Pontremoli. Ascolta le nostre voci

Può il teatro essere una pratica catartica che consente l’acquisizione di una maggior consapevolezza? Sì, ce lo dimostra il progetto di Toponomastica femminile condotto dalla psicologa Paola Malacarne e dalla psichiatra Ilaria Favini. Il progetto Voci di parità, sostenuto dai fondi dell’Otto per mille alla Chiesa valdese, si è posto l’obiettivo di rendere visibile — in una società ancora oggi patriarcale — il valore femminile, oscurato ed escluso, nel contesto sociale e lavorativo. Un disconoscimento che di fatto determina una limitatezza degli orizzonti di realizzazione personale e professionale delle giovani e riverbera discriminazioni e disparità di genere espresse in varie forme di violenza.

Le pratiche previste si sono realizzate in diversi territori, ovvero Massa (presso l’Istituto Penitenziario femminile per minori di Pontremoli), Pisa (presso l’Isis di Pontedera e presso l’Istituto Comprensivo M.K. Gandhi) e Firenze (al Liceo Galileo Galilei). Caratterizzate da una metodologia interattiva, prevedevano: spettacoli teatrali nella duplice forma della fruizione e della produzione, laboratori e offerta di libri tematici per letture critiche. 
Prima di soffermarci nello specifico sulla zona di Pontremoli, teniamo a precisare che le due esperte, Paola e Ilaria, oltre alle loro rispettive carriere, avevano anche esperienza nell’ambito del teatro, inteso come strumento civico, educativo e terapeutico. 

L’evento, noto con il nome di Ascolta le nostre voci, si è tenuto presso l’Istituto Penitenziario femminile per minori di Pontremoli e si è svolto in 6 incontri, durante i quali erano programmati due reading che andavano a stimolare sia l’esperienza passiva che quella attiva delle adolescenti. Nel corso del laboratorio, infatti, le detenute, mediante il processo empatico-identificativo a seguito delle storie ascoltate dalle letto-attrici, hanno evocato esperienze similari, traducendole poi in racconto scritto; il passaggio dalla scrittura alla lettura performativa delle loro narrazioni ha dato luogo al reading finale davanti a un pubblico autorizzato dall’Istituto.
Tra le storie narrate, tra le più antiche ricordiamo quella di Fanny Cäcilie Mendelssohn (1805-1847), pianista e compositrice tedesca, il cui percorso musicale fu ostacolato dal periodo storico in cui essa nacque e, soprattutto, da suo fratello Felix che le rubò e suonò alcune delle sue composizioni. Entrambi avevano un grande talento musicale e condividevano una forte passione. Tuttavia, nonostante l’incoraggiamento da parte del padre e della madre verso entrambi nell’iniziare un percorso di studi musicali, a Fanny non fu mai permesso di essere pienamente una musicista. Per quanto riguarda quelle più recenti, invece, le tematiche principali vertevano sulle disparità salariali, sulle molestie sul luogo di lavoro, che comportano problemi alla stabilità psichica della persona e, più specificatamente, sulla storia di Ilaria Bidini: educatrice e Cavaliera dell’Ordine al Merito della Repubblica italiana, vittima di cyberbullismo da parte di “odiatori e odiatrici di professione” che l’hanno da sempre presa di mira a causa della sua condizione fisica e della sua disabilità.
Partendo da un clima di distacco e cautela, le ragazze, già dal primo incontro, hanno mostrato un atteggiamento più aperto alla relazione, di curiosità e disponibilità. Non sono mancati, tra le partecipanti, gesti di vicinanza e calore indice di bisogno di contatto umano, attenzione e riconoscimento emotivo. Tutto ciò è stato necessario alla creazione di safe space in cui le giovani potevano sentirsi sicure, emotivamente validate e accolte. 
Quanto al reading, grazie all’atto passivo dell’ascoltare, l’intero gruppo è riuscito ad acquisire consapevolezza circa i propri vissuti di violenza subita e/o percepita, tanto da diventare, in seguito, autrici e attrici passando quindi all’azione attiva. Ciò ha consentito la narrazione, da parte di quest’ultime, di racconti spontanei, tradotti, anche, in un testo scritto e la conseguente realizzazione di cartelloni che collegassero i ricordi di ognuna alla violazione di un articolo della Costituzione. Un aspetto cardine del percorso è stato, infatti, il collegamento tra ogni forma di violenza emersa e la violazione di uno o più diritti costituzionali.

