Laos, lento e spirituale

Riprendiamo il racconto del viaggio Burma-Laos, dell’agosto 2009, proprio dove era stato interrotto: su un ponte tra il Myanmar e la Tailandia, là dove i nostri cellulari, prima l’uno e poi l’altro, hanno ricominciato a suonare e ci hanno rimesso in comunicazione col nostro mondo europeo.
Per entrare in Laos dalla Tailandia si deve attraversare il fiume Mekong. Dopo i timbri sui passaporti traghettiamo il Mekong con delle barche. Dall’altra parte, in Laos, non c’è imbarcadero ma solo uno scivolo di cemento ove accostano le barche; è un passaggio di confine pittoresco, soprattutto sotto la pioggia e con tutti i bagagli. Per fortuna troviamo in vendita delle mantelle, molto utili nel periodo delle piogge monsoniche.
In Laos, subito dopo l’arrivo, le guardie controllano la temperatura corporea con dei termometri da orecchio. Una ragazza febbricitante del nostro gruppo riesce a passare solo dopo che, con suo grande disagio, si è vista costretta a farsi rovesciare acqua fredda in testa e nelle orecchie. Viviamo un caos generale per i visti, i timbri sul passaporto e il cambio-dollari; ci sono file distinte e selvagge, il visto si paga in dollari cash, senza storie sulla qualità delle banconote; in meno di un’oretta, però, si conclude tutto.

Eccoci finalmente in Laos, un paese poco conosciuto! Ai primi passi subito si avverte un’atmosfera più leggera che in Myanmar; qui non ci sono difficoltà di comunicazione con i cellulari.
Il giorno dopo ci rechiamo a Muang Sing, un villaggio vicino al confine con la Cina. La ragione principale per visitare questa località è che questa cittadina può essere usata come base perfetta per andare in esplorazione verso le tribù locali e per il suo stupendo scenario fatto di risaie e colline verdeggianti. Situata lungo il confine con il Myanmar e a breve distanza dalle verdi colline della Cina, questa zona costituisce il cuore del Triangolo d’Oro, la zona della grande produzione di papavero da oppio.
È significativo andare a Muang Sing perché è possibile, con una mappa, avventurarsi in un trekking in autonomia alla scoperta delle diverse etnie che popolano l’area. Queste diverse etnie si sono sovrapposte nel tempo creando un meticciamento di individui con caratteri fisici e culturali appartenenti tutti agli strati etnici più antichi.

Dialogo con i bambini di un villaggio nel nord del Laos

Per raggiungere i villaggi si devono percorrere strade sterrate, spesso in pessime condizioni, in particolare durante la stagione delle piogge nella quale ci troviamo. È consigliato avere un abbigliamento consono, niente pantaloncini corti per le donne o girare senza maglietta per gli uomini.
Non è facile per noi distinguere le varie etnie; ci sono i Thai Leu, che praticano il buddismo Theravada e per questo in ogni villaggio si trova un tempio, vivono in capanne di legno rialzate da terra. Si possono incontrare a nord ovest di Muang Sing.

Villaggio Thai Leu

I Yao o Mien si incontrano lungo la strada che porta al confine con la Cina, confine aperto solo per laotiani e cinesi, ma non per gli stranieri. I Tai Dam si riconoscono soprattutto perché le donne portano un copricapo tenuto fermo da una spilla vistosa con pendaglietti simili a monete. Gli Akha, che costituiscono l’etnia più diffusa, rappresentano il 50% della popolazione che risiede a Muang Sing. Sono la tribù più facile da incontrare al Morning Market e anche la più riconoscibile, grazie al copricapo ricoperto di monete argentate che indossano le donne.

Trekking nella giungla sul confine cinese

Il nostro trekking è stato caratterizzato da non poco sforzo per l’attraversamento di un fiume e camminate nella giungla col fango appiccicoso che rendeva difficile i movimenti, all’interno della quale sono stata raggiunta, in mezzo ai canneti, da un messaggio sul cellulare che mi ha molto stupita: Benvenuto in Cina! Anche il manifesto di Mao su una abitazione ci confermava che eravamo sul confine cinese.

Casa vicino al confine cinese

I villaggi visitati erano poverissimi, i bambini correvano seminudi nel fango, ma lì ho trovato una donna che vendeva i suoi lavori di cucito molto particolari e ho comprato una borsa con simboli in bianco e nero che continuo a usare ancora oggi.

