Come un uragano

Esattamente come quando entrava in una stanza a riunione in corso — coi suoi passi, il suo portamento, quegli occhi meravigliosi e le sue gonne, il sorriso intelligente — in queste ore Oria Gargano ha fatto irruzione nei nostri impegni, nelle faccende in cui eravamo assorte, nelle parole e nei silenzi, nel nostro 29 ottobre 2025, stravolgendolo.
Oria non c’è più.
E non pare possibile.
Oggi è come se Roma perdesse una delle colonne più alte dei suoi Fori, la Marsica una delle sue orse più belle, il femminismo una voce autorevole e potente, il contrasto alla violenza di genere una guerriera indomabile.
Il suo lavoro accanto e per le donne è stato immenso, lungo una vita. Sia pure una vita troppo troppo breve.

Oria potevi incrociarla in un centro antiviolenza a Roma, come in Abruzzo, nel piccolo Molise o chissà dove, alla ricerca di un modo definitivo per colmare quel vuoto ancora da riempire a sufficienza con servizi, spazi, luoghi per le donne che intraprendono percorsi di autonomia.
Un giorno volava a Bruxelles per fare la formazione alle donne europee sull’attuazione della Convenzione di Istanbul, il giorno dopo potevi trovarla seduta insieme alle altre ad apprendere lei, qualche nuova azione, un nuovo punto di vista, alla scuola politica estiva di Be Free.

Oria Gargano la incontravi alla Casa Internazionale delle Donne, certo.
Ma anche nei luoghi dell’avanguardia del contrasto alla violenza di genere: in un braccio del carcere maschile di Rebibbia, con i progetti per i maltrattati. O al reparto femminile del Cpr di Ponte Galeria.
Non dimenticherò mai quella volta che mi chiamò con l’urgenza di chi sente addosso ogni ingiustizia come insopportabile per dirmi di correre nel centro di espulsione alle porte di Roma. Erano arrivate decine di donne nigeriane, vittime di tratta. E bisognava esserci, ascoltarle, liberarle. Spiegare a chi le stava trattenendo l’assurdità di tenere da recluse donne vittime di più di una discriminazione: nere, schiave, abusate, spesso incinta dei loro aguzzini.

Parlare con Oria era sempre una pagina da scrivere. E infatti ne ha anche scritte, nei suoi libri, come L’amore poderoso. Il romanzo di Linda e Leandro.
«Senti, ne ho combinata un’altra», esordiva al telefono quando ti chiamava per dirti che aveva messo a terra un nuovo progetto, spesso sospeso per aria come i sogni migliori, ma sempre capace, con un lavoro tenace e di rete, di vedere la luce. Come quella volta che mi ha trascinato in una campagna anonima alla periferia di Nettuno, sul litorale sud di Roma. C’era stato un lascito, una villa con un grande terreno messa a disposizione della cooperativa. Chiunque altro sarebbe scappato via a gambe levate. Oria no: aveva chiuso gli occhi, e aveva visto tra quei filari di olivi una opportunità di lavoro e di riscatto per le donne dei centri. Oggi quella suggestione è diventato uno dei progetti più fertili del piano antiviolenza della Regione Lazio: la cooperativa agricola “Cappelli delle fate”, che dà lavoro a donne di ogni età e provenienza.

Oria era così, un po’ fata e un po’ strega, ma soprattutto una donna a pieni motori, capace di una femminilità potente, capace di farti ridere dalla rabbia e piangere dalla felicità. Capace anche di portare addosso una malinconia assoluta, come un vestito che non senti comodo ma ti tocca indossare. Era così il suo sguardo da quando recentemente aveva perso il suo amatissimo marito, compagno di una vita.
Il suo è stato, anzi è, un femminismo curioso, coraggioso, mai giudicante. Sempre al servizio delle altre, sempre aperto al dialogo con le istituzioni. Conflittuale perché generoso, generativo all’ennesima potenza.

Per questo è sacrosanto che per darle l’ultimo saluto il Campidoglio abbia deciso di mettere a disposizione la sua sala più importante. Perché si è istituzioni anche fuori dai palazzi, si può cambiare la vita delle persone in mille modi. E Oria forse ne ha sperimentati mille e uno.
Tutte noi, che in queste ore ci scriviamo stravolte, abbiamo perso una sorella.
Qualcuno di noi, sono fra queste, ha perso un’amica.

«Salta su, non fa caso al casino», diceva quando ti dava uno strappo in macchina. Il casino, stavolta, l’ha fatto bello grosso lei, Oria. Ci ha lasciato un disordine intorno insopportabile.
Allora ci stringeremo ancora una volta in corteo anche per lei, anche con lei.
Ogni prossima volta.
Le compagne di Be Free lo sanno, non ci lascerà mai sole.

In queste ore la vignettista Anarkikka ha dedicato a Oria un suo disegno bellissimo. Dice: “La stORIA ha già il tuo nome”.

È così, e sarà.

Ringraziamo Marta Bonafoni, Consigliera Regione Lazio, per questo contributo, dedicato a Oria Gargano.

***

Articolo di Danila Baldo

Laureata in filosofia teoretica e perfezionata in epistemologia, già docente di filosofia/scienze umane e consigliera di parità provinciale, tiene corsi di formazione, in particolare sui temi delle politiche di genere. Giornalista pubblicista, è vicepresidente dell’associazione Toponomastica femminile e caporedattrice della rivista online Vitamine vaganti.

Lascia un commento