Vita da maestra

Una delle prime professioni intellettuali femminili è stata quella di maestra elementare, mentre l’accesso all’università e a insegnamenti in istituti superiori è avvenuto più tardi. Ai giovanotti i genitori raccomandavano: «Sposa una maestrina!» visto che lo stipendio era assicurato, l’orario di lavoro adatto a una madre di famiglia, i pomeriggi spesso liberi, le ferie estive lunghe. Non era così semplice e scontato ottenere un posto fisso, soprattutto perché si doveva superare il concorso e le scuole primarie erano situate anche nei luoghi più sperduti.
Sono sempre stata circondata da maestre (e un maestro): la bisnonna Polinesia, rimasta vedova presto, costretta a un doppio turno di lavoro, mattina con bambini e bambine delle pluriclassi e sera con gli uomini adulti; la nonna e il nonno materni; la zia; la suocera; la cugina.
Vi racconto ora qualcosa che forse stupirà le lettrici più giovani e cittadine, di cui ho sentito parlare più volte in famiglia.
Mia suocera Leda, nata nel 1922, era una persona piuttosto riservata che non amava molto parlare di sé, però talvolta mi raccontava che per frequentare le scuole medie e le magistrali aveva dovuto affrontare per sette anni tragitti in bicicletta di svariati chilometri, con qualsiasi clima, andata e ritorno, per studiare poi a lume di candela. I primi anni di insegnamento, poi, erano stati durissimi: esistevano le scuole rurali e quelle di montagna, irraggiungibili con i rari mezzi pubblici, per cui, giovanissima, la domenica sera partiva a piedi con il babbo, poi trovava un uomo con l’asino che l’accompagnava fino a un certo punto, quindi di nuovo a piedi su una mulattiera per raggiungere i modesti locali dove era alloggiata per tutta la settimana.
La nonna materna Raffaella, nata insieme al secolo XX, si era diplomata presto e bene, ma, vivendo in Maremma, per arrivare a scuola, si doveva certe volte far trasportare da un barroccio (versione umile del calesse) su percorsi tortuosi e scomodi, mentre il suo affezionato cagnolino la seguiva di corsa, finché lei lo portava con sé e lo teneva nascosto sotto la cattedra di legno. Sua sorella, la zia Laura, appena assunta, insegnava in una frazione così isolata che le veniva inviato un barcaiolo per superare un fiumiciattolo e per avere un po’ di compagnia spesso si portava dietro la nipotina, la mia mamma, che ancora non frequentava le elementari e che le rimase sempre particolarmente legata.
Esisteva anche un modo particolare di fare lezione, in pieno XX secolo: in mancanza di aule, magari in un piccolo paese, la maestra, se ne aveva la possibilità, allestiva una o due classi in casa propria, che funzionava come una normale scuola statale. La zia Laura, donna simpaticissima e fenomenale narratrice di fiabe, una volta sposata, viveva in Garfagnana, nell’alta provincia di Lucca; a pianterreno della sua ampia abitazione aveva arredato appositamente queste stanze, accanto alla bella falegnameria del marito che, per hobby, realizzava mobili e altri manufatti in legno. Un vero paradiso di trucioli e profumi per una bambina curiosa, che ricordo con grande nostalgia, testimonianze di un mondo che fu.

***

Articolo di Laura Candiani

oON31UKh

Ex insegnante di Materie letterarie negli Istituti superiori, pubblicista, dal 2012 collabora con l’associazione Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni, fornisce consulenze alle amministrazioni locali. Fra 2016 e 2017 ha realizzato come coautrice tre libri: Donne mal dette e nascoste nel territorio e nelle strade italianeLe Mille e Pistoia.Tracce, storie e percorsi di donne. Nel 2018 ha scritto e curato la guida al femminile: La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne. Nel 2025 ha curato il volume Le Nobel per la letteratura.

Lascia un commento