Editoriale. Di guerra e di pace

È una riflessione nata in un giorno di scuola.
Mi si perdonerà, dunque, se oggi, in questo mio editoriale, tornerò agli albori. E parlo proprio di inizi, del sorgere del sole della nostra civiltà, del principio comune nel quale ciascuno e ciascuna di noi si riconosce, non fosse altro perché così ci hanno insegnato.
È un passo indietro enorme, una corsa con l’orizzonte fisso che si allontana, un andare palindromo che parla di ciò che è stato e di ciò che è ancora.
Si studia a scuola; si ama nell’intimo segreto di mondi che sono solo nostri. Si conosce, forse. E sulla base di questa presunta conoscenza, si arriva a giudicare, persino a perdonare, in qualche maniera anche a giustificare, l’immonda creatura partorita dall’essere umano.
L’Iliade è un monumento alla guerra. È un’armatura dorata che avvolge il mito e che dà ai protagonisti la gloria eterna della poesia. Come nella vicenda di Achille, la guerra è la strada da percorrere per arrivare a essere immortali. È un testamento sacro, l’Iliade, che sembra dirci come dobbiamo stare al mondo. E lo fa. Lì, sotto la patina eroica degli uomini che si votano alla battaglia, lo fa. Se si ha il coraggio di lasciare la presa sicura sul corrimano e ci si lascia cadere tra le pieghe di quest’opera straordinaria, ciò che si coglie non è solo il rumore micidiale di grida, di armi che si scontrano o di rabbia furente sputata in faccia al cielo.
Certo, la guerra è ovunque nel poema. Miserabile, raccapricciante, dolorosa e lacrimosa. È ovunque: dentro e fuori le mura di Troia; davanti e alle spalle delle porte Scee; sulla riva del mare, nelle navi nere che, da ormai dieci anni, sono lì, stanziate e quasi marcite. La guerra è negli eroi che la combattono, Achei e Troiani; nelle donne che la subiscono; nelle divinità che la dirigono secondo capricci e umane vendette. C’è, inevitabile.
Eppure, c’è anche altro. C’è un altro così potente da riuscire rompere le maglie della morte che pare sorreggano, loro sole, il destino degli uomini qui raccontati. C’è un bimbo, Astianatte, che piange spaventato alla vista dell’elmo da guerra del padre. E c’è un padre, Ettore, che si toglie quell’elmo per prendere in braccio il figlio. C’è una donna, Andromaca, che prega il marito di scegliere lei, in barba a quella follia che l’uomo chiama onore ed eroismo. C’è uno scudo, armamento di Achille, il migliore tra i guerrieri, che è decorato con città popolose, con feste, con nozze e con spose. E ancora c’è Achille che, nel libro IX, nel suo accampamento dei Mirmidoni, dice che niente vale come la vita, che niente gli è prezioso come la vita.
C’è la compassione assoluta per i nemici sconfitti.
C’è pace, nell’Iliade. Il più straordinario monumento alla guerra è, in realtà un inno di pace.
Ed è così che funziona. La pace deve stare nella guerra, per forza di contrasto e di opposizione. Per quella compensazione che è il più grande attaccamento alla vita.
Il problema sorge quando avviene il contrario. Quando in un discorso sulla fine di un conflitto, i toni, le parole e le azioni parlano la lingua della violenza; quando un premio in onore della pace viene consegnato a chi la guerra l’ha auspicata e sperata e cercata; quando il computo dei morti non si ferma; quando avviene tutto questo e lo si nasconde tra il giubilo e le consacrazioni, allora lì c’è davvero da aver paura. Perché pace e guerra non sono le facce di una stessa medaglia. E se la prima riesce a contagiare e zittire la seconda, a parti invertite è poi difficile poter tornare indietro.

Sfogliamo il numero 345 di Vitamine vaganti: Un prodotto chiamato donna riflette sulle pubblicità sessiste e sulla proposta di eliminarne il divieto previsto da una norma del Codice della strada. Che i decisori non riescano a cogliere la relazione tra il corpo oggettivato delle donne e la violenza che arriva fino alla forma estrema del femminicidio, l’ultimo dei quali riguarda una giovane donna milanese, Pamela Genini, rappresenta un problema enorme per la società italiana. Proseguiamo con la donna di Calendaria, Doris Zinkeisen, artista poliedrica e con Mary Elizabeth Brunkow. Premio Nobel per la Fisiologia o la Medicina 2025, conquistato come spesso accade, con altri due uomini. Chissà perché il contrario non si è visto mai.
Come era la vita delle donne prima dell’invenzione delle lavatrici? Antichi lavori femminili. Parte seconda lo spiega in modo documentato e convincente.
Continuano le nostre Serie. Per “Turismo verso Est” leggerete Laos, lento e spirituale, mentre per “Un anno con Claudia Sereni” scoprirete un racconto che ha molto di autobiografico: Una storia chiusa. Il racconto di “Flash-back” In prima persona ci parla invece di quanto sia difficile per una ragazza che si sente italiana ottenere la cittadinanza. Avremmo potuto, con il nostro voto, migliorare e rendere più semplice almeno chiedere questo status per chi si sente italiana/o ma la maggior parte dell’elettorato referendario ha preferito non farlo. Il n.28 di Bibliografie vaganti è dedicato all’ Ingiustizia riproduttiva. Per la rubrica “Antropologia” leggerete il commovente racconto del Le Abuelas de Plaza de Mayo, eroine alla continua ricerca della propria discendenza. Con Ricette vegane dal mondo. Il maafe allarghiamo lo sguardo al mondo con uno dei piatti simbolo dell’Africa occidentale. Dedichiamoci all’arte, nelle sue varie forme: Due eventi romani per le giornate europee del patrimonio ci faranno scoprire due piccoli musei romani, «due gioielli, scrigni di bellezza», la Casa Museo Boncompagni Ludovisi e la Casa-museo Andersen, che aprono le porte in questo autunno a due artiste. Da Roma ci spostiamo a Milano: Al Teatro alla Scala eccezionale evento tutto al femminile è la recensione dell’opera lirica sulla grande poeta russa Anna Achmatova, realizzato con il contributo di Paolo Nori, un autore a noi caro. Concordia. Dialoghi sui paesaggi sociali descrive una parte del progetto Agrigento Capitale della Cultura italiana 2025.
E infine il consiglio di lettura di questo numero: Un libro per preadolescenti alle prese con il primo smartphone, la recensione del libro di Ottavia Spisni Il telefono che voleva tenermi sveglia, un testo illustrato che «contiene un’immensità di spunti e argomentazioni, che guidano i ragazzini e le ragazzine a un uso critico e consapevole dello smartphone».

Buone letture vitaminiche a tutte e tutti!

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Articolo di Sara Balzerano

Laureata in Filologia moderna, è giornalista pubblicista. Ama i romanzi d’amore e i grandi cantautori italiani, la poesia, i gatti e la pizza. Il suo obiettivo principale è avere la forza di continuare a chiedere: Shomèr ma mi llailah (Sentinella, quanto [resta] della notte)? Crede nei dubbi più che nelle certezze; perché domandare significa non fermarsi mai. Studia per sfida, legge per sopravvivenza, scrive per essere felice.

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