Il cinema italiano degli anni Cinquanta ebbe due protagoniste di notevole importanza: Silvana Pampanini ed Eleonora Rossi Drago. Entrambe bellissime, slanciate, alte ed eleganti, condividevano non poche cose: dal mese e anno di nascita alla partecipazione al concorso di Miss Italia, dalla fortunata carriera a paralleli ruoli in vari film, fra cui La tratta delle bianche, fino al malinconico oblio. La prima, nota per l’avvenenza e il senso dell’umorismo, è stata spesso scelta per ricoprire la parte della donna seducente e passionale; la seconda, invece, apprezzata per l’innata eleganza, il portamento e la versatilità, ha interpretato figure sia drammatiche che brillanti. Nella fattispecie, però, è impossibile effettuare un vero e proprio confronto tra le due attrici, poiché furono differenti per attitudini e personalità, con un bagaglio lavorativo ed esperienziale assai diverso.

Silvana Pampanini, di origini polesane, nacque a Roma il 25 settembre 1925, proprio un secolo fa. Figlia di Olga Mariani e Francesco Pampanini, tipografo del quotidiano romano Momento-sera oltre che pugile dilettante, fu anche nipote della talentuosa soprano Rosetta Pampanini. Terminato l’Istituto magistrale, la ragazza si iscrisse al Conservatorio di Santa Cecilia a Roma e sempre nello stesso periodo decise di partecipare al concorso di Miss Italia. Era il 1946. Malgrado non abbia vinto il titolo ufficiale, conquistò certamente quello di «Miss Italia a furor di popolo». Stando alle testimonianze, infatti, durante la finale — tenutasi a Stresa, in Piemonte — il pioniere della pubblicità italiana, Dario Villani, lanciò un appello alla giuria, chiedendo: «Dobbiamo votare per il tipo di ragazza da dare in moglie a nostro figlio o per il tipo che vorremmo come amica?». Tale quesito si sciolse a favore dell’altra finalista, Rossana Martini, ma il pubblico insorse a favore di Silvana: volarono sedie e vi fu una rissa tra i sostenitori e le sostenitrici di una e dell’altra fazione che portò l’intervento dei carabinieri. Tuttavia, fu proprio questo concorso ad aprire le porte alla seducente attrice verso una rosea e brillante carriera nel mondo del cinema italiano, diventando, inoltre, la sex symbol di quel periodo. Un anno dopo Giuseppe Scotese la volle nel suo L’Apocalisse, mentre veterani della regia, del calibro di Camillo Mastrocinque, le insegnarono le tecniche della recitazione in un apprendistato rapido ma efficace. Nel 1949 era ormai una stella del panorama cinematografico: interpretò Fiamma, al fianco dell’ex Miss Wanda Osiris e di Totò — da sempre innamorato di Silvana e alla quale, si dice, avrebbe dedicato la canzone Malafemmena — in I pompieri di Viggiù. Lo stesso Totò, l’anno seguente, la richiese come partner in 47 morto che parla di Bragaglia. Sempre al 1949 risale la sua partecipazione a Bellezze in bicicletta in cui cantava il celebre motivetto e appariva anche l’antidiva Delia Scala.

Fu a questo punto che la sua fama si affermò pure a livello internazionale con O.K. Nerone (parodia dell’americano Quo Vadis) che ebbe un enorme successo all’estero, soprattutto in Francia dove fu battezzata “Ninì Pampan”. Dal 1952 in poi, oltre a ricevere le prime proposte di coproduzioni da Parigi, dall’America Latina e dall’Egitto, assunse ruoli sempre più seri in Italia, quali: Liliana Ferrarri in Processo alla città di Luigi Zampa; Lucia in La tratta delle bianche di Luigi Comencini; Gobette in La presidentessa di Pietro Germi; Gloriana nel film a episodi Un giorno in pretura di Steno.

Nel 1953, grazie a Giuseppe De Santis, diventò l’icona del miglior cinema popolare con Un marito per Anna Zaccheo e, solamente cinque anni dopo, lavorò al film — del medesimo regista — La strada lunga un anno, che ottenne il Globo d’oro, in cui fu Giuseppina Pancrazi, mentre la collega rivale Eleonora Rossi Drago era Susanna. Con l’avvenire del nuovo decennio Silvana Pampanini fu però quasi del tutto dimenticata dall’ambiente cinematografico italiano. L’unico che le rese omaggio fu Dino Risi con Il gaucho, dove l’attrice romana vestiva i panni di una diva sul viale del tramonto. Questa fu la sua ultima importante interpretazione prima di dedicarsi definitivamente al piccolo schermo, nei talk show e nei programmi di varietà che condusse, come Mare contro mare.

