Ognuna/o di noi sceglie un’amica, una compagna per condividere dei momenti nel tempo libero: un film, una passeggiata, un viaggio.
Amo andare al cinema e la scelta dei film è un rituale ricorrente che condivido con Tiziana, un’amica ma anche una fonte inesauribile di sapere e di ispirazione. Normalmente io faccio la proposta e poi Tiziana mi manda una serie di vocali: «Si, mi piace», «Dai, mi voglio fidare», «Mh, non mi convince…», «Oggi non è giornata per questo film».
Io e lei andiamo molto d’accordo e troviamo sempre un punto d’incontro, di partenza o di arrivo.
La nostra scelta, lo scorso fine settimana, si è posata sul film Crossing Istanbul di Levan Akin.
Una scelta atipica dettata dall’esclusione, in questo caso, degli altri film in programmazione.
Il cinema è il nostro preferito: “Cinema Gabbiano”, accogliente e familiare nel pieno centro di Senigallia, con solo due sale per la proiezione: una più di rappresentanza, con poltrone rivestite di velluto rosso e l’altra più piccola, decisamente defilata e impolverata con drappi e poltroncine blu.
Ultimi posti rimasti: solo nelle prime due file nella seconda sala. Io e Tiziana la prendiamo con la nostra solita ironia che ci contraddistingue e decidiamo di immergerci nella proiezione di questo interessantissimo racconto, praticamente appiccicate allo schermo.
Iniziamo quindi la visione della proiezione in una sala secondaria, insieme a una platea decisamente fluida.
Il regista apre il film con una frase: «Il georgiano e il turco sono lingue prive di genere grammaticale». La similitudine linguistica diventa quindi il preludio di un film originale, drammatico e a tratti divertente.
Il lungometraggio si apre a Batumi, città portuale sulla costa georgiana del Mar Nero, dove Lia, un’insegnante in pensione, è alla ricerca di Tekla, nipote della protagonista per esaudire l’ultimo desiderio della sorella, trovando nel giovane Achi un improbabile compagno di viaggio.
Lia, sulle tracce di Tekla, arriva a Istanbul dove riceverà il supporto di Evrim, un’avvocata che difende i diritti delle persone transgender e che le farà scoprire un mondo nuovo.


Il film esplora le difficoltà vissute dalla comunità Lgbtqia+ in società tradizionali e il tema della migrazione, legando la ricerca di un parente in fuga a problemi sociali e personali.
Il regista, attraverso la ricerca di Lia e Achi, esplora la vita della comunità transgender a Istanbul, intrecciando la loro storia con quella di altri personaggi, come quello dell’avvocata Evrim.
Il personaggio di Evrim come quello di Lia funge da perno nella tessitura della trama e diventa fondamentale nello sviluppo della narrazione. Mi sarebbe piaciuto conoscere meglio Evrim, sapere della sua storia e di come fosse approdata a Istanbul.
Troviamo anche lei su quel traghetto che attraversa da una sponda all’altra della città. Anche lei un’anima in pena che si accontenta di briciole d’amore, vivendo nella speranza di riuscire a fare colazione con l’uomo che la cerca solo di notte, solo per soddisfare i suoi capricci, per poi sgattaiolare in maniera grottesca e prevedibile alle prime luci dell’alba.
L’esagerazione di tacchi e corpetti si diluisce con il dolore e la rassegnazione di alcune figure appena accennate e a tratti sfocate.

Quando Lia e Achi si recano nell’ufficio di Evrim sono accolti da rappresentanti della comunità Lgbtqia+; le loro domande sono incalzanti, tutti/e sembrano attivarsi con un “tam tam” collettivo per ricercare la ragazza ma, a un tratto, si fermano e, con sguardo serio e complice, si rivolgono a Lia: «Dicono che Istanbul sia un posto dove la gente viene per scomparire. Siete sicuri che voglia essere trovata?».
Dopo questa frase il gelo, un tentennamento che ricorda il dolore della fuga, la consapevolezza della visione di una realtà che aveva segnato passaggi dolorosi nelle loro esistenze, una realtà che difficilmente sarebbe stata accolta, compresa.
Si parla di migrazione, di ricerca di “fortuna” nella città di Istanbul dove però le persone «sembrano tutte sparire per sempre» o, semplicemente, non vogliono essere più cercate.
Crossing Istanbul a tratti ricorda Le Fate Ignoranti di Ozpetek, ma con meno dramma e meno tonalità di rosso.
Levan Akin è un regista svedese, figlio di una famiglia emigrata dalla Georgia durante il controllo sovietico. Il titolo del film si ricollega ai docufilm di Fatih Akin Crossing the Bridge e The Sound of Istanbul proprio per rimarcare il legame profondo con la città e il tema dell’attraversamento di popoli e culture.
Il regista, in una sua recente intervista, dichiara che il film è una lettera d’amore a Istanbul.
In questo viaggio tra una sponda e l’altra della città rimane una fotografia meravigliosa, fatta di ombre, blu, luci calde e drammatiche, ma soprattutto tanti gatti, gatti ovunque che popolano la città, distesi e sonnecchianti nei punti più improbabili, solo come i gatti possono fare.

Istanbul è abitata da numerosi gatti randagi che vivono liberamente nella città e sono considerati come parte integrante della cultura e dell’identità urbana, spesso chiamati anche Catstanbul.
Fondamentale poi la camminata di Lia, fiera e determinata che si fonde a quella dell’avvocata Evrim e di altri personaggi che diventano emblemi della lotta quotidiana per i diritti. Lia così dura, ma anche così materna e pronta ad accogliere tutti, lei che forse madre non lo è mai stata.
I personaggi che intrecciano vite, storie e motivazioni diverse ridisegnano in qualche modo un concetto di parentela e solidarietà non convenzionale.
Sarebbe stato interessante approfondire di più l’animo di alcuni personaggi per attraversare meglio alcune sensazioni e visioni.
L’epilogo è onirico e il dolore si trasforma in sogno proprio come tutte le volte che ci raccontiamo qualcosa di più bello rispetto alla realtà delle cose.
In copertina una scena tratta dal film.
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Articolo di Arianna Marsico Gajulli

Nata in provincia di Milano mi sono trasferita a vent’anni nelle colline Marchigiane dove vivo assieme a un simpaticissimo golden retriever e altri amici, umani e non. Sono una libera professionista e counselor, lavoro da anni nel settore dell’organizzazione di eventi e nuovi progetti. Esploratrice di cammini di felicità scrivo e fotografo per passione e per la gioia di condividere le esperienze con le altre persone.
