Gender gap a Taranto 

Non è trascorso molto tempo da quando ho scoperto l’esistenza di un borgo in provincia di Catanzaro soprannominato “paese due mari”. Da residente nella provincia di Taranto, ho avuto un sobbalzo: è Taranto la città per antonomasia dei due mari, il Mar Piccolo e il Mar Grande! E, invece, in questo caso si tratta di Tiriolo, un borgo arroccato nel punto più stretto della Calabria e dell’Italia, che offre un panorama, devo dire meraviglioso, da cui si possono ammirare contemporaneamente sia il Mar Ionio sia il Mar Tirreno. Ho dovuto cedere all’evidenza. Anche in questo la ‘mia’ Taranto non ha più l’esclusività… 

Taranto è spesso raccontata, appunto, per i suoi due mari, per i famosi e pregiati allevamenti di cozze, per la lunga Storia antica di Magna Grecia, per il suo essere l’ultima e l’unica “città spartana”, per la filatura del prezioso bisso, per la città vecchia ritornata vivibile e visitabile da migliaia di turisti e turiste, che ora scoprono anche la sorprendente Taranto sotterranea… e per la triste storia industriale che l’ha plasmata, rinnegata e violentata. Purtroppo. 
Ma dietro tutto questo, dietro i panorami e le cronache giudiziarie dell’ex Ilva, si nasconde un altro dato allarmante: la partecipazione femminile al mercato del lavoro nella provincia di Taranto è tra le più basse d’Italia. Secondo elaborazioni recenti sui dati Istat, il tasso di occupazione femminile nella provincia di Taranto è molto inferiore alla media nazionale: varie fonti riportano valori attorno al 28–36% per fasce e periodi diversi, segnalando Taranto tra le province con i valori più bassi per le donne.  
Il tasso di disoccupazione femminile storico e più recente mostra picchi significativamente superiori a quelli maschili: i dati Istat storici evidenziano varianze marcate nella disoccupazione femminile rispetto alla media regionale e nazionale. Report giornalistici e analisi locali documentano, inoltre, che la presenza femminile tra i disoccupati è elevata in termini assoluti (es. fine 2024: oltre 50.000 donne tra i disoccupati censiti nella provincia), e che l’inattività giovanile femminile raggiunge livelli estremi in alcune fasce d’età. 

Questi numeri non sono solo statistiche: significano redditi più bassi, famiglie più fragili e una perdita di capitale umano per l’intero territorio. 
Perché Taranto registra tassi così bassi? 
Analizzando le informazioni disponibili emergono diversi fattori che si sommano. L’economia locale è stata storicamente orientata verso l’industria pesante e attività ad alta incidenza maschile: questo sposta l’occupazione verso comparti meno permeabili all’inserimento femminile, almeno a parità di qualifiche. A ciò si aggiunge il carico di cura familiare e servizi per la conciliazione inadeguati: studi e documenti regionali indicano che la presenza di prole e la scarsità di servizi di cura (nidi, servizi pomeridiani, politiche flessibili) incidono fortemente sulla partecipazione femminile. In Puglia e nelle province con tassi più bassi la difficoltà di conciliazione è un fattore ricorrente.  
Come, poi, non considerare la fragilità del mercato del lavoro e la presenza del lavoro irregolare: a contrattualizzazione debole, precariato e lavoro nero penalizzano soprattutto le donne, che più spesso accettano forme di lavoro flessibile o non standard per conciliare impegni familiari. Report nazionali e regionali rilevano peggioramenti nella qualità del lavoro in certe fasce demografiche. E ancora, effetti ambientali, salute pubblica, migrazione di competenze: la lunga crisi ambientale e industriale (Ilva/ex-Ilva passando per Arcelor Mittal) ha avuto impatti economici e salutari che si collegano anche alla dinamica occupazionale e all’emigrazione di giovani e professionisti, fenomeni che impoveriscono il tessuto produttivo e riducono opportunità. Tra l’altro, si può immaginare che persistono anche resistenze culturali rispetto al ruolo femminile nel lavoro retribuito, che si riflettono nelle scelte di formazione, nei percorsi professionali e nelle aspettative familiari. Documenti di bilancio di genere regionali registrano ancora divari e ostacoli strutturali.  

Quali sono, dunque, gli impatti sociali ed economici? 
La bassa occupazione femminile alimenta un circolo vizioso: maggiore povertà femminile e familiare corrisponde all’aumento del rischio di esclusione sociale, al calo delle nascite per effetto combinato di scarse prospettive lavorative e incertezza economica. Allo stesso tempo, il territorio perde competitività perché una quota importante della popolazione adulta non esprime pienamente il proprio potenziale produttivo. Questi aspetti emergono in analisi regionali e dati Inps/Istat su reddito, ammortizzatori sociali e partecipazione.  
La Regione Puglia ha iniziative di “bilancio di genere” e programmi per incentivare l’imprenditoria femminile e la conciliazione, ma l’efficacia locale dipende fortemente da implementazione, risorse e coordinamento con i comuni. Organizzazioni sindacali e associazioni del territorio segnalano criticità crescenti e chiedono interventi strutturali su accoglienza servizi socio-sanitari e politiche occupazionali. 
Tuttavia servono azioni più coraggiose, mirate e con indicatori di risultato misurabili sul medio termine. Occorre, per esempio, investire in servizi di cura e conciliazione: apertura e potenziamento di nidi, servizi pomeridiani e sostegni per caregiving, con formule a gestione mista pubblico–privato e incentivi per le imprese che adottano orari flessibili. Fondamentale anche la formazione professionale mirata alla riqualificazione per contravvenire alla nuova povertà, quella digitale: corsi finanziati per competenze digitali, green e servizi alla persona, pensati per favorire transizioni verso settori in crescita e lavoro autonomo qualificato. A ciò devono seguire incentivi all’assunzione stabile e lotta al lavoro irregolare, come bonus occupazionali per contratti stabili rivolti alle donne, con vincoli regionali su formazione e conciliazione e rafforzamento dei controlli sul lavoro nero. Si potrebbero, così, creare comunità professionali e reti, poli locali che collegano impresa, formazione, servizi sociali e acceleratori per start-up femminili, sfruttando fondi nazionali e PNRR. 

Taranto non può permettersi di annegare nello spreco del talento e della forza lavoro delle donne: mettere in moto politiche integrate — che combinino servizi di conciliazione, formazione, incentivi all’occupazione e rigenerazione economica sostenibile — è una priorità sia sociale sia economica. Il problema è reale, strutturale e richiede misure concrete e coordinate: agire ora significa non solo restituire dignità e reddito a migliaia di donne, ma anche ridare futuro a tutto il territorio! 

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Articolo di Virginia Mariani

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Docente di Lettere, unisce all’interesse per la sperimentazione educativo-didattica l’impegno per i temi della pace, della giustizia e dell’ambiente, collaborando con l’associazionismo e le amministrazioni locali. Scrive sul settimanale “Riforma”; è autrice delle considerazioni a latere “Il nostro libero stato d’incoscienza” nel testo Fanino Fanini. Martire della Fede nell’Italia del Cinquecento di Emanuele Casalino.

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