Nel 1996 scrisse un’autobiografia, Scandalosamente perbene, dove ripercorreva in maniera spiritosa ma al contempo riservata la sua vita e la sua carriera, raccontando dei film, degli incontri, degli scontri, dei registi, degli aneddoti, delle rivalità e delle amicizie. Parlò anche del suo unico vero amore — del quale celò sempre il nome — che non poté sposare poiché ucciso da una grave malattia a pochi mesi dal matrimonio. Dopo essersi ritirata a vita privata per dedicarsi ai suoi genitori malati, morì molti anni dopo, il 6 gennaio 2016 presso il Policlinico Gemelli di Roma, dove era stata ricoverata e operata. Aveva 90 anni. Nel 2003 era stata nominata Grande ufficiale al merito della Repubblica.

Eleonora Rossi Drago (nome d’arte di Palmina Omiccioli), invece, nacque da padre marchigiano e madre spagnola, proprio due giorni prima di Silvana, a Quinto al mare, un piccolo borgo vicino a Genova. In seguito al conseguimento del diploma magistrale, si esibì, per un breve lasso di tempo, in una compagnia filodrammatica e, contemporaneamente, fu figurinista e indossatrice in un atelier di moda. Nonostante i suoi impegni, riuscì a frequentare anche la scuola Eleonora Duse di Genova che le consentì di ricoprire un ruolo piuttosto importante in La ragione degli altri di Pirandello. All’età di 17 anni sposò l’ufficiale della marina Cesare Rossi, da cui ebbe l’unica figlia: Fiorella. Il matrimonio ebbe vita breve e, alla fine del conflitto mondiale, i due si separarono. Nel 1946 Giovanni Paolucci, vedendo in lei grandi capacità interpretative, la volle per il suo documentario Quartiere genovese, consigliandole di intraprendere la carriera artistica. L’anno seguente, grazie alla sua bellezza fuori dal comune, come Silvana Pampanini partecipò al concorso di Miss Italia, a Stresa, venendo selezionata per un possibile primo posto. Tuttavia, al momento della proclamazione della vincitrice, si diffuse la notizia che fosse moglie e madre e, di conseguenza, venne esclusa, in base al regolamento. Anche per lei il concorso di bellezza si dimostrò essere un trampolino di lancio; essendo forte nella fotogenia e apprezzata per la sua grazia, venne contattata da Giuseppe De Santis per un provino per il film Non c’è pace tra gli ulivi. Purtroppo, però, non ricevette il ruolo.

Dopo il trasferimento a Roma, nel 1949 venne scritturata per interpretare la popolana torturata dal capo della polizia in I Pirati di Capri, diretto da Edgar G. Ulmer e Giuseppe Scotese. All’inizio degli anni Cinquanta risalgono, invece, le sue prime due parti da attrice protagonista: Grazia in Altura e Marilù in Due sorelle che si amano. Fu però con Persiane chiuse che la sua carriera d’attrice prese definitivamente il via, recitando per la prima volta in un ruolo drammatico: una donna borghese alla ricerca della sorella divenuta prostituta, dopo essere stata allontanata da casa a causa di una relazione illecita.
Nel 1952 troviamo Eleonora Rossi Drago accanto a Silvana Pampanini in La tratta delle bianche. Anche in questo caso, le venne assegnato un personaggio impegnativo: una ragazza che, dopo aver partecipato a una gara di ballo che si rivelò essere una truffa per adescare giovani fanciulle, riuscì a fermare questo illecito. Solo dopo due anni, Eleonora ottenne una parte estremamente ambita da tutte le attrici dell’epoca (soprattutto quelle europee): Ersilia Drei in Vestire gli ignudi, lungometraggio ispirato alla omonimo dramma pirandelliano. Nel 1955 venne selezionata dal celeberrimo regista e sceneggiatore Michelangelo Antonioni per il quintetto di Le amiche, tratto dal romanzo di Pavese, composto da Valentina Cortese, Madeleine Fischer, Anna Maria Pancani e Yvonne Furneaux; fu uno dei ruoli più decisivi per la sua fama nel mondo cinematografico. Nello specifico, qui interpretava la direttrice di un atelier di moda romano che, chiamata a Torino per organizzare l’apertura di una boutique, sacrifica vita amorosa e privata.

