Mariannina era mia nonna, giovane sposa quindicenne, poi donna adulta, sulle cui spalle gravava il peso della famiglia, della casa, ma in più, per lei, c’erano i lavori straordinari che una donna del suo tempo doveva svolgere. Erano molti e voglio farli conoscere alle donne di oggi.
Il lavoro delle donne
La vita scorre lenta nel piccolo paese di Celle di San Vito, ma inesorabili si susseguono i giorni, lavoro dall’alba fino a sera, quando finalmente Mariannina si siede per leggere le preghiere e tirare un sospiro di sollievo. «Anche questa giornata è passata!», la sua frase preferita.
Ma oggi è un bel giorno di sole, sta arrivando la primavera e con essa la Santa Pasqua, non c’è tempo da perdere, bisogna iniziare le grandi pulizie, con l’aiuto di Nardinella e Vincenzella, le due servette, oggi sarebbero colf, tutto deve essere spolverato, lavato, lucidato, la casa deve splendere come la batteria di pentole di rame che fa bella mostra nella cucina, non è lavoro da poco se pensiamo alla fuliggine del grande camino!
Poi, domenica, verrà il parroco per dare la benedizione e le dirà che è brava e giudiziosa, queste parole la rallegreranno e la ripagheranno del lavoro fatto e varranno al parroco una mezza dozzina di uova in più nel paniere delle offerte! Le merita quel sant’uomo!

Il grano
Alla base dell’alimentazione nel sud c’è il grano, neanche un chicco deve essere sprecato; dopo il raccolto le donne fanno la spigolatura, si raccoglie anche quello bruciato con le stoppie e si fanno le orecchiette con il grano arso, quelle così di moda oggi!
Quest’anno la mietitura è stata ritardata dalle piogge, ma a fine agosto il grano è pronto, il parzonale carica la mula con i sacchi e li porta nel magazzino della casa di Mariannina, ora il lavoro è tutto per le donne.
Il grano, ancora caldo di sole e di quel bel colore di oro brunito, deve essere prima passato al cernicchio e ventilato per far volare via la paglia rimasta. Lavato e fatto asciugare al sole, viene ripassato, quasi, chicco a chicco, da tutta la famiglia, per togliere gli eventuali semini del papavero, che serviranno, piccoli e neri, pochi, a fare gli occhi alle pupette di pasta dolce a Pasqua. Rimesso nei sacchi, il grano è consegnato al mugnaio che, con il suo asino, lo porta al mulino. Anche qui è necessario l’occhio vigile di Mariannina, deve stare attenta che non rimanga troppo grano nella macina, un po’ è inevitabile, ma troppo no, e finalmente la farina scende dal tubo e va nei sacchi di tela.
L’asino del mugnaio, sulla groppa, la porta a casa e Mariannina potrà fare, tutto l’anno, il pane, le orecchiette, i cicatielli, le pizze-fritte, i dolci, e ci sarà benessere per tutti.
Quanto poco bastava alla serenità di Mariannina!


