Editoriale. La parità di genere non è compatibile col razzismo

Il tema della violenza maschile nei confronti delle donne è ritornato prepotentemente nell’agenda politica con il 25 novembre, data attorno alla quale, accanto ai tanti eventi organizzati, si sono anche continuati a registrare episodi gravissimi a cui la stampa ha dato grande risalto.
Proprio in queste settimane si è parlato a lungo (e spesso in modo macchiettistico) della possibile riforma dell’art. 609 bis e dell’importanza di concentrare l’attenzione, rispetto al tema dello stupro, sul concetto di consenso anziché su quello della violenza e della minaccia secondo gli impegni assunti con la Convenzione di Istanbul. Ne abbiamo parlato in un articolo qualche settimana fa.

Quella che sembrava un’inaspettata e incoraggiante convergenza tra le forze politiche in Parlamento, è ben presto tornata ad essere una contrapposizione, con argomenti che, da parte di chi si è opposto alla riforma, appaiono palesemente pretestuosi e frutto di una cinica strategia volta a occupare uno spazio che si era liberato per strizzare l’occhio al machismo nostrano, contrario alla deriva femminista di cui il nostro Paese sarebbe vittima.
Una parte della stampa e dei più noti influencer alla Cruciani ha avvertito: per avere rapporti sessuali «occorrerà andare in giro con un registratore» oppure «sottoscrivere un contratto». Il tutto in ragione di un retropensiero secondo cui le donne sporgerebbero false denunce.
Sicché i legittimi dubbi falsamente garantisti sulla riforma, superabili con la conoscenza della giurisprudenza degli ultimi anni sul reato in questione, che porterebbero a bloccare l’approvazione anche in Senato della legge sul consenso, si sono ben presto rivelati in tutta la loro evidenza quando per proporre soluzioni in grado di fermare la violenza si è tornati al vecchio ritornello leghista dichiaratamente forcaiolo e slegato da qualsiasi dato oggettivo. Su quel terreno, una certa parte politica sappiamo essere letteralmente imbattibile. In particolare proprio colui che dovrebbe dedicarsi a far funzionare i trasporti italiani ha messo in scena una campagna di fango, approfittando di un caso avvenuto in settimana proprio a Roma, con due direttrici: alla violenza nei confronti delle donne si risponde con la castrazione chimica e con la caccia all’immigrato nella più classica delle strategie di promozione della paura e dell’odio razziale, necessariamente accompagnate da assenza di argomenti oggettivi in grado di dimostrarne l’efficacia da un lato e la correttezza di analisi dall’altro. Giusto per evidenziare quanto a cuore si abbia il tema della violenza di genere, vista anche la contrarietà all’educazione sessuoaffettiva nelle scuole.

L’auspicio è che il mondo femminista rispedisca al mittente l’uso strumentale di una lotta di parità che passa dal cambio della legge sullo stupro ma anche da un più generale approccio a un modello che quel movimento a livello mondiale ha avuto la straordinaria capacità di mettere in discussione in modo autenticamente riformatore e naturalmente nonviolento. Oggi quel modello di società squilibrato è in discussione ovunque. Eppure è strenuamente difeso proprio da chi urla contro il nero. 

