Maria Angela Ardinghelli, scienziata con discrezione 

Maria Angela Ardinghelli è ricordata soprattutto per le sue traduzioni annotate di due testi di uno dei padri della fisiologia, il newtoniano Stephen Hales, dal titolo Emastatica e Statica vegetale rispettivamente. 
Tuttavia, se andiamo ad analizzare con maggiore attenzione la sua biografia, ci rendiamo conto che il suo contributo al dibattito culturale del suo tempo va ben al di là di questa opera di divulgazione. 
Per un lungo periodo, durante la seconda metà del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, fu lei a ricoprire un importante ruolo di collegamento fra le comunità scientifiche di Napoli e della Francia, operando di fatto come corrispondente estera informale per l’Accademia delle Scienze di Parigi. 

Non era un’aristocratica, anche se la sua famiglia, di origini fiorentine, era molto antica ed era giunta nel Regno di Napoli fin dal XVI secolo, quando a Firenze si era instaurato il governo dei Medici. Quando suo padre Nicola, contro il volere dei genitori, sposò la napoletana Caterina Piccillo, fu privato di tutti i suoi titoli e privilegi, ad eccezione di una piccola rendita, che però non gli permetteva di mantenere uno status proporzionato alla nascita. 
Maria Angela era nata a Napoli nel 1730 ed era cresciuta come figlia unica, perché aveva perso il suo unico fratello in tenera età. La sua era una condizione abbastanza complicata: il padre non si poteva permettere di fornirle una dote adeguata, e alla sua morte lei avrebbe corso il rischio di trovarsi senza alcuna rendita e nell’impossibilità di provvedere a sé stessa, senza la protezione di un uomo. 

Maria Angela Ardinghelli 
Maria Angela Ardinghelli 

Il padre tuttavia le diede qualcosa che si rivelerà ben più prezioso di una dote: una educazione di prim’ordine. La fanciulla ebbe la possibilità di studiare filosofia e scienze fisico-matematiche con le menti più in vista della città, come il fisico Pietro Della Torre e il matematico Vito Caravelli. Oltre a questo, ebbe modo di padroneggiare le lingue straniere, il francese e l’inglese, e a soli quattordici anni la sua conoscenza del latino era così approfondita da permetterle di comporre poesie in quella lingua. Insomma Nicola Ardinghelli mise la figlia nella condizione di essere apprezzata negli ambienti colti della capitale del Regno, forse nella speranza di farle sposare un rappresentante di quel mondo, o, per lo meno, affinché potesse guadagnarsi da vivere col suo lavoro di intellettuale. 

Nel 1734, con la vittoria di Carlo di Borbone sugli austriaci, Napoli era divenuta la capitale di un regno autonomo. Il nuovo Re vi si stabilì e inaugurò un felice periodo di rinascita economica, culturale e politica: rinnovò il sistema universitario, fece costruirei il teatro San Carlo e avviò l’opera di scavo del sito archeologico di Ercolano, al quale dopo qualche anno seguì quello di Pompei. È in questo clima di rinnovamento che uno dei più potenti aristocratici napoletani dell’epoca, Ferdinando Spinelli, principe di Tarsia, inaugurò nel suo palazzo una biblioteca pubblica a cui era annesso un museo di strumenti scientifici. Il curatore del museo era Giovanni Maria Della Torre, l’insegnante di filosofia naturale (la moderna fisica) di Ardinghelli. 

Palazzo Spinelli, sede della Biblioteca Tarsia

L’inaugurazione della biblioteca e del museo fu un evento memorabile, che aveva lo scopo di cementare l’alleanza dell’aristocrazia napoletana col nuovo Re. Il pretesto fu la nascita del principe ereditario: durante la sfarzosa cerimonia, seguendo un ordine rigoroso stabilito con cura dal cerimoniale, prima le donne e poi gli uomini di cultura più in vista della nuova capitale recitarono una loro poesia scritta per l’occasione in onore del Re. Queste opere poetiche furono poi raccolte in un volume dedicato allo stesso sovrano. Maria Angela, che all’epoca aveva solo diciassette anni, fu l’ultima delle dame, dopo Eleonora Barbapiccola, che aveva tradotto in italiano i Principi di filosofia di Cartesio, a recitare i suoi versi. Il pubblico rimase stupito e ammirato da quella fanciulla che presentava un componimento scritto in latino, nel quale esaltava le teorie newtoniane e il metodo sperimentale che avrebbero caratterizzato il tempio della scienza voluto dal principe di Tarsia. 