Quattro anni dopo raggiunse l’apice della carriera con Estate violenta, diretta da Zurlini, dove rivestiva i panni della vedova di un ufficiale, che, durante la stagione estiva del 1943, finì per innamorarsi del figlio di un gerarca fascista. Grazie a questa interpretazione vinse il prestigiosissimo Nastro d’argento come migliore attrice. Tra gli altri film a cui ha partecipato troviamo: L’impiegato, Un maledetto imbroglio, tratto dal romanzo di Carlo Emilio Gadda, Tiro al piccione, Anima nera, Il disco volante, L’ultima carta, L’idea fissa, Il vedovo bianco, Il colpo del leone, Se permettete parliamo di donne, La Bibbia, Il dio chiamato Dorian, che si rifà al romanzo di Oscar Wilde Il ritratto di Dorian Gray, e il thriller Nelle pieghe della carne. Esigua fu la sua presenza nel mondo della televisione, dove apparve in pochi sceneggiati ma significativi come Padri e figli, La cittadella e la miniserie D’Artagnan.
Come talvolta accade alle belle donne, acclamate finché giovani, durante gli anni Settanta la sua bellezza e la sua carriera iniziarono a sfiorire; ciò la portò a una profonda depressione che culminò con il tentato suicidio con il gas. Era il 1973. Fortunatamente venne soccorsa e salvata dal nuovo compagno, l’imprenditore palermitano Domenico La Cavera, che sposò e con cui si trasferì a Palermo, ritirandosi a vita privata. Morirà al suo fianco il 2 dicembre 2007.

A Eleonora Rossi Drago è stato dedicato un libro: Eleonora Rossi Drago, la mia madrina (Il filo di Arianna, 2024), scritto dalla giornalista Francesca Camponero, di cui l’attrice fu effettivamente “commare”. «Mia madre si mise in testa che la mia madrina doveva essere Eleonora Rossi Drago e fece di tutto perché ciò accadesse» ha detto l’autrice. La madre, infatti, era sua fan accanita e la conobbe quando venne a Genova per la commedia Shocking di Brunello Rondi. Solo dopo una serie di peripezie, la donna riuscì — mediante un aggancio, poi divenuto rapporto di reale amicizia con la progenitrice dell’artista — a mettersi in contatto con il suo idolo. Il lavoro di Camponero si può descrivere come un viaggio nella personalità e nell’arte di Eleonora Rossi Drago, osservato e analizzato secondo due diverse prospettive: quella personale, basata sul rapporto diretto con l’attrice; quella oggettiva, sulla base della sua carriera cinematografica.
Tirando le somme, sebbene vi siano vari punti in comune tra le due icone, e altrettante differenze, è improprio ridurle a un semplicistico paragone. Si tratta, infatti, di due donne con un vissuto, carriere ed esperienze dissimili. Certo è, invece, il contributo che hanno lasciato nel mondo cinematografico, contributo che ha segnato e continuerà a segnare in maniera indelebile il panorama artistico italiano. Tuttavia, nonostante la loro notorietà, non risultano intitolazioni a queste grandi figure. Curioso, e allo stesso tempo divertente, però, è l’errore toponomastico che vede protagonista Silvana Pampanini, commesso dal comune di Roma, in zona Castel Giubileo, fino dal 1986. All’incrocio con via Mario Del Monaco esiste una strada che avrebbe dovuto essere dedicata a sua zia Rosetta Pampanini, ma, a causa di un palese equivoco, riporta la dicitura “via Silvana Pampanini”. Alla fine, una intitolazione è avvenuta, ma quando era ancora in vita…
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Articolo di Ludovica Pinna

Classe 1994. Laureata in Lettere Moderne e in Informazione, editoria, giornalismo presso L’Università Roma Tre. Nutre e coltiva un forte interesse verso varie tematiche sociali, soprattutto quelle relative agli studi di genere. Le sue passioni sono la lettura, la scrittura e l’arte in ogni sua forma. Ama anche viaggiare, in quanto fonte di crescita e apertura mentale.