Dovremmo interrogarci su come riconoscere e combattere la violenza ma a livello centrale questa non solo non è una priorità ma è piuttosto un obiettivo da contrastare: a livello locale è lo sforzo che stiamo compiendo a Francavilla Fontana dove il 13 e 14 dicembre si tiene il terzo Festival dei Diritti con un confronto serrato sul ruolo che stereotipi, visibilità e consenso giocano su questo fenomeno, che non può essere sottoposto a semplificazioni che denotano solo inadeguatezza di analisi e proposta.
Sorvolando sulla castrazione chimica, prevista in alcuni Paesi unicamente su base volontaria e con tutta una serie di interrogativi legati alla compatibilità con l’art. 27 della Costituzione, vorrei soffermarmi sulla questione della caccia all’immigrato, scelta in questo momento storico facendo perno sulle ragioni del femminismo e su dati artatamente utilizzati per aprire una solo apparente contraddizione a sinistra.
Dice Donata Columbro, autrice di un saggio interessante sul tema, «gli italiani sono la maggioranza degli autori di reati legati alla violenza sessuale, ma poi c’è da dire che probabilmente il dato è sottostimato. Perché sappiamo che nei casi di stupro si denuncia più frequentemente se l’autore è uno sconosciuto, mentre rimangono non denunciate le violenze commesse da familiari o da partner. Infatti questo tipo di violenza deve essere prima di tutto riconosciuta dalle donne che sono in una relazione di abuso e di solito questo avviene al termine di un lungo percorso che solo in alcuni casi porta alla denuncia».

È noto infatti a chiunque conosca anche solo per sommi capi la materia della violenza di genere che esiste un sommerso che rende complicato prendere in esame dati e andamenti, comprendere se l’aumento delle denunce possa essere letto come aumento dei casi o piuttosto di quella consapevolezza di chi finalmente trova la forza e il coraggio di denunciare, che è un po’ la spiegazione che viene da più parti quando si esamina il paradosso scandinavo. A deporre in questo senso potrebbe essere la circostanza che, in concomitanza con il 25 novembre, i numeri di ricorso al Cav (Centro antiviolenza) conoscono un’improvvisa impennata.
Limitandosi allora a considerare le denunce, vediamo che quelle per violenza di genere commesse da stranieri si attestano secondo l’Istat attorno al 40%, malgrado gli stranieri costituiscano solo l’8,9% circa della popolazione.
Questo dato è tuttavia del tutto generico perché non individua con precisione la provenienza e soprattutto se lo straniero sia o meno regolare o in quali condizioni viva. In secondo luogo, la propensione a denunciare una violenza sessuale subita cambia a seconda della nazionalità delle vittime e, nel caso in cui autore sia uno straniero, le donne denunciano 6 volte di più; al contrario tutto il sommerso che, secondo i dati in nostro possesso, costituisce il problema numericamente più consistente dei casi di violenza sessuale resta consumato in contesti nascosti e soprattutto rimane prima ancora che impunito anche invisibile.

Insomma, il classico colpo al bersaglio contro l’immigrato nero, sporco e cattivo, sport storicamente preferito di una parte politica, assume in questa circostanza davvero dei caratteri di cinismo inaccettabile e va rifiutato con forza. Non è sulla loro pelle che vogliamo un cambio culturale, che deve investire tutta la società senza differenze.
Come ha detto Cecchettin lo scorso anno, commentando un’infelice affermazione del ministro Valditara «Si sta prendendo il problema da un punto di vista sbagliato perché non va condannata l’origine dell’autore ma la violenza in sé. Chi ha portato via mia figlia è italiano. La violenza è violenza indipendentemente da dove essa arrivi. Non ne farei un tema di colore ma di azione: di concetto».

L’unica certezza è l’universalità del tema e la necessità di affrontarlo in modo serio, nei confini e secondo principi costituzionali e non come strumento di caccia.

Sfogliamo il nuovo numero di Vitamine vaganti soffermandoci, ancora una volta, sulla presenza femminile nelle arti minori: Educazione Civica in ottica di genere. La presenza femminile nelle arti minori, per la sezione Juvenilia, presenta il lavoro di grande successo realizzato dall’Istituto comprensivo statale “Santa Caterina” di Cagliari al quale è stato conferito il primo premio per il Concorso di Toponomastica femminile “Sulle vie della parità”.
Restiamo in tema con Shen Shou e l’arte del ricamo la cui opera trasformò quest’arte da passatempo femminile a mestiere con uno stile che «combinava tecniche tradizionali a gusto e soggetti internazionali, portando perciò il ricamo cinese nella modernità».

