Quello alla salute riproduttiva è uno dei diritti che conferiscono sicurezza alla libertà di una persona sul proprio corpo, incidendo sulla sua vita in modo significativo; tuttavia le garanzie che ogni Stato dà a questa libertà differiscono da Stato a Stato. Per cercare di ottenere un livello globale sufficientemente adeguato di salute riproduttiva, l’Onu lo ha reso un target cardine per l’obiettivo 5 dell’Agenda 2030, mirato al raggiungimento della parità di genere. Si tratta di un obiettivo tanto ampio che necessita di una collaborazione totale, di un lavoro trasversale attraverso ogni strato e settore delle molte società che esistono nel mondo; in altre parole, è come navigare con il mare in burrasca verso un’isola che dobbiamo assolutamente raggiungere. Per comprendere meglio con quante dimensioni si intreccia l’argomento della salute riproduttiva, possiamo iniziare con l’analisi di una domanda: «Siamo in un Paese libero, ma libero libero?». Per i curiosi linguistici come me non c’è nulla di più italiano di una ripetizione rafforzativa, un fenomeno linguistico appunto italiano italiano. Un altro aspetto tipico della nostra lingua è il numero ampio di doppi sensi che si possono associare ai tabù che riguardano il sesso, manifestando una connessione culturale fra l’attività sessuale e la sfera del proibito. Il diritto alla salute riproduttiva spesso è tanto ampio in un Paese quanto la sua cultura lo consente, sintomo di una discrepanza tra ciò di cui un individuo ha bisogno in quanto essere umano e ciò di cui sente il permesso di fare in quanto membro di una comunità. Questo meccanismo può inficiare la salute riproduttiva e giuridica di un intero Paese, ripercuotendosi direttamente sulla libertà personale che una persona può esercitare sul proprio corpo e la propria vita. Solo in questo esercizio abbiamo visto come si intrecciano un livello linguistico, uno giuridico e uno culturale; se uscissimo dal piano teorico troveremmo anche quello politico, sociale ed economico.
Appurata la complessa marea in cui bisogna navigare, entriamo nel vivo giuridico più recente. L’Onu ha istituito come quinto Obiettivo di Sviluppo Sostenibile (SDG 5) il raggiungimento della parità di genere e l’emancipazione di tutte le donne e ragazze, basato su 9 target “pilastri” tra cui figura la necessità di «garantire l’accesso universale alla salute sessuale e riproduttiva e ai diritti riproduttivi», in linea con il Programma d’Azione della Conferenza Internazionale su Popolazione e Sviluppo del Cairo (1994) e la Piattaforma d’Azione di Pechino (1995), gli antecedenti storici di tale diritto¹.
La definizione di salute riproduttiva riguarda uno stato di benessere fisico, mentale e sociale in tutti gli aspetti relativi al sistema riproduttivo, alle sue funzioni e ai suoi processi. Essa implica l’accesso a servizi di contraccezione, aborto sicuro, assistenza prenatale e postnatale, educazione sessuale e prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili. In tal senso, la salute riproduttiva non riguarda solo la sfera biologica, ma anche la libertà di scelta e di autodeterminazione, motivo per cui garantendo un tale diritto, si promuove uno sviluppo sostenibile dove le donne possono pianificare la propria maternità, riscuotendo maggiori probabilità di completare gli studi, partecipare al mercato del lavoro e contribuire al benessere economico e sociale delle comunità³. Senza la salute sessuale e riproduttiva non si può arrivare all’uguaglianza di genere, è uno strumento fondamentale di emancipazione. Nella sfera sanitaria, l’accesso universale ai servizi di salute riproduttiva sarebbe essenziale per ridurre la mortalità materna e le gravidanze indesiderate, oltre a migliorare la qualità della vita delle donne. Nonostante ciò, le disuguaglianze rimangono profonde, l’Onu conta circa 257 milioni di donne nel mondo senza accesso a metodi contraccettivi moderni, da aggiungersi alle 800 donne al giorno che muoiono per cause legate alla gravidanza o al parto⁴. Secondo un’indagine condotta dal Parlamento Europeo, le cause principali di questa grave mancanza di accesso sono di natura economica, legislativa, culturale e infrastrutturale. In molti contesti, la mancanza di informazione, l’obiezione di coscienza o la stigmatizzazione sociale impediscono di esercitare un diritto che dovrebbe essere garantito a tutti