Il 29 novembre si celebra la giornata internazionale di solidarietà con il popolo palestinese, depredato della propria terra a partire dal 1948. Questa ricorrenza è stata istituita nel 1977, ovvero quasi trent’anni dopo il primo esodo di massa imposto da Israele e dieci anni dopo l’espansione illegale dello Stato ebraico.
Ciò che sta avvenendo ai danni della popolazione civile nella Striscia di Gaza — e in parte minore anche in Cisgiordania — è a tutti gli effetti un genocidio. La Corte Penale Internazionale ha emesso un mandato di cattura nei confronti del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e del ministro della difesa Yoav Gallant. Ne consegue che nessuno Stato o governo che si attenga al diritto internazionale può ignorare la gravità dei fatti in corso ed è anzi tenuto a prevenire un genocidio e a collaborare affinché cessino i crimini di guerra e siano puniti i responsabili.
Chi oggi governa si mostra più attento o attenta alla questione rispetto ai propri predecessori, ma continua a ignorare l’insufficienza dei propri atti. Anche chi oggi siede all’opposizione è stato complice di Israele negli anni, ma si lava ora la coscienza fingendo che il problema sia iniziato solo due anni fa.
Davanti alla recidiva complicità di Unione Europea e Stati Uniti nei confronti del sionismo, la popolazione di questi Paesi si sta mobilitando in difesa dei diritti umani. Scioperi, boicottaggi, occupazioni e cortei continuano a reclamare un cessate il fuoco immediato e duraturo, un embargo a Israele e la fine della collaborazione occidentale con il sionismo.
I nostri nipoti, quando a scuola studieranno la scomparsa della Palestina, ci chiederanno dove eravamo allora e perché abbiamo permesso che ciò accadesse.
Il 29 novembre 2025, prima della manifestazione — che radunava ventimila persone secondo i media, quindi probabilmente di più — la facoltà di Giurisprudenza dell’università di Roma Tre ha ospitato le figure di spicco dell’opposizione al sionismo.

Francesca Albanese ha aperto la conferenza, accolta dal pubblico in piedi con un lungo e caloroso applauso, invitandoci a «bucare la bolla dell’amnesia coloniale» (un’amnesia tipicamente europea). La giurista italiana ricorda che «l’intero Occidente dovrebbe chiedere scusa al popolo palestinese», un concetto ripreso anche da vari altri interventi. Impegnata a difendere i diritti umani, è diventata vittima di numerosi attacchi politici e mediatici, in particolare da parte dell’amministrazione Trump, ma non solo.
Accusata da Israele di essere un’antisemita al servizio di Hamas, è invece una delle poche voci del mondo antisionista ad aver condannato l’attacco del 7 ottobre 2023, pur sapendo che tale data è poco rilevante rispetto a una storia iniziata 75 anni prima.

Nel suo intervento, Francesca Albanese fa notare come il sionismo sia un esempio culturale di patriarcato: l’infantilizzazione e la disumanizzazione del popolo palestinese costituisce, in forma maggiore, la stessa dinamica che spesso si impone tra le mura domestiche.

È stato emozionante ascoltare le parole e l’energia di Greta Thunberg, ecologista e pacifista svedese, protagonista della Global Sumud Flotilla, che negli ultimi mesi ha ripetutamente attraversato il Mediterraneo per portare viveri alla popolazione e rompere l’assedio intorno alla Striscia di Gaza. Greta tiene a ribadire che non si è trattato solo di una missione umanitaria, bensì di un atto politico. Il fatto che la Flotilla fosse necessaria è stato una sconfitta: ha dimostrato il fallimento morale dell’Occidente.
Era presente il Calp (Collettivo autonomo dei lavoratori portuali) di Genova, che ha più volte bloccato il porto del capoluogo ligure per impedire a navi israeliane di attraccare o ad armi europee di essere inviate a fare strage di palestinesi.

Giornalista brasiliano trentanovenne, Thiago Ávila, fondatore del movimento ecologista Bem Viver, è stato tra i principali esponenti e coordinatori della Freedom Flottilla Brazil e della Global Sumud Flotilla; partito a giugno scorso dal porto di Catania sulla barca Madleen, insieme a Greta Thunberg e a Rima Hassan, ha poi ripetuto l’impresa a fine agosto. Accusato di terrorismo dal ministro della sicurezza nazionale israeliano Itamar Ben-Gvir e sottoposto a vari trattamenti degradanti e illegali, cui ha risposto con uno sciopero della fame e della sete, è stato uno degli ultimi ad essere espulsi da Israele.

Il giornalista brasiliano tiene a ribadire che «il genocidio in Palestina e l’ecocidio in Amazzonia» sono questioni collegate tra di loro e volute da «un sistema in cui, a discapito di tutti gli altri, poche persone traggono profitto dalla distruzione». «Ovviamente la distruzione della Palestina è connessa alla distruzione del pianeta, entrambe hanno origine nel sistema capitalistico». Di seguito link con una sua bellissima intervista sulla Flottilla e sulla crisi climatica: https://lucysuimondi.com/la-lotta-di-thiago-avila-contro-la-distruzione-dalla-flotilla-alla-cop30/
Testimoniano il loro sostegno anche gli ex eurodeputati di Rifondazione Luisa Morgantini, attuale presidente dell’associazione AssoPace Palestina, e Luca Casarini (da remoto), storico portavoce delle Tute Bianche e leader dei Disobbedienti durante il G8 di Genova, oggi esponente dell’associazione umanitaria Mediterranea.

