Viaggio in terra birmana

Il Myanmar è la magia delle antiche atmosfere orientali col più elevato livello di misticismo; è un paese non facile per il grande contrasto, lontano nel tempo e nello spazio. Del Myanmar si sente parlare di rado, benché la situazione attuale sia caratterizzata da una guerra civile in corso da quattro anni, iniziata con il colpo di stato militare del 2021, e dal recente e devastante terremoto del 28 marzo di quest’anno. Le conseguenze sono state milioni di sfollati interni, distruzione di città e infrastrutture, una grave crisi umanitaria con carenza di cibo, acqua e riparo.
Si registrano anche continue violazioni dei diritti umani, come arresti arbitrari e detenzioni di oppositori/trici e giornaliste/i, di certo è una crisi nella crisi. I monaci chiedevano il rispetto dei diritti umani e la libertà, di culto in particolare, che il regime totalitario impediva, ma la giunta militare aveva risposto con la violenza, uccidendo e imprigionando moltissime persone.
Il governo militare aveva cambiato il nome del paese da Birmania a Myanmar nel 1989, per togliere ogni riferimento al colonialismo britannico, e aveva imprigionato la leader democratica Aung San Suu Kyi, icona della non violenza, vincitrice delle elezioni e premio Nobel per la pace 1991. Tuttora la leader è imprigionata dalla giunta militare che detiene il potere con continue restrizioni sulla popolazione.

Il turismo, motivato dall’immenso patrimonio storico-artistico del Paese, ha però continuato a esistere, rappresentando una garantita entrata economica. Oggi ho maggior consapevolezza della situazione di quella popolazione che andammo a visitare nell’agosto 2009, poco dopo la repressione dei monaci che nel 2007 avevano manifestato contro la giunta militare.
Partii dunque con il viaggio denominato Burma-Laos, con più giorni in Birmania e meno in Laos, Paese al quale dedicherò il prossimo articolo perché è anch’esso un vero gioiello del sud est asiatico. Il coordinatore aveva mandato per tempo un dettagliato programma di viaggio con tutte le raccomandazioni utili, comprese le vaccinazioni necessarie, per affrontare il viaggio. Il gruppo di una quindicina di persone, a maggioranza femminile, aveva appuntamento a Roma e da lì a Bangkok con cambio al Cairo.

L’arrivo in terra birmana è a Yangon, città umida che ha il muschio sulle pareti delle case, ma anche arbusti che fuoriescono dalle finestre. Si presenta a noi la nostra guida, che ci avrebbe seguito per tutto il viaggio in terra birmana: Ghi Ghi, così si faceva chiamare perché il nome in birmano, Theingi Htut, era troppo complicato per chi non conosceva la loro lingua; è una ragazza, che aveva imparato l’italiano, è stata la nostra traduttrice, benché dovesse rendere conto di ogni parola ai suoi controllori legati alla giunta militare, e infatti teneva un diario che aggiornava molto spesso. Una ragazza sveglia con un ottimo inglese, che si è da subito rivelata molto preparata, gentile, disponibile precisa ed esperta del mestiere; una vera garanzia. Il suo cellulare funziona bene, mentre il nostro smette di essere attivo, cosa che ci preoccupa non poco: è il regime!

Nel primo giro in città, mi meraviglio del fatto che gli uomini usino indossare gonne a portafoglio chiamate longji, spesso cucite in forma cilindrica, indossate intorno alla vita e lunghe fino ai piedi.

I maschi indossano la gonna

Arriviamo in un bell’albergo per riposare, dopo il lungo viaggio. Io e mio marito decidiamo però di andare in giro per Yangon, che fu capitale della Birmania fino al 1989, per avere un’impressione immediata della vita di quella città così grande, vivace e multietnica, sciupando così le energie che ci sarebbero servite più tardi per la visita della Pagoda Shwedagon, la principale della città.

Pagoda Shwedagon

Questo tempio è uno stupa dorato alto 98 metri e ricoperto di foglie d’oro, si trova ad ovest del lago reale sulla collina di Singuttara, di conseguenza domina il profilo della città. È la pagoda buddista più sacra per la Birmania, contenente le reliquie dei quattro Buddha, candidata alla lista dei patrimoni dell’umanità promossa dall’Unesco. Incerta è la datazione della sua costruzione, di certo si sa che fu più volte distrutta e più volte ricostruita. Quella sera camminare sulle piastrelle lucide del tempio, senza scarpe e con il sonno che mi piombava addosso, non è stato facile, ma visitare il complesso buddista con mille statue e decorazioni si è rivelato affascinante.

