Alla Camera è recentemente (e sorprendentemente) passato il testo di riforma dell’art. 609 bis c.p. sul reato di violenza sessuale che ora dovrà essere sottoposto al vaglio del Senato.
Il testo attualmente in vigore recita: «Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da sei a dodici anni».
L’ipotesi di riforma suonerebbe invece così: «Chiunque compie o fa compiere o subire atti sessuali ad un’altra persona senza il consenso libero e attuale di quest’ultima è punito con la reclusione da sei a dodici anni».
Nell’ormai lontano 2013 l’Italia ha ratificato la Convenzione di Istanbul che all’art. 36 prevede che lo stupro è un «rapporto sessuale senza consenso che deve essere espresso volontariamente, quale libera manifestazione della volontà della persona e deve essere valutato tenendo conto della situazione e del contesto». Nonostante quell’obbligo impostole, l’Italia, insieme a Polonia, Romania ed Estonia, è rimasta inerte sulla materia ricevendo una severa reprimenda da parte del Gruppo di esperti sulla lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (Grevio) che ha dunque invitato a riscrivere l’art. 609 bis c.p.
Partiamo dalla premessa che in questa materia la giurisprudenza ha già di fatto ampliato i confini della norma, superando l’idea anacronistica secondo cui un rapporto sessuale non possa essere consumato con una donna realmente contraria ma prendendo anche qualche cantonata negli anni (si pensi alla sentenza sui jeans). Oggi l’orientamento è mutato attestandosi sulla valutazione del consenso come elemento per ritenere configurato il reato: «è richiesta la mera mancanza del consenso, non la manifestazione del dissenso» (ad esempio, Cassazione n. 19599/2023). Ma come dice Di Nicola Travaglini «molti giudici questo orientamento pacifico della Corte o non lo conoscono o non lo seguono. Se non lo scriviamo in modo chiaro ognuno andrà per la sua strada».
Proviamo a considerare alcune ipotesi concrete su cui potrebbe incidere la riforma partendo da alcuni esempi di Paesi in cui non sia definito il consenso.
Facciamo il caso che Tizio e Caia si incontrino in un locale e, dopo aver trascorso la serata insieme, l’uomo convinca la donna ad accompagnarlo a casa in auto. Giunti davanti all’appartamento Tizio trova un pretesto qualsiasi per convincere Caia ad entrare in casa. Dopo qualche minuto trascorso all’interno dell’abitazione Caia chiede di potersi allontanare ma il padrone di casa glielo impedisce sbarrandole la strada e inizia a spogliarla. La ragazza piange ma non è in grado di opporsi in maniera più ferma, quantunque sia chiara e inequivocabile la sua contrarietà al rapporto che viene comunque consumato.
In un caso simile a quello appena esposto l’imputato viene assolto in ragione del mancato utilizzo della forza e della minaccia.
Facciamo un altro esempio.
Caia, giovane ragazza di poco più di vent’anni, trascorre la notte presso l’abitazione di una sua zia dove incontra per la prima volta Tizio, compagno della zia. Quest’ultimo, nel cuore della notte e mentre tutti dormono, si presenta ubriaco nella stanza dove riposa la ragazza, le abbassa i pantaloni e consuma un rapporto sessuale senza trovare la resistenza di Caia. Nel corso del processo la ragazza conferma di non aver opposto resistenza perché consapevole dello stato alterato dell’uomo, peraltro dalla stazza imponente, da lei mai visto prima; ella conferma altresì di essere stata colta da un profondo turbamento che le aveva impedito di reagire e che l’unica cosa che aveva voluto fare era stata scappare dalla casa subito dopo per raccontare al proprio compagno l’accaduto.
L’imputato verrà assolto non essendo stato possibile dimostrare che il rapporto fosse avvenuto per timore di lesioni fisiche immediate.
Ancora.
