Emma Strada, ingegnera 

Sul quotidiano torinese La Stampa del 7 settembre 1908 compariva un trafiletto, dal tono fra il compiaciuto e l’ironico, che segnalava un evento apparentemente di poco conto, quasi soltanto una curiosità, ma che tuttavia rivestiva una portata storica: «Sabato scorso» annotava il cronista «al nostro Istituto superiore Politecnico, la gentile signorina Emma Strada di Torino ha conseguito a pieni voti la laurea di ingegnere civile. La signorina Strada è così la prima donna-ingegnere che si conti in Italia ed ha appena due o tre colleghe all’estero». 
Donna–ingegnere la si definiva, quasi a voler sottolineare che si trattava, sì, di una donna e le si riconosceva il titolo acquisito con pieno merito, ma quel titolo restava pur sempre prerogativa maschile. Ci si riferiva, in ultima analisi, a una donna che avrebbe svolto un lavoro da uomo, degna più di curiosità che di ammirazione. Anni dopo, un suo nipote, Riccardo Meregaglia, ricordandola in una lettera al Corriere della Sera, racconterà: «Fu tenuta un’ora in trepida attesa della proclamazione da parte della commissione di laurea non perché i voti e la tesi non fossero ottimi, ma per il grave dubbio se laurearla ingegneressa o ingegnere: alla fine si optò per il secondo termine». 

Emma Strada

Le porte delle Università si erano aperte alle donne nel 1864, ma si trattava di un vero e proprio percorso a ostacoli, anche perché fino al 1883 alle ragazze non fu permesso di iscriversi ai ginnasi, ai licei o agli istituti tecnici. Questo rendeva difficilissimo acquisire le competenze necessarie per immatricolarsi. Tra il 1877 e il 1900 furono 257, su un totale di 43.000, le donne che ottennero una laurea nel nostro Paese, la maggior parte in ambito umanistico, ma fra queste troviamo 26 laureate in materie scientifiche, mentre 13 furono le laureate in medicina. La quasi totalità delle lauree umanistiche e scientifiche conseguite dalle donne erano finalizzate all’insegnamento e tutti i corsi di laurea che offrivano come unico sbocco l’esercizio delle professioni erano considerati assolutamente inadatti a loro. Non bisogna dimenticare che solo nel 1919 la Legge Sacchi abolirà la cosiddetta “legge maritale”, cioè gli articoli dal 134 al 137 del Codice Civile del 1865 che, fra le altre cose, proibivano alle donne sposate l’esercizio di una professione senza l’autorizzazione del marito. 

Emma Strada non si sposò mai e non si limitò a laurearsi, prima donna in Italia, in ingegneria civile, ma esercitò la professione per tutta la sua vita, anche se per farlo era costretta a frequentare i cantieri con gli abiti lunghi, gli stivaletti con le stringhe e il cappello.
Emma era nata a Torino il 18 novembre 1884. Entrambi i genitori avevano origini nobili: provenivano dalla zona della Lomellina e si erano trasferiti a Torino per gli studi del padre Ernesto, anch’egli laureato in ingegneria nel 1877. Lei era la terzogenita: aveva due sorelle maggiori e tre fratelli più giovani, il maggiore dei quali, Eugenio, sarà anche lui ingegnere e con lei succederà al padre Ernesto nella gestione dello studio tecnico da lui creato, occupandosi insieme di progettazione, non solo nel campo dell’edilizia privata, ma anche in quello delle opere infrastrutturali. È fuori dubbio che l’ambiente familiare nel quale era cresciuta abbia favorito le sue scelte future, ma è altrettanto certo che Emma manifestò fin dalla giovinezza un carattere forte e volitivo. Fatto sta che, dopo aver completato gli studi secondari e conseguito la maturità classica nel 1903 al Liceo classico Massimo d’Azeglio, si iscrisse al biennio propedeutico di Scienze matematiche e fisiche all’Università di Torino. Infatti a quel tempo, per poter accedere al successivo triennio di ingegneria, era necessario superare due anni preparatori e poi un esame di disegno ornato e di architettura. Al termine dei cinque anni di studi universitari previsti, Emma si laureò col massimo dei voti, risultando terza su 62 studenti di quell’anno. 

