista, coreografo, impresario che la Russia abbia avuto. Per diversi suoi balletti ideò costumi e scene e nelle fasi preparatorie, in cui non disdegnava i più faticosi lavori manuali, si vestiva da uomo, utilizzando comode tute da operaio. In mostra a Firenze si poterono ammirare, su dei manichini, alcuni complessi ed elaborati abiti per Il gallo d’oro (1913), ma erano altrettanto interessanti i bozzetti realizzati con tecniche varie: carta, collage, stoffa, mosaici, sfondi d’oro alla maniera bizantina da lei studiati per il balletto Liturgie, mai messo in scena a causa della guerra. «Il compito del costume ― diceva ― non è quello di vestire, ma piuttosto di materializzare il personaggio immaginato, il suo tipo, il suo carattere».

Dal 1919 Natal’ja non tornò più in Russia e si stabilì a Parigi. Qui lavorò nel negozio di arazzi di Marie Cuttoli, la Maison Myrbor, mentre quando era ancora in patria aveva collaborato con la famosa stilista Nadejda Lamonava, unendo eleganza e materiali poveri tipici della sua terra. Viaggiò allora per l’Europa: fu in Svizzera e in Italia, sempre vicina al futurismo, di cui apprezzava quel celebrato dinamismo e quella ricerca di innovazioni e modernità, ma pure all’astrattismo e al cubismo. A Roma fu l’unica collaboratrice di sesso femminile dell’esigente Djagilev, che la stimava moltissimo, per l’allestimento di Les Contes russes, ma il loro bel rapporto proseguì con Sadko, Les noces, L’uccello di fuoco. Dalla Spagna portò un profondo influsso che trasmise alla sua arte, dipingendo figure femminili ornate con mantiglie, scialli, pèttini sui capelli raccolti, ma pure utilizzò per i balletti mai realizzati dal vivo Rapsodia española e Triana ispirati al flamenco, e come spunto per oggetti d’arredo; a Firenze si poté apprezzare per la prima volta un meraviglioso paravento del 1928 con motivi floreali, proveniente da Chicago.

Non va dimenticato in questa vicenda cosa stava accadendo in Russia e nel mondo: dal crollo della borsa alla depressione, dall’avvento di Stalin al regime sempre più autoritario; le avanguardie non erano viste affatto con benevolenza, l’arte “degenerata” non piace ai dittatori, all’Ovest come a Est, quindi molte opere vengono distrutte, o lasciate in depositi, si va verso il disprezzo e la generale dimenticanza, con il rischio che un grande patrimonio artistico scompaia per sempre. Impossibile poi rientrare in Russia. Ecco la delusione e il rischio della miseria: Natal’ja e il marito sono costretti a vendere parecchi quadri, a vivere con poco illustrando libri e collaborando alla realizzazione di balletti; morto Djagilev e sciolta la compagnia dei Ballets Russes nel 1929, lavora per il Royal Ballet, per i Ballets Russes di Monte Carlo, per il Grand Ballet du Marquis de Cuevas. Con l’avanzare dell’età, arrivano pure i problemi di salute. Dal momento che anche la vita privata di Natal’ja fu senz’altro originale, nella coppia si era introdotto nel frattempo un terzo elemento, una donna che fu sorella, amica, amante, compagna; Alexandra Tomilina sarà, alla morte dell’artista, avvenuta a Parigi il 17 ottobre 1962, la seconda moglie di Larionov che morì a sua volta solo due anni dopo, nominandola erede. Alexandra decise di lasciare tutte le opere allo Stato sovietico che le ha disposte in una sede apposita, non essendo sufficienti le sale della Galleria Tretyakov. Significativo che i tre siano sepolti insieme, nel cimitero della cittadina francese dove vivevano: Ivry-sur-Seine, alle porte della capitale.
Qui le traduzioni in francese, spagnolo e inglese.
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Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie negli Istituti superiori, pubblicista, dal 2012 collabora con l’associazione Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni, fornisce consulenze alle amministrazioni locali. Fra 2016 e 2017 ha realizzato come coautrice tre libri: Donne mal dette e nascoste nel territorio e nelle strade italiane, Le Mille e Pistoia.Tracce, storie e percorsi di donne. Nel 2018 ha scritto e curato la guida al femminile: La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne. Nel 2025 ha curato il volume Le Nobel per la letteratura.