Era la stagione del Grand Tour, il viaggio in Italia che ogni erudito europeo doveva fare, alla scoperta delle antiche civiltà e delle meraviglie della natura. Di questo viaggio, Napoli, che per numero di abitanti era la terza metropoli europea dopo Londra e Parigi, era una delle mete irrinunciabili, per il suo panorama mozzafiato sul mare col Vesuvio in eruzione sullo sfondo, per la possibilità di visitare i Campi Flegrei o di spingersi fino al cratere del vulcano e per le sue ricchezze archeologiche. Anche l’opportunità di incontrarvi uomini e donne di lettere e di scienze diventò una delle attrattive dell’Italia per viaggiatori e viaggiatrici di tutta Europa. E alcune donne, fra le quali spiccava Maria Angela Ardinghelli, al pari di Eleonora Barbapiccola, una fiera sostenitrice dell’istruzione femminile, e della fisica Faustina Pignatelli, diventarono delle vere e proprie celebrità. 
Fu proprio nel gabinetto di filosofia naturale di Ferdinando Spinelli che Maria Angela ebbe modo di assistere alle rappresentazioni dei fenomeni elettrici messi in scena da Peter Johann Windler, nel 1747. Si trattava di esibizioni di gran moda in tutte le corti europee e il Pubblico di palazzo Tarsia restava ammirato da questa giovinetta che rivolgeva domande in latino sulla natura di questi prodigi, dimostrando di possedere una profonda competenza in materia. 

Statica de’ vegetabili ed analisi dell’aria. Opera tradotta dall’inglese in italiano, confrontata colla traduzione franzese, e comentata dalla signora D. M. A. Ardinghelli 

Risale a questo periodo la prima delle due traduzioni delle opere di Hales, Emastatica, o sia Statica degli animali: esperienze idrauliche fatte sugli animali viventi dal signor Hales, cui seguirà nel 1756 Statica de’ vegetabili ed analisi dell’aria, dello stesso autore. Sono le due uniche opere pubblicate da Maria Angela col suo nome. Non si tratta però soltanto di semplici traduzioni da una lingua a un’altra, ma di vere e proprie versioni annotate, secondo l’usanza del tempo. 
Hales era stato il primo ad applicare allo studio della fisiologia vegetale le stesse metodiche sperimentali utilizzate da Newton nella sua Opticks e Ardinghelli nella sua opera arricchiva il testo con note esplicative contenenti osservazioni personali e commenti critici. Inoltre, come lei stessa spiegava nella prefazione, si era incaricata di ripetere tutti i calcoli, trovando diversi errori, le cui correzioni aveva inserito nelle note. Come scrisse Giovanni Lami, direttore del popolare «Notiziario letterario» di Firenze, in un articolo del 1751, dopo aver riconosciuto ad Ardinghelli di essere una «eccellente matematica», il suo lavoro non era semplicemente la resa in italiano di un’opera inglese, ma il risultato di esperimenti, ricalcolati e replicati. 

In seguito alla fama raggiunta dalle sue traduzioni, Maria Angela iniziò una fitta corrispondenza con alcuni dei più autorevoli scienziati del suo tempo, come l’astronomo Alexis Claude Clairaut e soprattutto il fisico Jean-Antoine Nollet. Quest’ultimo la incontrò a Napoli durante il suo viaggio in Italia nel 1749 e ne rimase molto colpito. Fra loro cominciò un’amicizia epistolare e a lei Nollet indirizzò la prima delle sue Lettere sull’elettricità, nove lettere ad altrettante personalità famose nel campo della fisica, nelle quali esponeva le sue teorie sull’argomento: in essa descriveva Ardinghelli una «giovane donna molto virtuosa, che in breve tempo ha fatto molti progressi nel campo della fisica». 
Nollet prese l’abitudine di leggere brani delle lettere della sua amica italiana alle riunioni dell’Accademia delle Scienze di Parigi, dove spesso diventavano fonte di discussione: il contenuto di quelle lettere veniva riportato nei verbali e questo ci ha permesso di comprendere che Maria Angela Ardinghelli era stata accolta dagli accademici come una di loro, anche se a distanza, un onore che in modo più formale non sarebbe stato possibile concedere a una donna, per di più straniera. 
Del resto lei, per tutta la sua lunghissima vita, si rifiutò di abbandonare la sua Napoli, anche quando ricevette la proposta di matrimonio dell’architetto francese Julien Leroy e la possibilità di occuparsi dell’educazione scientifica delle principesse reali a Versailles.  