La tensione tra israeliani e palestinesi non è iniziata il 7 ottobre, ma ha radici profonde afferma Luisa Morgantini, tra le fondatrici delle Donne in Nero italiane, dell’Associazione per la pace e della rete internazionale di Donne contro la guerra.

Già vicepresidente del Parlamento Europeo con l’incarico delle politiche per l’Africa e per i diritti umani, Luisa Morgantini invita a sostenere la campagna internazionale per la liberazione di Marwan Barghouti, tra i leader di Al Fatah (il partito palestinese laico e opposto ad Hamas) e una delle voci più moderate della causa palestinese, in carcere dal 2002. Considerato il Nelson Mandela della Cisgiordania, Barghouti è tra i personaggi più popolari in Palestina: figura chiave della II Intifada, si batte perché Israele torni ai confini del 1967 (illegittimi persino secondo l’ONU, che chiede invece il rispetto di quanto stabilito nel 1947).

«Se essere a fianco del popolo palestinese vuol dire essere chiamato antisemita — dichiara Moni Ovadia — allora io, che sono nato ebreo, accetto di essere definito antisemita!»

e secondo le sacre scritture tale deve rimanere

Già nel 2013, in occasione del funerale del suo amico don Andrea Gallo, Moni Ovadia disse: «Gli ebrei sono talmente ossessionati dalla parola Shalom… che se ne sono dimenticati!». Tredici anni fa, non c’era ancora il mandato di arresto verso Netanyahu né l’accusa formale di genocidio, ma il popolo palestinese soffriva da decenni e la Strisci di Gaza era già sotto assedio. Ecco il video con l’intervento di allora: https://www.youtube.com/watch?v=NOVa7yNkzEI
Durante la conferenza Rebuild Justice del 29 novembre scorso a Roma Tre, Moni Ovadia ci ha invitato a lottare sempre citando una frase d Karl Marx: «Durante un gioco che Marx faceva con la famiglia, la figlia chiese all’augusto padre: “Padre, che cos’è per voi la felicità?” Ed egli rispose: “La felicità è lottare”. E allora io vi dico: siate felici!».

«L’antisionismo non è antisemitismo perché anche noi palestinesi siamo semiti», afferma anche Maya Issa, rappresentante degli e delle studenti palestinesi in Italia, uno dei volti più noti delle manifestazioni di solidarietà a Roma. La sua determinazione racconta la storia di una giovane donna figlia di profughi che, seppur nata in Italia, ha conosciuto bene il razzismo ma che non si lascia intimidire dalle menzogne mediatiche.

Numerosi personaggi del mondo della cultura sono stati presenti alla conferenza e alla successiva manifestazione.
Molti interventi hanno sottolineato il ruolo della stampa, asservita e complice, nel sostenere e legittimare il genocidio in corso.
L’attrice Sonia Bergamasco e l’attore Pietro Sermonti hanno espresso il loro sostegno al popolo palestinese per il riconoscimento di uno Stato libero e autonomo e la denuncia per la complicità del governo Trump con le mire coloniali di Israele.



Tra il pubblico, nell’aula magna della facoltà di giurisprudenza di Roma Tre, sventola una bandiera palestinese.



La manifestazione
A seguito della conferenza, il centro di Roma, da Parco Schuster (per i movimenti) e Porta San Paolo (per partiti e associazioni) fino a piazza San Giovanni, è stato attraversato da un corteo ostile a Israele e alla complicità europea con i suoi crimini. In prima fila camminavano le figure già citate che sono state protagoniste della conferenza. Criticando in particolare la finanziaria italiana, la manifestazione chiedeva la rottura totale dei rapporti commerciali con lo Stato ebraico genocida. Vari Paesi hanno già fatto questo passo: il Brasile ha interrotto la compravendita di armi con Israele, la Cile ha vietato l’importazione di qualsiasi merce prodotta nei Territori palestinesi occupati illegalmente, la Colombia ha espulso la delegazione diplomatica israeliana, la Spagna ha vietato l’accesso sul proprio territorio a soldati e soldate dell’IDF anche se non in servizio e il Belgio ha recentemente arrestato alcuni criminali di guerra in vacanza sul proprio territorio. Varie scritte nella manifestazione romana accusavano Leonardo, azienda bellica italiana le cui armi continuano a fare strage di civili palestinesi; la sede di via Labicana del supermercato Carrefour, ditta francese al centro di una campagna internazionale di boicottaggio in quanto nutre l’IDF, ha abbassato le serrande al passaggio della folla antisionista; le lattine della solidale Cola Gaza sostituivano quelle della sionista Coca-Cola; le copie del quotidiano il manifesto, dalla parte dei diritti umani e della giustizia sociale, facevano da contraltare a La Stampa, da sempre schierata con chi pratica il mestiere delle armi.
Secondo lo stesso ministero delle finanze israeliano, la crescita economica del suddetto Paese è crollata del 3% rispetto allo scorso anno, segno che boicottaggi e “sanzioni popolari” stanno lentamente dando frutti.
Nel link di seguito si trova una lista di ditte da boicottare: https://bdsmovement.net/Guide-to-BDS-Boycott
Il percorso






In copertina: da sinistra a destra, le figure più note dell’antisionismo: Thiago Ávila, Francesca Albanese, Greta Thunberg, un portuale genovese e Maria Elena Delia (di spalle).
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Articolo di Andrea Zennaro

Andrea Zennaro, laureato in Filosofia politica e appassionato di Storia, è attualmente fotografo e artista di strada. Scrive per passione e pubblica con frequenza su testate giornalistiche online legate al mondo femminista e anticapitalista.
