Ammutinate: guida pratica per rispondere agli stereotipi sul femminismo di Eve Cambreleng e Blanche Sabbah, prefazione di Silvia Grasso, traduzione di Sara Manuela Cacioppo, edito da Le plurali, è una guida in uscita per Le plurali, nella collana Bussole. Ed è proprio una bussola, questa guida, per orientarsi nel mare degli stereotipi di una società ancora più che mai patriarcale, piena, in particolare, di stereotipi sul femminismo (e sulla libertà delle donne).
Una guida tutta illustrata, con accattivanti fumetti che rendono la lettura piacevole e divertente anche per le/i giovani, ma la cui piacevolezza non rende il tema meno serio e importante.
Le numerosissime tavole illustrate sono precedute, nell’edizione italiana, dall’introduzione della docente e filosofa femminista Silvia Grasso, che ci riporta alla nostra infanzia, quando eravamo brave bambine, educate a essere giudiziose. O forse non lo eravamo tutte, alcune di noi non credevano proprio di poter essere ribelli, o, per usare parole che preferisco, arrabbiate, indisciplinate, ostinate o ammutinate. Ammutinate, ecco, questa parola scelta per il titolo mi piace molto perché contiene la carica sovversiva ma anche l’idea di una protesta giusta. Forse alcune di noi lo erano, ma di sicuro la maggior parte di noi sentiva l’ingiustizia e non aveva gli strumenti e le parole (come dice Grasso) per manifestarlo. Io ad esempio ricordo bene la rabbia che provavo a sei anni, per quel maestro che era convinto che le bambine non potessero capire l’aritmetica, o quella che provavo alle scuole medie per non poter costruire, durante l’ora di applicazioni tecniche, i circuiti elettrici, come i maschi, e invece dover fare la maglia e il punto a croce. E poi, la rabbia, durante le mie prime uscite da sola, per dover essere continuamente preoccupata per ciò che, essendo donna, poteva accadermi e al contempo dover ricevere più limitazioni dei maschi, perché i maschi avrebbero potuto nuocermi. Il loro potenziale cattivo comportamento limitava la mia reale libertà. Quanto più serena sarebbe stata la mia adolescenza senza queste preoccupazioni! E ci sarebbero tanti altri esempi, ma non è questa la sede per parlarne.
Dunque, possiamo ammutinarci, e questa guida aiuta a trovare le parole per farlo, partendo dagli stereotipi, perché sempre quelli ci sono alla base, forti, radicati, trasmessi per generazioni, spesso incongruenti e paradossali ma non per questo meno potenti. Talmente potenti che ormai, anche grazie ai social (diciamolo, quando i social hanno un ruolo positivo), le parole per nominarli sono transnazionali: Not all men ce lo sentiamo dire tutte in tutto il mondo così come Non si può dire più niente ed è straordinario pensare che un libro di una femminista francese usi le stesse parole di quelle che usiamo noi. Per tutti questi stereotipi le autrici trovano le parole e le immagini per svelarli e forniscono risposte per decostruirli.
Prendiamo proprio Not all men, che gli uomini ci tengono tanto a ribadire. Ma non siamo cresciute sentendoci dire: «Non rientrare tardi perché puoi incontrare uomini pericolosi; non dar retta agli sconosciuti perché sono pericolosi; e, quando succede qualcosa, ma non lo sapevi che gli uomini sono predatori?». Eravamo noi le prime a dire che non lo sono tutti, per difendere la nostra libertà di uscire di cui i genitori volevano privarci, essendo donne! Ma continuare a ripeterlo per tanti uomini è un modo per sfuggire ad altre responsabilità, come battute e risatine, magari meno gravi della violenza, che alimentano, tuttavia, sessismo e mancanza di rispetto verso le donne. E comunque chiamare in causa gli uomini è importantissimo perché vuol dire liberare le donne da eventuali loro responsabilità, come l’aver bevuto o essere vestite in un certo modo.
E poi c’è il Non si può dire più niente, che è innanzitutto un modo per giustificare molestie, insulti, umiliazioni, battute. Certo, si fanno battute anche sugli uomini, ma quanto meno sono offensive! Al Non si può dire più niente segue Era solo una battuta. Ma è necessario farla, questa battuta, se si sa già che ferisce? E se si sa che ferisce perché pretendere che ci si faccia una risata (e questo è un concetto su cui ho indagato molto per la pubblicazione del mio libro E fattela una risata)?
E si parla di consenso, presunzione d’innocenza, del tema del separare l’uomo dall’artista, le femministe estremiste, l’essersela cercata, gli stereotipi su femminismo e religione e su femminismo e Lgbtqia+. Temi che ben conosciamo, ma che vengono trattati in questa guida in modo chiaro e leggero, seppure fermo.
Dicevo, dell’uso internazionale del linguaggio del femminismo. Anzi, dei femminismi, perché oggi più che mai è importante dare voce alle diversità, per non rischiare di rimanere schiacciate e, nel rispetto di queste diversità, è giusto anche rimarcare i punti di vista. Io penso di averne uno in particolare diverso dalle autrici di questo libro ed è il modo in cui mi pongo nei confronti della violenza. Ho sempre amato, della rivoluzione femminista, l’essere stata l’unica non violenta della storia e credo, da femminista, che mai la violenza possa essere una soluzione, neanche in casi estremi, e dunque che non possa neanche essere una provocazione.
In conclusione, ben venga questa guida per ammutinarci che aiuta a riflettere su temi su cui discutiamo quotidianamente e a fornire risposte, da tenere pronte, con modalità sempre diverse. Risposte che per un verso sono atti di disobbedienza, ma per un altro verso sono veri atti di sopravvivenza.

Eve Cambreleng, Blanche Sabbah
Ammutinate. Guida pratica per rispondere agli stereotipi sul femminismo
Le plurali, 2025
pp. 200
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Articolo di Donatella Caione

Editrice, ama dare visibilità alle bambine, educare alle emozioni e all’identità; far conoscere la storia delle donne del passato e/o di culture diverse; contrastare gli stereotipi di genere e abituare all’uso del linguaggio sessuato. Svolge laboratori di educazione alla lettura nelle scuole, librerie, biblioteche. Si occupa inoltre di tematiche legate alla salute delle donne e alla prevenzione della violenza di genere.
