Lo Stretto di Bering, scrigno prezioso di biodiversità marina e di migrazioni animali, è una via di comunicazione importante per le attività marittime. Con il riscaldamento globale questo choke point, navigabile soprattutto durante i mesi estivi, è diventato più facilmente percorribile.
Le isole Diomede, descritte nella prima parte di questo articolo, hanno un’altra peculiarità: non condividono la stessa data. Se a Grande Diomede è, per esempio, il 5 settembre, a Piccola Diomede è ancora il 4. Nel braccio di mare tra le due isole, infatti, passa la linea internazionale del cambiamento di data, fissata nel 1884 dalla Conferenza internazionale sui meridiani tenuta a Washington (International Date Line). Per questa ragione le isole sono chiamate anche Isola domani (Grande Diomede) e Isola ieri (Piccola Diomede). La differenza di orario è di 21 ore. Grande Diomede segue l’orario della Kamchatka russa, che è UTC +12 (cioè 12 ore più dell’ora di Greenwich), mentre Piccola Diomede segue l’Alaska, che è a UTC -9 e a UTC -8 quando è in vigore l’ora legale.
Alle isole Diomede, inoltre, è stata assegnata una funzione importante in tutti i progetti per costruire un ponte sullo stretto di Bering. L’idea del ponte, però, non è mai stata presa seriamente in considerazione, perché comporta problemi difficili da superare sia dal punto di vista ingegneristico che politico. Non sono mai andati in porto né il progetto, a cura di una compagnia russo-americana (sì, proprio russo-americana!) nel 1864, di una linea di comunicazione telegrafica tra America ed Europa attraverso l’Ovest, né quelli di una diga, di una tecnologia ferroviaria ad alta velocità e di una ferrovia sospesa. L’opera che raccolse maggiori consensi fu un ponte tra l’Alaska e la Siberia. La Russia ha autorizzato nel 2011 un finanziamento per la realizzazione di un tunnel sullo Stretto, che rappresenterebbe il più lungo al mondo (103 km), rientrante nell’ipotizzato collegamento transcontinentale “Tkm-World Link”.
Tra i tanti progetti c’è anche quello di un gasdotto attraverso lo Stretto di Bering. Questa zona ha potenziali risorse minerarie sottomarine che potrebbero essere sfruttate in futuro come gli idrocarburi, minerali preziosi e metalli rari tra cui litio e cobalto, cruciali per l’industria delle batterie e per le tecnologie di alta precisione. Nella regione artica ci sono petrolio e gas naturale, sul fondale si trovano solfuri polimetallici che contengono rame, zinco, oro e argento.
L’Artico, da “sentinella di ghiaccio” e frontiera impenetrabile e remota, è oggi al centro della competizione geopolitica globale tra le tre superpotenze, Russia, Cina e Stati Uniti.
L’Artico per la Russia, che ha sotto il proprio controllo metà della costa (quasi 24mila Km) e circa 2,5 milioni di persone che vi abitano, è un pilastro identitario, strategico ed economico, con immense risorse di gas, petrolio, terre rare, pesca, che rappresentano circa il 12% del Pil del Paese e il 20% delle esportazioni.

Per la deterrenza nucleare russa l’Artico è fondamentale: i sottomarini nucleari strategici, nascosti sotto i ghiacci, sono l’arma più potente per efficaci rappresaglie in caso di conflitto globale. L’ossessione per il confine ha fatto sì che dal 2005 la Russia costruisse basi permanenti come il Trifoglio artico, missili ipersonici nelle regioni polari, senza eguali nel mondo, in grado di eludere i sensori americani, ha trasformato la Flotta del Nord in distretto militare autonomo e potenziato alcune basi militari lungo lo Stretto di Bering. I 40 vascelli rompighiaccio fanno della Russia la principale potenza nell’Artico.

Lo scioglimento del permafrost dovuto al riscaldamento globale rende però vulnerabile la Russia di Putin mettendo in pericolo infrastrutture e insediamenti; gli incendi artici e il rilascio di metano, come ha ricordato Orietta Moscatelli in una bellissima lezione della scuola di Limes, pongono problemi ambientali sempre più gravi, senza trascurare l’esposizione della frontiera ad attori non rivieraschi dovuta all’apertura delle acque. Sul piano diplomatico, Mosca esercita da decenni un’attività di pressione per ottenere il riconoscimento della propria piattaforma continentale estesa e, da ultimo, l’Onu ne ha riconosciuto le ragioni. L’Artico per la Russia non è solo uno spazio da difendere, in base alla sua ben nota sindrome dell’accerchiamento, ma anche una risorsa da espandere, da mitizzare e da utilizzare come leva di politica estera.
Lo Stretto di Bering non è fondamentale solo come proiezione di forze navali e aeree ma anche come collegamento molto più veloce tra Asia, Europa e America del Nord, in grado di migliorare le rotte commerciali e consentire lo sviluppo di infrastrutture strategiche come gasdotti e oleodotti. La Northern Sea Route, che attraversa lo stretto, sta modificando profondamente le dinamiche del commercio internazionale.

