La doppia elica del Dna non ha un padre, ma una madre

Il 7 novembre 2025 la Repubblica titola: «James Watson è morto: addio allo scopritore della struttura del Dna». Segue Il Corriere che scrive: «È morto all’età di 97 anni James Watson, co-scopritore del Dna. […] Biologo, genetista e biochimico statunitense, nel 1962 vinse il Premio Nobel insieme a Francis Crick per le scoperte sulla struttura del Dna». E ancora RaiNews: «È morto James Watson, il Premio Nobel che ha scoperto la struttura del Dna». Il Sole 24 Ore: «Addio a James Watson, padre della doppia elica del Dna».
Eppure la verità è che la doppia elica del Dna non ha un padre, ma una madre. La scienziata che ne rese possibile la scoperta morì a Londra il 16 aprile 1958, a soli 37 anni, probabilmente a causa della frequente esposizione ai raggi X, che le provocò un cancro alle ovaie. Il suo nome era Rosalind Franklin.

Rosalind nacque il 25 luglio 1920 a Notting Hill, Londra, in una famiglia ebrea di banchieri benestanti. Fin da bambina mostrò un talento per la scienza: dai suoi scritti sappiamo che a dodici anni aveva già deciso di voler diventare una scienziata, nonostante il padre preferisse per lei un percorso ritenuto più appropriato a una donna dell’epoca, come la beneficenza. Fu proprio l’interesse paterno per la cultura e la conoscenza a ispirarla e a stimolarne la curiosità scientifica. Il suo desiderio, inizialmente visto dai genitori come una forma di eccessiva emancipazione femminile, venne comunque accolto e Rosalind poté frequentare scuole prestigiose, tra cui la St Paul’s Girls’ School di Londra, che le fornì una solida preparazione scientifica e linguistica e successivamente il Newnham College di Cambridge, un luogo che solo pochi decenni prima non avrebbe accolto una donna. Durante l’adolescenza ebbe la possibilità di assistere alla conferenza di Albert Einstein che la ispirò profondamente. Studiò proprio dove tre secoli prima aveva studiato Isaac Newton e più tardi ebbe l’opportunità di lavorare nel Laboratorio Cavendish, così chiamato in onore del fisico e chimico che scoprì l’idrogeno e la composizione dell’acqua.
La sua brillantezza la portò presto a operare in équipe prestigiose. Durante la Seconda guerra mondiale contribuì alla ricerca sui combustibili presso la British Coal Utilisation Research Association, approfondendo la struttura del carbone e della grafite. Nel 1945 conseguì il dottorato e due anni dopo si trasferì a Parigi, al Laboratoire Central des Services Chimiques de l’État, dove trovò un clima molto più aperto per le ricercatrici e imparò a padroneggiare la cristallografia a raggi X.

Il ritorno a Londra segnò l’inizio di una delle più importanti avventure scientifiche del Novecento. Invitata da John Randall al King’s College, si trovò al centro delle ricerche sulla struttura del Dna. Lì realizzò un dispositivo capace di scattare immagini ad alta definizione dei filamenti di Dna. Da quel lavoro nacque la celebre “Fotografia 51”, l’immagine che rivelava con una chiarezza senza precedenti la forma elicoidale della molecola. Rosalind identificò due caratteristiche fondamentali del Dna: la forma a elica e la distinzione tra forma A e forma B, individuandole con precisione quando molti ricercatori le confondevano. In quello stesso periodo a Cambridge lavoravano James Watson, Francis Crick e Maurice Wilkins. Quest’ultimo, inesperto nell’uso dei raggi X, pretendeva che Rosalind condividesse i suoi dati, la scienziata preferiva invece pubblicare solo informazioni complete e verificate. Nel gennaio 1953 Wilkins mostrò di nascosto a Watson una copia della Fotografia 51, mentre Max Perutz consegnò a Watson e Crick un rapporto interno scritto da Rosalind con risultati ancora non pubblicati. Quei dati, sottratti senza consenso, fornivano l’ultimo tassello per costruire il famoso modello della doppia elica, annunciato con entusiasmo dai due scienziati. Rosalind fu ignara che la loro conquista poggiava anche sul suo lavoro. Il suo contributo non venne citato negli articoli pubblicati su Nature e l’impresa fu raccontata come totalmente autonoma.