e tutte⁵. Nel panorama europeo, la volontà di rendere universale l’accesso alla salute sessuale e riproduttiva si è manifestata nella risoluzione 2024/2655 dell’11 aprile 2024, quando il Parlamento Europeo ha chiesto di inserire nella Carta dei Diritti Fondamentali Ue il diritto all’aborto sicuro e legale, all’accesso universale ai servizi Srhr (Sexual and Reproductive Health & Rights), all’educazione sessuale completa e alla contraccezione gratuita, eliminando le barriere legali, economiche e quelle fondate su clausole di coscienza⁵. Come ha risposto la Commissione? In una parola, positivamente. Nell’agosto dello stesso anno ha affermato che non finanzierà iniziative che minerebbero il diritto alla salute sessuale e riproduttiva, ribadendo che tale diritto è intrinseco allo spirito costitutivo dell’Unione, impegnandosi inoltre nella promozione della causa nello scenario internazionale. La suddetta risoluzione è figlia dell’approvazione di un report, nel giugno 2021, sulla situazione dei diritti sessuali e riproduttivi nell’Ue, nella cornice della salute delle donne, secondo cui negare tali servizi costituisce una forma di violenza contro donne e ragazze. Storicamente, il Parlamento Europeo si è occupato della materia a partire dagli anni 2000 con la risoluzione 2001/2128 del 2002, che chiese misure per migliorare educazione sessuale, accesso alla contraccezione, prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili, assistenza materna. Nel 2013 il cosiddetto Estrela Report (formalmente “Report sui diritti alla salute sessuale e riproduttiva – A7-0306/2013”) propose delle raccomandazioni in linea con quanto appena scritto, riscontrando però l’approvazione in Commissione e il rifiuto in sede plenaria delle stesse, sostituite con un testo più limitato, che lasciava molti aspetti sensibili (aborto, educazione sessuale, coscienza medica) alla competenza nazionale. In conclusione, per entrare a far parte della Carta dei diritti fondamentali della Ue il diritto all’aborto dovrà essere approvato dai 27 Stati membri, alcuni dei quali manifestano forti resistenze a tale inserimento.
Immergendoci nel caso italiano, possiamo constatare che si tratta di un diritto garantito ma diseguale nel suo accesso. In Italia, la salute riproduttiva è tutelata dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN), che garantisce l’accesso gratuito a contraccezione, visite ginecologiche, assistenza al parto e interruzione volontaria di gravidanza (IVG), regolata dalla Legge 194 del 1978. Tale legge rappresenta un pilastro della tutela dei diritti riproduttivi nel Paese, sancendo la possibilità per ogni donna di interrompere la gravidanza entro 90 giorni per motivi di salute, economici o sociali. Nonostante il quadro normativo favorevole, l’effettiva applicazione del diritto rimane disomogenea data la possibilità di un/a medico/a di astenersi per motivi etici. In alcune regioni italiane, la percentuale di medici/che obiettori di coscienza supera il 70%, rendendo di fatto difficile l’accesso all’aborto e ai servizi di pianificazione familiare⁷. Uno strumento importantissimo è la presenza sul territorio italiano dei consultori familiari, che praticano le misure necessarie alla salute sessuale e alla prevenzione di malattie sessualmente trasmissibili, oltre a fornire un’adeguata assistenza per la pianificazione familiare e quanto concerne la gravidanza. Nonostante i consultori rendano questi diritti tangibili, la loro diffusione risulta diseguale sul territorio nazionale. Un ulteriore limite riguarda la mancanza di un’educazione sessuale strutturata: seppur esistano iniziative spontanee negli istituti di istruzione superiore pubblici, in Italia non esiste un obbligo nazionale di insegnamento dell’educazione sessuale nelle scuole, il che contribuisce a mantenere livelli bassi di informazione tra i giovani⁷. L’informazione è il primo passo verso una scelta consapevole, motivo per cui è necessario interrogarsi su due punti: a quale età si è pronti/e per maturare una sana consapevolezza dell’argomento e a quale età serve. Qualsiasi risposta si possa dare sarà necessariamente frutto di un delicato bilanciamento tra cultura, credenze ed esperienza personale; si palesa quindi la difficoltà nel trovare un comune accordo, che è uno dei motivi per cui ad oggi l’istruzione italiana presenta un’offerta disomogenea.