Fu proprio Maria Angela Ardinghelli a tradurre in italiano le Lettres dell’Abate Nollet. Tuttavia nell’edizione italiana non solo non era citato il suo nome come traduttrice, ma lei aveva anche eliminato le pagine in cui l’autore la elogiava come scienziata.  
In effetti, da quel momento e per suo volere, tutto quello che scrisse fu pubblicato in forma anonima. La spiegazione più probabile di questa decisione è che nel frattempo suo padre era venuto a mancare e per una nubile priva della protezione di un uomo, che fosse il padre, il marito, o un fratello, sarebbe stato impensabile avere una vita pubblica senza perdere la propria rispettabilità. 
Ardinghelli non volle rinunciare alla scienza: mantenne la sua corrispondenza con gli accademici francesi e continuò l’attività di letterata. Le sue traduzioni, sia pure anonime, così come le sue lezioni private nelle case dell’aristocrazia napoletana, furono le fonti di reddito che le permisero di mantenere sé stessa e sua madre dopo la morte del padre, senza esporsi al dileggio che colpiva le femmes savantes o peggio ancora alle molestie riservate alle donne ritenute non rispettabili: l’unica altra possibilità che avrebbe avuto sarebbe stata quella di sposarsi, ma lei scelse di non rinunciare alla sua libertà e non accettò mai un matrimonio di convenienza. Del resto, negli ambienti che contavano, tutti erano al corrente dell’identità dell’autrice delle sue opere, ma nessuno poteva permettersi di accusarla di essere un’arrivista saccente. Al contrario, il suo atteggiamento discreto e la sua apparente modestia sembravano dimostrare il rispetto da parte sua delle regole su cui si basava la società del tempo.  
Come la sua concittadina e contemporanea Eleonora Barbapiccola, anche lei fu una ferma sostenitrice dell’istruzione femminile. Dedicò la sua traduzione dell’Emastatica al marchese De L’Hopital, non per la sua discendenza dal celebre matematico, ma perché lui aveva difeso il diritto all’istruzione per le donne: «Mi sentirei dispiaciuta, eccellentissimo signore, per tutti quegli uomini, anche dotti, che stupidamente (a mio parere) disapprovano gli studi scientifici per le donne, se non ce ne fossero altri più saggi e giudiziosi che li approvano e li lodano». 

Nel 1777 Maria Angela, dopo aver perso anche la madre, sposò il magistrato Carlo Crispo e per qualche tempo dopo il matrimonio lo seguì in Calabria, senza rinunciare alle sue corrispondenze scientifiche. Una volta tornati a Napoli, Maria Angela abbandonò per un certo tempo le attività pubbliche in campo scientifico per appassionarsi alle questioni giuridiche, collaborando col marito nel suo lavoro. 
Lasciò di nuovo Napoli durante la rivoluzione del ’99 e vi ritornò in epoca napoleonica. Intanto, nel 1801, era rimasta vedova e per il resto della sua vita non smise mai più di interagire col mondo culturale napoletano e di insegnare privatamente. 
Morì nel 1825, all’età di 97 anni. 

In copertina: Ardinghelli durante un esperimento sull’elettricità a Palazzo Tarsia. 

Per saperne di più: 

  • Paola Bertucci, The in/visible woman: Mariangela Ardinghelli and the circulation of knowledge between Paris and Naples, in Isis, vol. 104, n. 2, giugno 2013, pp. 226-24; 
  • Dizionario biografico delle scienziate italiane, Vol. I, pp. 108-112 (M. Focaccia). 

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Articolo di Maria Grazia Vitale

Laureata in fisica, ha insegnato per oltre trent’anni nelle scuole superiori. Dal 2015 è dirigente scolastica. Dal 2008 è iscritta all’Associazione per l’Insegnamento della Fisica (AIF) e componente del gruppo di Storia della Fisica. Particolarmente interessata alla promozione della cultura scientifica, ritiene importanti le metodologie della didattica laboratoriale e del “problem solving” nell’insegnamento della fisica.

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