Acquisto di una borsa cucina a mano

Abbiamo anche notato una donna con un piede gonfio perché si era fatta male e aveva un’infezione, chiedeva aiuto, ma noi non avevamo farmaci da lasciarle. Ci dicono che il medico e il dentista arrivano fin lassù raramente e ci dispiace molto. Nel pomeriggio con i nostri van, partiamo verso Luang Namtha, città sul fiume e famosa per essere la più bella dal punto di vista naturalistico, distante un’ora circa da Muang Sing. Riusciamo a trovare subito senza grosse difficoltà una buona ed economica sistemazione, e il posto si rivela più turisticamente attrezzato, con simpatici ristoranti e molti internet point. Buona la cena con musica laotiana dal vivo.
Il giorno successivo è stato di viaggio sul pullmino fino a raggiungere dei bungalow vicino al fiume per la notte. Ho un ricordo poco sereno di quella notte in una camera in comune con metà del gruppo, in quanto alle pareti e sul soffitto giravano indisturbati gechi di varie misure che mi impressionavano, oltre a molte formiche. L’alba mi rassicura: direzione Luang Prabang, la città affascinante che fece dire a Tiziano Terzani che più che un luogo geografico, il Laos è uno stato d’animo.
Trasportiamo i bagagli all’imbarcadero dall’altra parte del ponte. Ci siamo imbarcati tutti su una sola barca, praticamente era alla sua massima capacità. Navigazione splendida ed esperienza unica, proprio un bel giro di più di 4 ore; siamo giunti alla confluenza con il Mekong e si è proseguito fino al punto delle due grotte di Pak Ou a 30 km a nordest dal centro abitato di Luang Prabang, con 7.000 immagini del Buddha, realizzate dalla popolazione locale più di 300 anni fa. La grotta più grande, più profonda e più bella, è quella più bassa; la più piccola è accessibile attraverso una scalinata piuttosto ripida.

Un Buddha nella grotta

Raggiungiamo infine la mitica Luang Prabang, l’antica capitale, dove sbarchiamo nei pressi del palazzo Reale. La ricettività è ampia e non ci sono problemi a trovare stanze neanche in agosto. Nel pomeriggio siamo andati a fare i massaggi con olio e abbiamo assistito alla preparazione del mercato notturno sulla via principale.

Mercato serale di strada a Luang Prabang

Rimaniamo tre giorni in questa città e io e mio marito li abbiamo voluti trascorrere in forma autonoma dal gruppo, che ha compreso il nostro bisogno di riservatezza. Ci siamo voluti immergere nell’atmosfera lenta, calma e ricca di spiritualità, dove i bambini giocano nell’acqua o si arrampicano sugli alberi con grande libertà e sono proprio questi gesti a far commuovere mio marito, che si è rivisto nella sua infanzia del dopoguerra.

Palazzo reale a Luang Prabang

Visitiamo nei giorni seguenti il palazzo Reale, nel cui museo sono conservati gli oggetti del Re, comprese le scarpe, unico paio esistente nel paese alla fine dell’Ottocento, ricevute in dono dalla Francia. Poiché il nostro albergo è vicino a uno dei monasteri buddisti, possiamo ascoltare il tamburo battere alle quattro del mattino per dare il segnale del raduno della preghiera.

Palazzo Reale di Luang Prabang. I dragoni e la tomba del re, sepolto in posizione verticale

Alle sei poi c’è la camminata silenziosa dei monaci per la questua che ogni giorno segue il percorso lungo il quale le persone possono fare l’offerta di cibo infilandola nel loro contenitore.

La questua dei monaci mattutina per le vie di Luang Prabang

I monaci in Laos hanno una veste, la kesa, color zafferano che vuole rappresentare il distacco dal mondo. Tutti i ragazzi devono trascorrere un periodo in monastero, rasandosi il capo e dedicandosi allo studio dei testi buddisti, solo alcuni vi rimarranno per tutta la vita (video).

Entrando in uno dei templi, incontro un vecchio monaco che mi chiede da dove vengo: rispondo Italy e lui Oh, the old Europe! Mi ha fatto uno strano effetto questa risposta, che rivela la sua percezione non di un singolo Paese, ma del suo insieme; nel contempo mi ha fatto percepire un’identità europea che è, o meglio che era, ancora molto fragile in me.

Il vecchio monaco che mi ha rivolto una domanda

Ho assistito poco dopo anche a un esempio educativo di trasmissione culturale da parte di un monaco anziano che insegnava a uno giovane a restaurare le colonne del tempio, affinché non perdessero le loro decorazioni originarie in oro su sfondo nero.