Una giovane attrice viene invitata da un famoso e potente produttore nel suo ufficio a parlare di affari. Al termine dell’incontro, la donna viene introdotta in una stanza dove viene spogliata rapidamente e sottoposta ad un rapporto sessuale al quale pure lei non si oppone entrando in una “modalità di sopravvivenza” e fingendo addirittura di provare piacere. La donna non sporge denuncia per paura delle conseguenze, eppure ottiene un risarcimento consistente (poi donato in beneficenza) dal produttore. Scoppiato il caso diversi anni dopo, la modalità di approccio viene confermata anche da altre attrici famose che hanno riferito di essersi salvate ma anche di aver rischiato di incappare nello stesso ingranaggio perché si sono sentite in una sorta di vicolo cieco.
In tutti questi casi una norma che non si concentri sul consenso appare evidentemente incompleta.
Questa breve carrellata di esempi (ispirati dalla lettura del testo Dalla violenza al consenso nei delitti sessuali, Caletti), può aiutarci a comprendere meglio la portata della possibile riforma e portare ad un senso di realtà il tema oggetto di dibattito, evitando che invece a prendere il sopravvento siano interpretazioni macchiettistiche e sbrigative (non uso il termine maschiliste) come quella per cui per fare sesso servirà il consenso scritto. L’unico risultato prodotto è stato di aver ridicolizzato un tema serissimo, rendendo il dibattito molto più complicato e ignorando che la riforma viene sollecitata da organismi internazionali in ragione della sterminata casistica su cui la formulazione attuale della norma si è dimostrata carente.
Sono molti i Paesi che hanno dato seguito alla Convenzione sia pure in modo diversificato: si va dal modello spagnolo del «solo sì è sì», a quello tedesco di dissenso temperato che richiede un dissenso anche tacito ma comunque riconoscibile, fino al modello francese introdotto solo poche settimane fa, che ha stabilito che in un rapporto il consenso debba essere «libero e informato, specifico, preliminare e revocabile» e non possa «essere dedotto dal solo silenzio o dalla sola assenza di reazione della vittima». Proprio la Francia è stata recentemente sconvolta dal caso clamoroso di Gisele Pelicot, la donna settantaduenne sottoposta a sua insaputa (perché drogata sistematicamente) ad una serie di rapporti sessuali con decine di uomini che, reclutati dal marito, abusavano di lei in stato pressoché comatoso (sul caso, invito a leggere il capolavoro di Manon Garcia, Vivere con gli uomini, che ne fa una questione simbolica). Questa vicenda ha fatto esplodere una discussione, resa possibile peraltro anche grazie all’eroica volontà della donna di farne una questione pubblica e politica, con cui ci si è interrogati sulla necessità di ampliare le ipotesi di abuso a quelle condotte che non fossero tenute con violenza o con minaccia o a sorpresa.
Attualità
Non serve solo il consenso libero: è necessario che esso sia anche attuale. È importante garantire che la donna possa sottrarsi per una qualsiasi ragione ritirando il proprio consenso inizialmente espresso e che non corrisponde ad un’autorizzazione generalizzata; si pensi alla donna che ricambia il bacio ma non sia disponibile ad un rapporto penetrativo. Si pensi anche al consenso prestato e successivamente ritirato in quanto il rapporto prende a svolgersi con modalità diverse da quelle acconsentite (pensiamo al consenso prestato per un rapporto protetto che successivamente venga invece condotto senza uso di preservativo contro la volontà della donna).
Congelamento e reazione
Questo ribaltamento di prospettiva appare necessario alla luce degli esempi che abbiamo portato e di una circostanza decisiva, ovvero il meccanismo di cui molte donne sono vittime, quella incapacità di reagire di fronte ad un rapporto non voluto. Il cosiddetto congelamento con perdita delle energie, la paura di subire danni ulteriori, la dissociazione mentale o in generale la compatibilità di comportamenti successivi alla violenza, come la scelta di farsi accompagnare a casa in auto dall’autore: tutte circostanze da valutare in concreto. Uno studio svedese del 2017 su un campione di quasi 300 donne sopravvissute a uno stupro ha prodotto un risultato molto significativo secondo cui il 70% dichiarava di aver avvertito il senso di paralisi, a riprova della frequenza del fenomeno e della inadeguatezza dell’attuale formulazione dell’art. 609 bis. Ciò dimostra quanto mentalmente destabilizzante possa essere un rapporto sessuale non voluto, sia nel momento in cui avviene sia nei comportamenti successivi al fatto. Insensate allora appaiono trovate tipo quella assai poco onorevole di Grillo padre che, nel difendere il figlio accusato di stupro, sosteneva la non credibilità della denuncia della vittima perché avvenuta a otto giorni dall’accaduto.