Il grande Budda sdraiato, Yangon

Il grande Budda sdraiato, poco lontano, è veramente imponente, è del 1907 e sui piedi reca scolpite delle immagini; sono le 108 qualità del Buddha.
In città si respira ancora oggi il retaggio coloniale, nonostante molti degli edifici siano ormai un po’ fatiscenti. Il cambio del danaro non lo abbiamo effettuato nei punti ufficiali, poiché ne viene dimezzato il valore e molto va a finire nelle tasche dei militari, bensì presso posti liberi, in pratica mercato nero, che però vogliono dollari in perfetto stato e danno in cambio logore banconote locali, i Kiat, ma a vantaggiose condizioni.

Già al secondo giorno dall’arrivo in Myanmar ci spostiamo con volo interno nella città cuore del paese, Mandalay, la cui ricchezza di monumenti è veramente notevole e richiede diversi giorni per la visita.
Cominciamo il giro andando a vedere una fabbrica di seta; le donne al telaio producono sciarpe dai colori sgargianti a 10-15 dollari.

Donne al telaio

Poi ci rechiamo al monastero Mahagandhayon Kyaung ad Amarapura, per assistere al pasto dei monaci, che per accedere al cibo devono lavarsi accuratamente.

I monaci a Mandaly si lavano accuratamente

È molto commovente vedere parecchie centinaia di monaci pulitissimi con la veste rosso scuro di tutte le età, in fila con la loro scodella. Davanti i più giovani e a seguire i più grandi e gli anziani; camminano scalzi, silenziosi, in fila per ricevere il riso e forse anche una banana.

I monaci in fila per ritirare il cibo, Mandaly
Il monastero dove studiano i monaci
Le monache buddiste

La tappa successiva è stata la collina alle spalle di Mandalay, per visitare un paio di templi. Abbiamo sostato in un piccolo monastero femminile dove le monache tutte in rosa ci hanno mostrato i locali dove vivono, studiando e pregando e ci hanno ringraziato intonando canti in sanscrito. Qui si pratica il buddismo Theravada o “Dottrina degli anziani”, è la scuola buddhista che si ispira alle scritture del Tipitaka, o Canone Pali, ritenuto generalmente l’insegnamento più antico del Buddha giunto fino a noi in forma scritta. Per molti secoli il Theravada è stata la religione più diffusa del sud-est asiatico continentale di Thailandia, Birmania, Cambogia, Laos e dello Sri Lanka.

Birmania, Hsinbyume Pagoda

A 10 chilometri da Mandalay, il giorno successivo, abbiamo raggiunto Mingun viaggiando sul fiume Irrawaddy; lì si trova la più grande pagoda del mondo che avrebbe dovuto raggiungere i 150 metri di altezza, iniziata alla fine del 1700, ma non terminata e segnata da terremoti che hanno squarciato una sua parete. A 300 metri a nord della Mingun Pagoda, vi è la grande campana e la Hsinbyume Pagoda, a forma circolare, caratterizzata da una imponente stupa situata in posizione centrale, circondata da una struttura costituita da sette terrazze concentriche, raffiguranti le sette catene montuose che circondano il Monte Meru, la montagna sacra, dimora degli dèi della mitologia induista. Attorno alla chedi principale sono presenti 1774 santuari, ciascuno dei quali contiene una stele di marmo di 168 cm in altezza e 107 cm in larghezza con incisi i testi sacri della dottrina buddhista in sanscrito.

Mentre si era diretti a Monywa il nostro coordinatore è entrato nella chiesa cattolica di Mandalay per lasciare un pacco di medicine portate dall’Italia. Per strade non trafficate e con vita campestre di risaie lavorate ancora con i buoi arriviamo a Monywa. Poco prima della cittadina attraversiamo il fiume con delle barche e poi proseguiamo in pick-up telonato per circa un’oretta fino alle grotte di Hpo Win Daung con infinite statuette di Buddha. Centinaia di grotte, belle e suggestive, isolate e assolutamente prive di qualsiasi presenza turistica, fuori dal solito circuito standard.
Alle 9 circa del giorno successivo siamo al punto di attracco di un’imbarcazione turistica e veloce per Bagan, la meta più famosa e più attesa.