Uscendo dall’Unione, possiamo trovare un esempio virtuoso nel modello britannico, forte di un approccio integrato e inclusivo. Nel Regno Unito, la salute sessuale e riproduttiva è garantita dal National Health Service (traducibile con “Servizio Sanitario Nazionale”), che offre servizi completamente gratuiti e accessibili, comprese contraccezione, test per infezioni sessualmente trasmissibili, cure prenatali e aborto legale. L’aborto è regolato dall’Abortion Act del 1967, che consente l’interruzione volontaria entro le 24 settimane di gestazione, a condizione che due medici/che ritengano che la prosecuzione della gravidanza comporti un rischio per la salute fisica o mentale della donna. Un punto di forza del sistema britannico è la diffusione capillare delle cliniche di salute sessuale, le quali offrono consulenze riservate, gratuite e rapide. La prevenzione è aiutata dall’introduzione dell’educazione sessuale nel curriculum scolastico obbligatorio, non in modo indistinto ad ogni età, bensì cadenzando le informazioni negli anni adeguati ad ogni argomento⁸. Grazie alla combinazione di tali elementi, lo Uk ha creato un contesto più inclusivo e pragmatico di quello italiano.
I due modelli presentano degli elementi in comune, infatti entrambi adottano un modello sanitario pubblico e gratuito, ma in Italia la presenza di barriere culturali e strutturali ostacola l’effettiva fruizione dei diritti sanciti dalla legge. Il sistema britannico considera la salute riproduttiva parte integrante della salute pubblica, mentre in Italia il tema rimane spesso legato a dibattiti etico-religiosi, che influenzano la percezione sociale e la politica sanitaria, nonostante il diritto alla salute sancito dall’articolo 32 sia l’unico definito fondamentale dalla nostra Costituzione.
In conclusione, il diritto alla salute riproduttiva è una componente fondamentale dell’uguaglianza di genere e del benessere collettivo. Garantirlo significa promuovere l’autonomia delle donne, la loro partecipazione economica e la realizzazione personale, ma per farlo sarà necessario che tutti i Paesi investano maggiormente nella prevenzione, nella corretta informazione alle fasce adeguate di popolazione e nell’accessibilità territoriale: solo così il diritto alla salute riproduttiva diventerà universale. Per ora, continuiamo nel work (“lavoro”) sperando in un progress (“progresso”).
Note e Riferimenti:
¹ United Nations (2015). Transforming our world: The 2030 Agenda for Sustainable Development.
² World Health Organization (2022). Sexual and reproductive health.
³-⁴ UNFPA (2023). Sexual and reproductive health and rights: Key to gender equality.
⁵ European Parliament (2024). Garantire l’accesso universale alla salute sessuale e riproduttiva nell’UE.
⁶European Parliament resolution of 24 June 2021 on the situation of sexual and reproductive health and rights in the EU, in the frame of women’s health (2020/2215(INI)) (OJ C, C/81, 18.02.2022, p. 43, CELEX)
⁷ AIDOS (2021). Salute e diritti sessuali e riproduttivi in Italia: sintesi del rapporto.
⁸ Department for Education (2021). Relationships and Sex Education (RSE) statutory guidance.
Di diritto alla salute riproduttiva secondo l’Onu si è occupata una serie della nostra rivista a cura di Nicole Rana, il cui articolo introduttivo può essere letto qui.
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Articolo di Lisa Currenti

Laureata in Filosofia e laureanda in International Studies, perenne curiosa, crede che con il giusto sguardo si possa capire tutto. Si interessa di geografia, musica, psicologia, cinema, moda, biologia, sport e molto altro. Ama ascoltare, osservare e immaginare, tre elementi fondamentali per scrivere. Fa parte di quel gruppo di persone che spererebbe in giornate da 48 ore.