Chi sono gli autori
Un ulteriore dato ci serve a comprendere la necessità di un intervento del legislatore.
Un sondaggio dice che il 59,1 % degli stupri avviene ad opera dell’ex partner mentre il 19,4 da parte di amici, e il 10% da parte di conoscenti. Solo una percentuale minima (il 6,9%) da parte di sconosciuti. I dati ci portano a due considerazioni: il mito dello stupro consumato in un angolo buio della città a opera di un ignoto passante ha una portata del tutto residuale, mentre nella prevalenza dei casi di stupro a opera di ex compagni o mariti o conoscenti emerge l’elemento possessivo, l’incapacità di accettare la fine di un rapporto e la tendenza a ritenere sostanzialmente la donna cosa propria; ma anche la difficoltà nel far emergere situazioni che coinvolgono persone che fanno già parte della propria vita, circostanza che spiega come spesso non serva un grado di violenza elevato per consumare un rapporto comunque non desiderato dalla donna.
Vittimizzazione secondaria
Una modifica della legge porta anche un cambiamento culturale molto importante e su cui poco ancora si fa nei tribunali: il contrasto nei confronti della vittimizzazione secondaria, quel meccanismo vietato dall’art. 18 della Convenzione di Istanbul che colpevolizza chi denuncia e sottopone a una violenza psicologica ulteriore e paradossale la donna che ha già subito una violenza fisica, costringendola a rispondere a domande intrusive e imbarazzanti, a dare conto di circostanze del tutto insignificanti che comunque finiscono per trasferire l’attenzione impropriamente sulla vittima anziché sull’autore del reato.
Persino in un processo per maltrattamenti, in cui assistevo la persona offesa, mi è capitato che il difensore dell’imputato pretendesse di rivolgere domande dirette a conoscere il numero di relazioni della donna in modo da giustificare la reazione stizzita e violenta del compagno tradito.
Ma non vanno meglio le cose in ambito giornalistico, dove di fronte a casi eclatanti di stupro le prime domande che ci si sente in diritto di porre sono quelle dirette a interrogarsi su tutto ciò che ha fatto la donna per in qualche modo “incoraggiare” la condotta delittuosa.
Di fronte allo scandalo che ha visto protagonista l’imprenditore Alberto Genovese che organizzava festini a base di droga e alcol in modo da avere gioco facile su tante ragazze giovanissime, il commento di Bruno Vespa nel corso di una trasmissione fu il seguente: «Se ti offrono cocaina ti devi aspettare di dover dare qualcosa in cambio». Insomma, siamo sempre lì.
Un ultimo aneddoto e un piccolo tributo. Qualche anno fa in occasione di uno stupro, un giornalista Rai commentava al solito modo: «Se eviti di ubriacarti e di perdere i sensi, magari eviti anche di incorrere in determinate problematiche perché poi il lupo lo trovi», aveva detto quel giornalista.
La compianta Ornella Vanoni, sentita sull’argomento, replicò con una battuta che dice tutto: «il lupo non è nel bicchiere, ma fuori dal bicchiere». Grazie, Ornella.
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Articolo di Sergio Tatarano

Avvocato e assessore comunale si è sempre impegnato per la promozione dei diritti individuali e delle libertà; ha promosso l’adozione del linguaggio non sessista in ambito amministrativo nonché le intitolazioni femminili di parchi. Ha pubblicato il saggio giuridico Fine vita: ragioni giuridiche a sostegno di una legge.