Il pane
Domani è il giorno del pane che accompagnerà i pasti quotidiani per due settimane, sempre buono e croccante; è questa un’arte difficile, la più impegnativa. Mariannina sa bene che è una prova a cui sottoporre la sua abilità e l’approvazione dei familiari; quindi il lavoro è lungo e si incomincia oggi.
La madia è pronta, il piede su cui cernere, le setelle pure, la farina è nel grande sacco, ben protetta dall’umidità; la nostra brava massaia ne prende una misura alla volta e la setaccia, prima con la setella a trama più sottile, per ottenere la farina più pregiata, il fiore, quella che servirà per fare i taralli con le uova e la torta con la ricotta a Pasqua, poi continua a cernere con la setella più spessa, mette da parte la crusca, servirà per il pastone del maiale.
Ora il lievito: Vincenzella va dalla vicina a prendere in prestito il crescento; questa è una bella storia perché quello che oggi è conosciuto come “lievito madre” è un’antica tradizione. Ogni massaia mette da parte un pezzo di pasta per far sì che diventi lievito e poi lo presta alla vicina che farà il pane dopo di lei, e il giro continua in tutto il vicinato.
Il crescento viene sciolto con l’acqua tiepida e impastato con la farina necessaria a farne una bella palla, e poi viene messo a crescere nella madia.
E ora tocca alle patate, sì, perché il pane si mantenga morbido per giorni, è necessario aggiungere alla farina le patate, quelle buone di montagna. Lessate, pelate, attenta a Nardinella che ne mette qualcuna in bocca!, e poi schiacciate bene con il laganaturo, vanno a dormire nella madia.
A letto presto stasera, domani è il grande giorno, giusto il tempo di ripetere l’invocazione e la preghiera: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano!».
È ancora buio, ma Mariannina è già in piedi, c’è silenzio nella grande casa e lei cerca di non far rumore; accende il fuoco e mette a riscaldare l’acqua che non dovrà essere bollente, un pugno di sale ed ecco arriva il grido della fornaia: «Donna Marianì, trumbè!», è il grido di battaglia, bisogna farsi trovare pronte; assonnate arrivano le aiutanti, ma la brava massaia sa bene che dovrà far tutto con le sue mani se vorrà che il risultato sia perfetto.
Rimboccatesi le maniche della camicia bianca, si mette al lavoro: mescola gli ingredienti nella madia, aggiunge l’acqua un po’ alla volta e inizia a impastare, poi lavora la pasta, che sia della giusta consistenza, non troppo molle né troppo dura, attenta!, e per circa un’ora continua con movimenti, delle mani e delle braccia, che hanno la sapienza del tempo.
Nardinella intanto assiste il fuoco, la cucina deve avere una temperatura costante, mentre Vincenzella pulisce i commodi che sono stati usati. Il lavoro è finito quando si formano delle bolle d’aria nella pasta, una spolverata di farina, un segno di croce benaugurante, e una spessa e calda coperta di lana viene messa sulla madia. Un piccolo riposo, altri compiti aspettano, il marito già chiede il caffè, i figli vogliono la colazione.
Ritornata la pace in casa, Mariannina consuma un pasto frugale con le ragazze, il suo preferito: acquasale, del pane bagnato con l’acqua e condito, nella spasetta, con olio, cipolla, origano e, se c’è, un pomodoro. Sono passate poche ore e risuona il grido della fornaia: «Donna Marianì, scanà», la madia viene scoperta e, dopo una leggera lavorazione, la pasta, divisa in pezzi, è posta nei cesti già preparati, foderati da tovagliette bianche e da una spolverata di farina, ripiegate le nocche dei panni, sotto la coperta dovrà riposare di nuovo per completare la lievitazione.
Dopo qualche tempo viene la fornaia e carica i cesti su una tavola che mette in precario — per noi, ma sicuro per lei — equilibrio sulla testa, protetta solo da un panno attorcigliato, e va al forno, dove il pane verrà cotto e fatto raffreddare per poi arrivare a casa e in tavola!
Ma è bene che Mariannina vada al forno a osservare il lavoro; è vero che alla fornaia spetta un pezzo di pasta, e perciò ha un coltello tra i denti come un pirata, ma bisogna fare attenzione che non sia troppo grande!
Le olive bianche
La pietra forte è preziosa perché è indispensabile per la preparazione delle olive bianche. Ne vengono sciolti 28 grammi in un litro d’acqua calda per preparare un chilo di olive verdi. Le rende molto gradevoli, ma occorrono molta attenzione e cure; le olive non mancheranno mai sulla tavola di Agnesina mescolate con le nere che sono buffe e vengono dette “come le facce delle vecchie”. Non c’erano creme di bellezza né interventi estetici per migliorare i visi avvizziti delle donne dopo una vita di lavoro, ma non mancava il sorriso sdentato nell’accogliere nipotini e nipotine in visita, insieme a qualche biscotto e scaldatello fatti nel forno di casa.
In copertina: antica foto di Celle San Vito.
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Articolo di Irma Rosa

Pensionata, nata in montagna, vive in pianura, ama il mare. Appassionata lettrice, non predilige un genere in particolare, ma ha una spiccata simpatia per il noir. Coinvolta dalla passione politica fin dai primi anni ’50, non perde occasione per affermare la sua resistenza a ogni forma di violenza. Le piace scrivere e, essendo dotata di ottima memoria, ama ricordare le storie di un tempo che oggi sembra una fiaba.
