Le bambine di oggi e di un recente passato non sanno cosa si sono perse, a differenza delle loro mamme e nonne che erano coinvolte in momenti di vita “da adulte” assai divertenti (e, perché no, istruttivi). Sto pensando, come accade in questi brevi spazi, ai personali ricordi che mi suscitano sentimenti piacevoli e grati alle donne della mia famiglia che mi portavano con sé, perfino ascoltando il mio parere, quando si recavano in tre luoghi, ora praticamente scomparsi.
Mi sto riferendo al negozio di stoffe, alla sartoria, al laboratorio della modista.
Partiamo per ordine: per farsi cucire un abito di un certo livello, magari per una comunione, una cresima, un matrimonio, oppure per avere un capo su misura, le signore dovevano ricorrere alla sarta, visto che scarseggiavano, negli anni Cinquanta-Sessanta, i negozi di abbigliamento, mentre esisteva una ampia scelta di pelliccerie, che oggi ci fanno rabbrividire di sdegno. Ma intanto ci voleva la stoffa che andava scelta appositamente in negozi qualificati, per cui capitava persino che si andasse a Lucca, nel celebre Fillungo. Per me era una festa perché venivo messa a sedere sul lungo bancone in legno e da lì potevo guardarmi intorno, fra pezze di ogni colore, fantasia, tessuto, consistenza. Piano piano davanti ai miei occhi venivano srotolate le stoffe prescelte per una prima valutazione; mamma, nonna e zia discutevano, soppesavano, valutavano. Quando, dopo una estenuante prova per la commessa o la proprietaria, si arrivava al dunque, mia zia Laura, che era una donna simpatica e burlona, non si accontentava del prezzo e di possibili sconti, per la fodera, per le rifiniture, per eventuali bottoni, cerniere, ecc., allora diceva che se ne sarebbe andata. E di fatto si allontanava, inseguita dalla negoziante perché si trattava comunque di un’ottima cliente. Alla fine la trattativa, proprio come nei suk arabi, andava in porto e l’acquisto era fatto.
Si doveva pensare ora alla sarta, ma attenzione: ce n’erano di due tipi, quelle più chic che avevano un proprio laboratorio-negozio con delle lavoranti rifinite, e quelle più alla buona, che raggiungevano le clienti a casa loro, in bicicletta. Per me bambina c’era la gentile Mara che mi realizzava graziosi completi di cotone a quadretti per l’estate, pantaloncini e casacca, oppure vestitini freschi e leggeri. Era lei che cuciva anche i miei costumi per Carnevale, di cui riparlerò. Andava bene per le cose semplici, anche per la mamma e la nonna: vestaglie per la spiaggia, gonne, abiti da casa, ma pure aggiustature, orli, colletti; all’epoca si arrivava a “rovesciare” un cappotto di lana buona, o addirittura a tingerlo di colore scuro. Le camicie degli uomini potevano avere due colletti, a scelta, attaccati davanti con un bottoncino, così si consumavano a rotazione!
Per i vestiti delle grandi occasioni, tailleur, cappotti allora si andava dalla signora Rita, che, non è un caso, aveva la sartoria vicina alla modisteria appartenente alla “maga” delle meraviglie che realizzava cappelli, veli da sposa, coroncine, spesso appoggiate su teste di legno mentre erano in lavorazione, fra tele, sete, tralci di fiori, tessuti impalpabili. D’altra parte, eleganza voleva dire indossare un cappello, proprio come certe regnanti più tradizionali ancora oggi oppure alcune snob che ne fanno sfoggio a particolari corse di cavalli, per tradizione consolidata. Quel laboratorio era un mondo magico agli occhi stupiti di una bambina. Ma questi affascinanti e raffinati lavori femminili, di lunga tradizione, da un bel po’ di anni non esistono quasi più, sembra di parlare di fantascienza, eppure appartenevano alla nostra vita quotidiana, che era bellissima. Un intero universo di donne e per le donne, da cui gli uomini della famiglia erano esclusi, presi da tutt’altri interessi. Allora non ci facevo caso, ora ci penso…
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Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie, pubblicista, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate a Pistoia e alla Valdinievole. Ha curato il volume Le Nobel per la letteratura (2025).