Tra i vari esempi annoveriamo la storia della già citata Ilaria Bidini con alcuni degli insulti da lei ricevuti: «Ma ti guardi allo specchio?» e «Hai i denti marci e i capelli sudici. Mio Dio che orrore che sei…» che sono solamente una minima parte. In questo caso, tali offese sono state accostate agli art 2 e 3 della Costituzione Italiana che si fondano sul rispetto, la solidarietà e la dignità personale. Un altro spunto di riflessione è la storia di una ex studente calabrese iscritta alla facoltà di Giurisprudenza, che riferisce la discriminazione ai danni della donna da parte del suo docente, durante un esame. Viene, difatti, detto che il professore in questione — senza neanche aver proceduto con l’interrogarla — chiese: «Ma lei signorina che ci fa qui in questa facoltà? Non potrebbe studiare altro? Non potrebbe occuparsi di altro?», alludendo ai suoi ruoli di moglie e madre. In questo caso ci troviamo di fronte allo stereotipo sull’ingresso delle donne in professioni ritenute di dominio maschile che di fatto determina limitazione, esclusione a cariche decisionali e impedimento alla carriera, che ledono l’art 51. Un ulteriore racconto è stato quello di Elisa D.P. che mette la donna di fronte a una scelta: lavoro domestico o lavoro canonico? Elisa era rispettabile educatrice presso una cooperativa sociale ma, a seguito del parto, perse l’occupazione. Trovò un nuovo impiego presso un negozio di abbigliamento in un centro commerciale tra Prato e Firenze. Anche in questa circostanza, dopo esser rimasta incinta di due gemelli, non venne più richiamata. La sua narrazione si conclude con un tardivo lieto fine: «Dieci anni mi ci sono voluti, dieci anni di spese, rinunce, scoramento, ansia, tentazione di mollare, batoste, ma alla fine ho vinto, la Cassazione mi ha dato ragione: sono riuscita ad avere dignità e giustizia». La donna madre dis-abilitata al lavoro, una situazione che viola gli art 4, 31, 35.
Tutto ciò ha dato origine a uno spettacolo che la stessa Paola Malacarne ha definito: «Temuto e desiderato», poiché le giovani erano preoccupate per la possibile assenza dei loro genitori. 

Le persone presenti non erano tantissime ma, malgrado tutto, si è trattato di una performance estremamente coinvolgente che ha donato a chiunque una moltitudine di emozioni: il pubblico, visibilmente commosso, ha ripetutamente ringraziato le ragazze per l’intensità delle letture dando loro riconoscimento e apprezzamento; la direttrice si è detta contenta, in quanto l’esibizione le ha dato modo di conoscere meglio queste giovani donne, scoprendo anche le loro potenzialità; le ragazze stesse, oltre ad avere assunto nuova consapevolezza, si sono unite diventando quasi un “tutt’uno” in un clima scevro da tensioni e conflitti; infine le due esperte hanno provato soddisfazione data la buona riuscita dell’attività. 
«Nonostante i tempi ristretti, gli incontri e la restituzione hanno fatto emergere una serie di consapevolezze. Noi siamo felici e soddisfatte per questo. Molte hanno compreso la personale violenza subita (prima mal interpretata), altre si sono sentite finalmente riconosciute e valorizzate tanto da voler mettere a frutto le competenze apprese», sostiene Paola e aggiunge: «Questo progetto ha permesso loro di intravedere una nuova apertura verso il futuro e di immaginare per sé stesse un modo diverso di stare nel mondo».

Concludiamo riportando la poesia scritta da una delle detenute:

«A star con te mi sono persa

Mi dicevi che ero diversa

Ci ho creduto ma non dovevo

Solo te volevo.

La mia vita si stava sistemando

Ma con te stava solo peggiorando

Non me ne stavo accorgendo

Pian piano mi sto riprendendo

Con te mi stavo solo perdendo

Con te mi stavo solo perdendo

Ho avuto la forza di lasciarti

Sono andata avanti

Per colpa tua ho tanti rimpianti

Per colpa tua altre ragazze 

Soffrono, spero che possano 

Aprire i loro occhi.

Da amarti a odiarti c’è voluto tanto

Tutti mi volevano aiutare

Ma li ho fatti solo disperare

Grazie alla tua manipolazione

Non sento più neanche un’emozione

Non ti auguro il peggio

Perché lo sei tu in persona

Quel primo giorno

Vorrei cancellarlo

Ma posso solo dimenticarlo

Sembravi tutto rose e fiori

Ma le spine le ho viste dopo

In fondo sono andata avanti…

E questo per me è solo un brutto ricordo».

***

Articolo di Ludovica Pinna

Classe 1994. Laureata in Lettere Moderne e in Informazione, editoria, giornalismo presso L’Università Roma Tre. Nutre e coltiva un forte interesse verso varie tematiche sociali, soprattutto quelle relative agli studi di genere. Le sue passioni sono la lettura, la scrittura e l’arte in ogni sua forma. Ama anche viaggiare, in quanto fonte di crescita e apertura mentale.

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