Ogni città un dono. Ottaviano

Metà samaritana, metà napoletana, mia nonna di me diceva: «Sei una vesuviana».
La lava scorre nelle mie vene, la passione che brucia è il mio modo di essere. Vivo per ciò che incendia l’anima, per ciò che vedo ardere, per il sole che mi sveglia con un buongiorno caldo.
Ottaviano la riconosci guardandoti le scarpe tra i fili d’erba: la terra è nera come la cenere del Vesuvio. La vedi nelle ginestre gialle che illuminano le pendici del vulcano, la assapori nelle albicocche succose. La città urla a ogni goal del Napoli, festeggia san Michele, si inchina alla Madonna nel mese di maggio.
Noi bambine e bambini aspettavamo sui gradini di casa, impazienti, con gli occhi già predisposti allo stupore: per la statua, per i musicisti azzurri e bianchi, per la fila che non finiva mai, per il tintinnio dei soldini nelle nostre piccole mani, pronte a fare le offerte.
Ottaviano cammina sul filo tra fede e tradizione: la prima viva nei cuori delle persone anziane, la seconda negli occhi delle più giovani, che si aggrappano ai rami secchi di una città che ha poco da offrire ma che è ricca di radici, dono prezioso che solleva e sostiene, dando certezza in un mondo di incertezze.
Io le capisco, quelle radici.
Io, che radici non ne ho.
C’è solo un piccolo seme di me in tante città della Campania. Ho piantato tanti semi, ma nessuno è cresciuto saldo. In ogni città ho piantato un seme: le radici non sono solide, ma da esse nascono fiori splendidi.
Io riconosco Ottaviano dal camino di nonno Luciano, che papà continua ad accendere con pazienza. Sono dieci anni che nonno non c’è, ma il camino non ha mai smesso di fumare.
Qui è nato un folto papiro, dalla pianta che mio padre mise a dimora quando, concludendo gli studi in biologia, fece il tirocinio all’Orto botanico di Napoli.
Da un piccolo ramo di papiro è nata una grande pianta: per quanto cerchiamo di contenerla, cresce sempre forte e rigogliosa, occupando tutto lo spazio che vuole, tutto lo spazio di cui ha bisogno.
Le ginestre del Vesuvio la illuminano.
Qui c’è il mio seme, qui è nata una bellissima pianta di papiro.

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Articolo di Fabiola Barbato

Docente di Lettere, laureata in Lettere e in Filologia classica e moderna. Crede nella forza gentile dei sentimenti e nel cuore come bussola etica e creativa. Fervente sostenitrice dell’idea che la parola sia uno spazio di libertà e che la sensibilità sia una forma di resistenza.

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