Donne che vendono i loro prodotti a chi sta per partire

Ma prima assistiamo all’attracco del traghetto locale, quello popolare che è veramente uno spettacolo memorabile, poiché vengono fatte salire galline, maiali, taniche, mercanzie, monaci, uomini, donne e bambine/i. La nostra barca non ha tutto quel fascino e quella umanità, ma è moderna, più veloce e sicura, con aria condizionata e sedili comodi, anche se molti di noi hanno preferito passare le sei ore di navigazione sul ponte aperto. A bordo ovviamente solo turiste/i da tutto il mondo. Con Ghi Ghi avevamo raggiunto ormai un po’ di confidenza e mi sentivo pronta a farle alcune domande di natura politica. Lei ha mostrato imbarazzo, non avrebbe voluto parlare, ma visto che ci trovavamo sul ponte dell’imbarcazione ed eravamo abbastanza isolate, dopo essersi guardata attorno, ha finto di indicare il paesaggio e in realtà ha parlato della situazione di dittatura a cui il Paese è sottoposto e della loro leader ai domiciliari. Lei sperava di raggiungere il suo fidanzato in Malesia, ma sapeva che questo non sarebbe stato facile poiché il regime non dà i permessi. Io le ho fatto notare di non aver visto militari in tutto il periodo in cui siamo stati in Myanmar, ma lei, sempre fingendo di guardarsi attorno, mi ha indicato degli uomini in borghese che ci controllavano a debita distanza; turiste e turisti hanno dei percorsi ben precisi e sono sempre sorvegliati.
Arrivati a Bagan, alloggiamo a New Bagan, in un bel resort con piscina e comode stanze di cui ricordo l’arredamento di legno massiccio e molto scuro. A piedi raggiungiamo una delle migliaia di pagode che costellano la piana, per goderci dall’alto il tramonto dorato e lo spettacolo di queste guglie che svettano da una pianura rossiccia e illuminata da un bel tramonto. Qui il clima è più secco, la vista è molto suggestiva, ma la salita sulla pagoda di mattoni non è agevole: ci sono tratti esposti e non protetti.

Vista dei templi di Bagan

I templi di Bagan sono il vero tesoro del Myanmar (guarda qui un video), la cui costruzione risale all’XI secolo. Dopo tanti giorni senza comunicazioni, approfitto della possibilità di fare una telefonata a mia mamma, un breve saluto, poiché i costi sono molto elevati. Il giorno dopo ci attende la visita di una manifattura di lacche, una specialità birmana. Acquisto alcuni oggetti e rimaniamo tutte/i impressionati dal fatto che le ciotole decorate sono rese flessibili dall’uso di crini di cavallo al loro interno.

Si è andati poi a vedere cinque importanti pagode al bellissimo tramonto, dove ci sono venditori e bancherelle di artigianato dappertutto. Ed è qui che ho acquistato una tela dipinta con sabbia finissima che riproduce i principali momenti di vita del Buddha. Era possibile prendere a noleggio le bici dell’hotel e con ritmi lenti arrivare fino al mercato per strade interne, poco frequentate e assolate. Rimane il ricordo di una bella giornata, con ritmi più umani, comodità e relax.
Il viaggio prosegue verso l’ultima tappa del Myanmar, quella al lago Inle, vera riserva naturale. Lungo la strada ci imbattiamo nelle “donne giraffa” (vedi foto di copertina), penoso retaggio del passato che consiste nell’aggiungere degli anelli metallici al collo delle ragazzine, procurando loro sofferenze al solo scopo di divenire attrazione turistica.
Sempre lungo la strada incontriamo la fabbrica di sigari, quella degli ombrelli e della carta di riso.

Lavorazione di oggetti laccati
Lavorazione della carta di riso con l’uso di fiori veri

Eccoci sull’imbarcazione per visitare il lago con barcaioli molto gentili che ci fanno notare gli orti galleggianti, le palafitte e i molti pescatori che hanno la speciale modalità di remare con un piede.

Le palafitte sul lago Inle

Il giro in barca termina con un tremendo monsone, che ci coglie durante il tragitto del ritorno, esattamente in mezzo al lago.
Il giorno dopo, all’aeroporto del lago Inle, prendiamo il volo per Tachielik con sosta tecnica a Mandalay. All’arrivo due van ci portano direttamente al confine, distante circa 20 minuti. Finalmente segnale Gsm thailandese! Tutti i nostri cellulari riprendono a squillare, è una festa, mentre si spegne quello di Ghi Ghi: le prometto di scriverle!

Addio Ghi Ghi

In copertina: donne della tribù Kayan.

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Articolo di Maria Grazia Borla

Laureata in Filosofia, è stata insegnante di scuola dell’infanzia e primaria, e dal 2002 di Scienze Umane e Filosofia. Ha avviato una rassegna di teatro filosofico Con voce di donna, rappresentando diverse figure di donne che hanno operato nei vari campi della cultura, dalla filosofia alla mistica, dalle scienze all’impegno sociale. Realizza attività volte a coniugare natura e cultura, presso l’associazione Il labirinto del dragoncello di Merlino, di cui è vicepresidente.

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