Ancora un appuntamento con il progetto Voci di verità: Pontedera. Coltivare semi di pace è la relazione sull’evento realizzato presso l’Istituto Comprensivo M.K. Gandhi di Pontedera lo scorso 29 ottobre 2025 il cui intento era «accompagnare le bambine e i bambini in un primo incontro con i valori della pace, del rispetto e della sostenibilità ambientale, attraverso un’esperienza che ha unito racconto, immaginazione e attività pratica».

Entriamo ora in ambito scientifico prima con La doppia elica del Dna non ha un padre, ma una madre, la storia dell’ingiustizia subita da Rosalind Franklin, scienziata che fornì i dati chiave per identificare con grande precisione la struttura elicoidale del DNA, poi con Geologia marziana. Leggere il pianeta rosso, «un pianeta straordinario: un archivio di storia planetaria che sulla Terra è stato cancellato dalla tettonica a placche, dall’erosione e da miliardi di anni di riciclaggio crostale».
Per le scienze umane e la filosofia Se “Dio è morto”, altre divinità sono in ottima salute riporta la riflessione sui concetti di sacro e profano che «si costituiscono come coordinate antropologiche complementari e alternative, ciascuna con la sua area d’influenza» giungendo poi a domandarsi se il sacro, di fronte alla società contemporanea, sia ancora possibile.

Tutti contro tutti. Il numero di novembre di Limes. Parte prima affronta il caos che contraddistingue la transizione egemonica in corso, soffermandosi in questa prima parte sull’«America e il nemico di dentro».

She said. Anche io. Il caso di Harvey Weinstein è la recensione del film diretto da Maria Shrader «basato sulla storia vera dell’inchiesta del 2017 sugli abusi sessuali commessi dal famoso produttore Harvey Weinstein, condannato a 23 anni di prigione»; La punizione più bella del mondo è il ricordo, per il laboratorio di scrittura creativa flash-back, della punizione che alle elementari la maestra le infliggeva mandandola nella classe dei maschi. Punizione, però, che per lei era un momento di gioia: i compagni erano divertenti, il maestro creativo e la classe piena di energia al punto da trovarvi il suo piccolo angolo di libertà che l’ha segnata per sempre.

Ritroviamo la serie “Viaggi verso est”: Una settimana in Algeria, «un Paese affascinante con il suo deserto stupendo che non ha eguali, ma che mantiene ancora molti aspetti inquietanti da sciogliere, perché possa divenire un luogo ospitale».

Per “Un anno con Clara Sereni” ripercorriamo, in questo articolo, il suo lungo e complesso rapporto con la fragilità psichica del figlio Matteo, intrecciandolo alla sua attività di scrittrice, militante e promotrice di progetti sociali fino ad arrivare ad Amore Caro, «costituito da dieci racconti in forma di lettere scritte da personaggi del mondo della cultura e dello spettacolo: persone che hanno in comune l’esperienza dell’incontro con una qualche forma di disabilità, fisica o psichica, che ha colpito un familiare, dalla nascita o in seguito a un incidente».

Scatti urbani. Terni è il nuovo fotoreportage per le strade della città composto da fotografie in bianco e nero. 

Concludiamo con La cucina vegana. Spaghetti aglio olio e noci e con Il novembre di Toponomastica femminile, resoconto delle attività della nostra associazione in giro per l’Italia.

Buone letture paritarie a tutte e tutti!

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Articolo di Sergio Tatarano

Avvocato e assessore comunale si è sempre impegnato per la promozione dei diritti individuali e delle libertà; ha promosso l’adozione del linguaggio non sessista in ambito amministrativo nonché le intitolazioni femminili di parchi. Ha pubblicato il saggio giuridico Fine vita: ragioni giuridiche a sostegno di una legge ed è uscito nel 2025, per Key editore, Il cognome materno.

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