Emma Strada studentessa di ingegneria, nel 1905

Dopo la laurea frequentò un corso in igiene industriale e divenne assistente straordinaria del professor Luigi Pagliani, direttore del Gabinetto di Igiene industriale all’Università di Torino. Allo stesso tempo collaborava col padre nello studio di famiglia: il suo primo lavoro fu un’importante opera di bonifica alla quale si dedicò personalmente per due anni: la realizzazione di una “galleria di ribasso” in Valle d’Aosta, che aveva lo scopo di drenare l’acqua da una miniera di pirite cuprifera. Emma non si limitava al lavoro di progettazione, ma trascorreva molto tempo nel cantiere di Ollomont, dove seguiva i lavori alternandosi al padre. 
In seguito si occupò della realizzazione di alcuni edifici residenziali in Liguria e a Torino, della ristrutturazione del municipio di Varazze, della costruzione di una scuola materna, di strade e ferrovie. Per un certo periodo tutta la famiglia si trasferì in Calabria, quando al padre vennero commissionate alcune importanti opere pubbliche: una galleria per l’auto-moto-funicolare di Catanzaro e il ramo calabrese dell’acquedotto della Puglia. La giovanissima ingegnera partecipò attivamente alla realizzazione di queste opere. I suoi pronipoti ricordano che la zia Emma, ormai anziana, raccontava che per andare in cantiere era costretta a svegliarsi prestissimo la mattina per potersi sottrarre alla curiosità della gente che la considerava come uno strano esemplare di donna, in un ambiente di lavoro “da uomini”, con i suoi abiti certamente non adatti alla circostanza. Nel 1910, anche suo fratello Eugenio diventò ingegnere e si unì a Ernesto e Emma nel lavoro dello studio. Purtroppo nel 1915 i due giovani restarono soli per la morte del padre. Lo studio fu intestato a Eugenio e Emma abbandonò la sua carriera accademica per dedicarsi esclusivamente alla professione. 

Emma in cantiere

Emma Strada fu una professionista molto feconda. Dai documenti ritrovati negli archivi di famiglia è possibile ricostruire tutti i suoi lavori. Eppure nessuno di questi porta la sua firma, per sua scelta. Probabilmente non lo riteneva conveniente per l’economia e l’immagine dello studio. Addirittura fino agli anni ’50 non chiese l’iscrizione all’albo. Nel 1925 torna a occuparsi di ingegneria mineraria, progettando e dirigendo i lavori di scavo di una miniera d’oro a Macugnaga, ai piedi della parete est del Monte Rosa. La sua carriera continua ininterrotta fino al 1946, quando la mamma si ammala gravemente e necessita di cure continue. Emma è l’unica delle figlie non sposata ed è lei a doversene occupare. Dopo la morte della mamma, Emma riprende il lavoro e decide di impegnarsi dal punto di vista sociale. È consapevole di essere stata una pioniera e sente il bisogno di dedicarsi alla questione di genere in campo scientifico e tecnologico. A partire dagli anni ’40 comincia a meditare sull’opportunità di fondare un’associazione di donne ingegnere e architette, che nasce nel 1957, l’Associazione italiana donne ingegnere e architette (Aidia), di cui è stata la prima presidente, ricoprendo questo ruolo fino alla sua morte, avvenuta nel 1970. Quando Emma Strada, insieme ad Anna Enrichetta Amour, Laura Lange, Ines del Tetto, Lidia Landi, Adelia Racheli, Vittoria Ilardi, Alessandra Bonfanti e Elvira Poli, fonda l’associazione a Torino davanti a un notaio, in tutta Italia ci sono 148 ingegnere e 147 architette, che rappresentano l’1% del totale. Oggi le ingegnere sono circa il 26% e le architette il 45%. 
Nel mese di giugno del 2023, la Sala Ex Consiglio di Facoltà del Politecnico di Torino è stata intitolata a Emma Strada. A Roma esiste una piazza a lei dedicata: “Largo Emma Strada”. 

In copertina: Politecnico di Torino intitola l’aula magna alla prima laureata d’Italia in ingegneria. 

Per saperne di più: 

  • AIDIA, Alla ricerca di un’ingegnere con l’apostrofo, Roma, DEI-Tipografia del genio civile, 2013. 

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Articolo di Maria Grazia Vitale

Laureata in fisica, ha insegnato per oltre trent’anni nelle scuole superiori. Dal 2015 è dirigente scolastica. Dal 2008 è iscritta all’Associazione per l’Insegnamento della Fisica (AIF) e componente del gruppo di Storia della Fisica. Particolarmente interessata alla promozione della cultura scientifica, ritiene importanti le metodologie della didattica laboratoriale e del “problem solving” nell’insegnamento della fisica.

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