Sempre più insofferente all’ambiente maschilista del King’s College, Rosalind si trasferì al Birkbeck College, dove si dedicò allo studio dei virus. Nel 1955 pubblicò come unica autrice lo studio sulla struttura del virus del mosaico del tabacco. Il direttore John Bernal la descrisse così: «Le sue fotografie a raggi X sono tra le più belle mai ottenute di qualsiasi sostanza». Anche Aaron Klug, futuro Premio Nobel e suo collaboratore, affermò: «Rendeva bella qualunque cosa toccasse». Rosalind non era una femminista militante, ma una scienziata che chiedeva di essere trattata come i suoi colleghi, eppure fu etichettata con soprannomi sprezzanti. Watson e Crick la chiamavano “dark lady”, definizione riportata in una lettera di Wilkins a Crick nel marzo 1953.

La storia di Franklin non è l’unica ingiustizia di quegli anni. Martha Chase, genetista statunitense, condusse con Alfred Hershey esperimenti che dimostrarono che è il Dna e non le proteine a trasmettere l’informazione genetica. Sebbene coautrice della scoperta, nel 1969 il Nobel venne assegnato solo a Hershey. Come Franklin, anche Chase fu esclusa da un riconoscimento che le spettava.
Oggi il contributo delle donne alla scienza è ancora minoritario. Secondo l’Unesco costituiscono solo il 30% dei ricercatori globali. Eppure hanno segnato progressi fondamentali, come dimostra il Nobel del 2020 a Emmanuelle Charpentier e Jennifer Doudna per la tecnologia CRISPR-Cas9, un sistema di editing genetico che permette di tagliare e riscrivere il Dna con precisione rivoluzionaria. Doudna stessa ha sottolineato come la visibilità di due scienziate possa incoraggiare una nuova generazione di ricercatrici.

La storia di Rosalind Franklin, tuttavia, non vive solo nei laboratori ma anche nei pub di Cambridge. Quando il Cavendish Laboratory si trovava a Free School Lane, gli scienziati pranzavano spesso al pub “The Eagle”, dove il 28 febbraio 1953 Francis Crick interruppe i clienti e con entusiasmo annunciò: «We’ve discovered the secret of life!», ovvero «Abbiamo scoperto il segreto della vita!», riferendosi alla proposta di struttura del Dna elaborata insieme a Watson. L’aneddoto è ricordato da una targa blu all’ingresso. Dal 2017 il nome di Rosalind è stato aggiunto e cancellato più volte dai graffiti di visitatrici e visitatori, finché nel 2023 la targa non è stata sostituita con una che cita finalmente anche lei e Wilkins.

“The Eagle” non è un pub qualsiasi, è il luogo in cui Watson e Crick, durante un pranzo, stilarono anche l’elenco dei venti amminoacidi canonici. Il pub ha inserito nel menù una birra speciale, la “Eagle’s Dna”, ispirata al nome del locale e alla scoperta della doppia elica.
La figura di Rosalind Franklin è oggi finalmente riconosciuta dalla comunità scientifica ed è legata a laboratori, istituti, premi e missioni spaziali. Non ricevette il Nobel ma la sua eredità è ormai incancellabile. La doppia elica del Dna, simbolo della vita, porta anche la sua impronta, quella di una scienziata che non ebbe bisogno di proclami per cambiare la storia ma solo della forza silenziosa delle sue immagini e della precisione del suo lavoro. Ogni volta che qualcuno entra a “The Eagle” per bere una Eagle’s Dna o osserva la Fotografia 51 nei libri di biologia, il suo nome, un tempo oscurato, compare alla luce.

In copertina: Rosalind Franklin. Ritratto della scienziata.

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Articolo di Fabiola Barbato

Docente di Lettere, laureata in Lettere e in Filologia classica e moderna. Crede nella forza gentile dei sentimenti e nel cuore come bussola etica e creativa. Fervente sostenitrice dell’idea che la parola sia uno spazio di libertà e che la sensibilità sia una forma di resistenza.

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