Il colloquio 

Sicilia, anni ‘50 

Carla era cresciuta con la convinzione di dover trovare il suo ruolo nella società, seguendo le proprie inclinazioni e sicura che i sacrifici nello studio e nella vita quotidiana costituissero la condizione abilitante per realizzarsi sul lavoro. Vissuta in un contesto di forte matriarcato, in cui la mamma, la nonna, la zia erano tutte ostetriche operose, non sapeva cosa fosse la discriminazione di genere. 

La realtà, però, era tutt’altro. Il senso di abnegazione per il proprio dovere vissuto in famiglia l’aveva riparata, senza che lei ne fosse consapevole, da tutto ciò che accadeva oltre le vecchie mura di casa. A scuola c’erano stati i bulli, quasi sempre maschi, che però prendevano di mira chiunque, senza distinzione di genere. Ma poi, davanti a una versione di greco o a un’interrogazione di italiano, tornavano tutti uguali: la preoccupazione per il proprio rendimento scolastico, i sacrifici per lo studio che tutti indistintamente, dovevano affrontare. Anche all’università aveva trovato facilmente un gruppo di amici, la maggior parte uomini, con cui condividere le giornate tra le aule e le biblioteche. Una volta, con suo fratello Franco, era persino andata a una delle famose “uscite fratelli/sorelle”, in cui ci si sfidava in gare goliardiche: quella sera, le sorelle erano state vittime di una memorabile battaglia col cibo — i ragazzi usavano come bersaglio le sorelle altrui — ma lei l’aveva vissuta come un gioco. Aveva avuto la fortuna di incontrare giovani progressisti, aperti. Nessuno di loro aveva mai trovato strano che una ragazza frequentasse un corso di laurea in Chimica e Scienze Naturali. Ragazzi estrosi, ognuno aveva idee originali. Ricordava la teoria, argomentata in modo rigoroso, quasi filosofico, di un suo collega convinto che dormire più di quattro ore per notte fosse uno spreco di vita. “Pensa,” diceva “un terzo della nostra esistenza passato da incoscienti. Non ne vale la pena”. 

Eppure, il fatto che nelle aule dei suoi corsi non incontrava altre ragazze non aveva risvegliato nessun campanello di allarme in lei. “Avranno scelto altre facoltà” aveva pensato. Nemmeno si stupiva quando certi professori la chiamavano per fare la maionese alle feste, era lei che sapeva farla così bene, le bastava una sola forchetta e creava un preparato sorprendentemente sodo e spumoso. Le era anche capitato che i carabinieri la fermassero, un giorno mentre era alla guida dell’automobile del fratello per accompagnare una sua amica ad Acicastello. Nel chiederle i documenti, avevano anche commentato che una ragazza seria non avrebbe dovuto guidare un’auto, ma la cosa aveva destato solo un poco di disappunto in lei che gestiva le faccende domestiche e si occupava anche di servizi fuori casa, aiutando il padre e il fratello. Sua madre Clara, morta mentre tornava da un parto notturno, pochi anni prima, era considerata un’istituzione a Catania, ma aveva fatto appena in tempo a vedere sua figlia laureata che li aveva lasciati. 

Le era piaciuta sempre la chimica, era la sua passione, i testi “Chimica Generale” di Mario Pasquali, come pure Fondamenti di chimica” — di Silvio Pochettino erano stati i suoi compagni fedeli. Quando seppe, da ex colleghi dell’università, che l’azienda Montecatini di chimica industriale di Catania stava assumendo, con grande trepidazione inviò la lettera con la sua candidatura. 

Fu convocata dopo circa quindici giorni per un colloquio presso lo stabilimento nell’area delle ex Ciminiere della zona industriale cittadina. 

Fu quel colloquio a smantellare l’idea che si era fatta del mondo.  

L’intera fila di uomini seduti di fronte a lei la osservava con aria sorniona, passandosi la lettera che lei aveva inviato. Il signore al centro, con baffi arricciati e con un papillon azzurro, stava indicando al collega al suo fianco destro qualcosa sul foglio, suscitando un sorriso e una successiva risatina trattenuta a stento dall’uomo. Lei li guardava incuriosita, dritto negli occhi, con il modo di fare elegante che da sempre la contraddistingueva. Un’eleganza che andava ben al di là dell’abito sobrio che indossava. Un’eleganza che viene dall’animo e che forse solo il termine di Saffo abrosüne è in grado di descrivere. 

“C’è qualche problema?” chiese, perplessa per l’attesa prolungata a cui la stavano sottoponendo.  

Fu l’uomo alla sinistra del signore con il papillon, circa sulla quarantina, a risponderle: “Vede, signorina, ci stavamo chiedendo perché lei abbia questa laurea. Non pensa di aver perso anni preziosi del suo tempo?”. 

La domanda la colpì, soprattutto perché non riusciva a comprenderla “Ho una qualifica in più, tra l’altro specifica per la vostra azienda, i miei genitori ci hanno sempre tenuto a…” 

“Ma, signorina, in questa azienda le persone con una laurea sono pochissime e tutte nelle posizioni dirigenziali”.

Lei continuava a guardarlo, questa doveva essere una buona notizia, le avrebbero potuto offrire fin da subito un buono stipendio… 

“Ma le donne che assumiamo sono tutte operaie. Il problema, quindi, è che lei ha un titolo inutile per essere assunta in questa azienda, abbiamo dirigenti bravissimi senza laurea e lei che vorrebbe fare? Comandare persone così? Cosa crede di venire a fare qua? Ci rincresce, ma siamo costretti a respingere la sua domanda di assunzione, perché non sappiamo cosa farle fare.” 

Fu così che, per la prima volta, Carla realizzò anche il senso di tutto quello che aveva vissuto negli anni precedenti, ma a cui non aveva mai dato peso. Tornò al parcheggio avvilita, consapevole di dover dare un dispiacere a suo padre e a suo fratello, che avrebbero voluto vederla in quell’ azienda, a Catania e vicino casa, nella posizione che tutti gli anni di studio le avevano fatto meritare.  

Fu allora che ricordò sua nonna Caterina, il suo carattere risoluto, i suoi incitamenti: “Devi essere meglio di loro e renderti utile e la strada sarà tua perché solo tu l’avrai segnata”. Decise che avrebbe lottato, affinché sua figlia, sua nipote e tutte le donne come lei potessero seguire la propria strada con determinazione. Mentre apriva l’auto prese la pagina del giornale sulla quale aveva letto “Concorso per insegnamento in scuola secondaria di primo grado” e fu così che il prologo della sua battaglia ebbe inizio. 

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Articolo di Vittoria Stanzione

Liceo classico a Salerno. Laurea magistrale in Fisica a Pisa con una tesi sulla termodinamica quantistica. Attualmente sta finalizzando la tesi di dottorato in Fisica su biologia quantistica. Appassionata da sempre di letteratura, collega la fisica con il suo lato umanistico nel progetto “letteratura quantistica”. Passa il suo tempo libero tra libri, sport non agonistico e lezioni di bachata influence.

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