Esempio di trasmissione culturale. L’anziano monaco insegna al giovane il restauro

L’Unesco ha riconosciuto il centro di Luang Prabang come patrimonio dell’umanità, molte nazioni ne sostengono il costo del restauro e, per fortuna, molte anziane/i si sono con coraggio opposti alla distruzione dei templi per proteggerne la sacralità contro chi spera di farne aree commerciali.

Parete decorata nel centro di Luang Prabang

Nell’ultimo giorno di permanenza mio marito ha voluto cercare la tomba di Henri Mouhot, il viaggiatore francese morto proprio a Luang Prabang, di cui conosceva la vita e di cui aveva letto il diario di bordo. Aveva viaggiato molto e nel 1860 aveva scoperto i templi ad Angkor in Cambogia che giacevano sepolti sotto una vegetazione tropicale e li aveva descritti nel suo diario, facendone anche dei disegni. In seguito aveva voluto andare a rendere omaggio al re del Laos, ma vi aveva trovato la morte a causa della malaria, allora chiamata febbre delle foreste. Con un tuc tuc abbiamo voluto rendergli omaggio, ma il nostro autista non sapeva né dove si trovasse la tomba e neppure comprendeva la mappa che gli abbiamo mostrato; solo la nostra perseveranza lo ha convinto e indirizzato verso la radura accanto al fiume, nella zona a est della città, poco lontano dal centro, dove appunto giace la tomba e il monumento.

Tomba di Henri Mouhot

Dei laotiani, Mouhot scrive che gli parvero «tranquilli, pacifici, sobri, fiduciosi, creduli, superstiziosi, fedeli, semplici, ingenui e aborrono il furto». Queste osservazioni ci sono sembrate ancora attuali, visto il sorriso e il saluto, sabaidi, col quale ogni giorno ci accoglievano. Non pare abbiano serbato rancore neppure nei confronti degli americani che durante tutti i lunghi anni della guerra del Vietnam, benché il Laos non svolgesse alcuna funzione strategica, effettuarono i più massicci bombardamenti aerei per il fatto che sul suo territorio passava il sentiero di Ho Chi Minh, che alimentava le truppe vietnamite.
L’ultima tappa del nostro viaggio in Laos è stata Vang Vieng, una cittadina situata lungo il corso del fiume Song (Nam Song), tra Vientiane, la capitale, e Luang Prabang. Dalla fine degli anni Novanta la cittadina divenne una destinazione turistica frequentata soprattutto da giovani hippies e backpakers, quei viaggiatori che portano con sé un’attrezzatura minima, adottando uno stile di viaggio economico, flessibile e avventuroso, basato su ostelli, mezzi pubblici e lunghi periodi di permanenza. Questo modo di viaggiare implica un’immersione nella cultura locale, adattabilità e desiderio di conoscere posti e persone, in contrasto con i viaggi di lusso. Oggi Vang Vieng è tornata a essere una destinazione turistica apprezzata principalmente per la bellezza del suo ambiente naturale; il territorio è caratterizzato da spettacolari rilievi e da fertili pianure, la maggior parte delle quali utilizzate per la coltivazione del riso.

Nam Xay, è un incredibile punto panoramico per una vista dall’alto su Vang Vieng al tramonto o al sorgere del sole. Dal tramonto spettacolare dell’ultima sera abbiamo dato il nostro saluto al paese dei mille elefanti. Non avevamo potuto visitare la misteriosa Piana delle Giare, nella zona settentrionale del paese seminata da enormi otri di pietra alti anche due metri, scalpellati, antiche di almeno 2500 anni, ma di ancora incerto uso. Sarà forse questa zona a richiamarci in futuro per un altro viaggio nel caro, lento e spirituale Laos.

In copertina: giovane donna laotiana.

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Articolo di Maria Grazia Borla

Laureata in Filosofia, è stata insegnante di scuola dell’infanzia e primaria, e dal 2002 di Scienze Umane e Filosofia. Ha avviato una rassegna di teatro filosofico Con voce di donna, rappresentando diverse figure di donne che hanno operato nei vari campi della cultura, dalla filosofia alla mistica, dalle scienze all’impegno sociale. Realizza attività volte a coniugare natura e cultura, presso l’associazione Il labirinto del dragoncello di Merlino, di cui è vicepresidente.

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