Dal 2000 anche la Cina, che non è uno Stato artico per posizione geografica, si è definita un “near-Arctic country “, manifestando grande interesse per la regione, con l’obiettivo ambizioso di legittimare la propria presenza nelle dinamiche polari, considerando l’Artico come parte integrante della Nuova Via della Seta: la Polar Silk Road, un corridoio infrastrutturale e commerciale che colleghi la Cina all’Europa passando per le acque del Nord.
Sul piano commerciale, attraverso la rotta artica, la Cina potrebbe bypassare lo stretto di Malacca e ridurre i tempi di percorrenza verso l’Europa. Sui piani energetico e minerario l’Artico, ricco di uranio, terre rare, idrocarburi e votato alla pesca, è fonte di risorse indispensabili alla crescita industriale cinese. Sul piano militare, Pechino vorrebbe rafforzare, anche in chiave antiamericana, la deterrenza, con la presenza di sottomarini assetti dual-use. Benché dotata di rompighiaccio moderni come lo Xue Long 1 e 2, la Cina non ha per ora la capacità di operare stabilmente sotto i ghiacci. Le sue basi scientifiche in Islanda, Svezia, Norvegia, Finlandia e Svalbard, così come i satelliti polari, sono strumenti più di soft power che di dominio.

La Cina dipende dalla Russia per accedere all’Artico. La Northern Sea Route è l’unica via di transito sicura, ma Mosca non va oltre la cooperazione economica e scientifica. Soprattutto in materia di trasferimento di tecnologie subacquee è stata molto più generosa con la Corea del Nord che con Xi Jinping. Dal 2013 la Cina fa parte, come osservatore, del Consiglio Artico davanti al quale ha illustrato la sua Polar Policy, secondo cui l’Artico è una risorsa globale da condividere tra tutte le nazioni. Questa posizione cinese potrebbe essere occasione di conflitto con la Russia, che invece considera l’Artico una parte fondamentale del proprio territorio e della propria potenza. Tuttavia Cina e Russia collaborano da tempo nell’area sia per la realizzazione della Polar Silk Road che in progetti di ricerca scientifica, sviluppo ed esplorazione.

Paradossalmente la meno artica tra le potenze artiche è l’America. Pur avendo l’Alaska, non ha una cultura artica, percependo questa zona del mondo come una terra lontana piena di ghiaccio, diversamente da Russia e Norvegia che la sentono come parte del mito nazionale. Gli Usa hanno forti limiti strutturali nell’Artico: solo due rompighiaccio operativi, poche infrastrutture navali artiche, mancata ratifica della Convenzione Onu sul diritto del mare (Unclos), e forte dipendenza dalle basi alleate in Islanda, Norvegia e Scozia.
Con lo scioglimento dei ghiacci l’Artico non è più cuscinetto naturale ma l’unica vera frontiera geografica che mette gli Stati Uniti a contatto diretto con Russia e Cina. In caso di guerra globale, questa zona si trasformerebbe in un teatro operativo, come hanno ricordato i docenti della Scuola di Limes in una interessantissima lezione sull’Artico a cui ho partecipato: corridoio missilistico, bastione nucleare russo, rotta commerciale cinese. Senza Groenlandia e senza Thule, la base militare statunitense costruita ai tempi della Guerra Fredda come sentinella radar e punto di preallarme missilistico, la deterrenza americana sarebbe vulnerabile.
Per questo gli Usa propongono, già dai tempi della prima Presidenza Trump, che la Groenlandia diventi americana, essendo di fatto un avamposto Nato nell’Artico.
Ma questa è un’altra storia.
In copertina: Imagoeconomica.
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Articolo di Sara Marsico

Giornalista pubblicista, si definisce una escursionista con la “e” minuscola e una Camminatrice con la “C” maiuscola. Eterna apprendente, le piace divulgare quello che sa. Procuratrice legale per caso, docente per passione, da poco a riposo, scrive di donne, Costituzione, geopolitica e cammini.
