Se “Dio è morto”, altre divinità sono in ottima salute

La frase nicciana “Dio è morto” è stata accolta con ingenuo entusiasmo: ci si è illuse/i che l’ostacolo alla realizzazione umana fosse l’esistenza di Dio. Il fenomeno della secolarizzazione ha messo a nudo i limiti che strangolano la nostra società, assumendo i contorni di una vera e propria crisi antropologica, questa ha agito nelle pieghe più profonde della modernità e ne ha scosso i presupposti.
Il Novecento è stato accompagnato da significative trasformazioni culturali e sociali: nella prima metà del secolo il modernismo interpretava il percorso storico come un progresso continuo e inarrestabile verso cui l’umanità si stava dirigendo. Lo sviluppo scientifico e la sua applicazione tecnologica erano ritenute come le promesse di un brillante avvenire che avrebbe traghettato l’umanità verso il massimo splendore.

Le due guerre mondiali posero fine a questa euforia, il sodalizio tra sapere scientifico e industria bellica aveva dato luogo a un’orrorifica macchina di morte: il faro del progresso aveva proiettato una sinistra ombra di distruzione. In tale spaccato storico, in un clima culturale che stava attraversando una crisi radicale, i grandi sistemi filosofici e la loro densità esplicativa appaiono come lasciti vischiosi, inassimilabili da un tessuto intellettuale ormai disincantato. Le grandi ideologie, i valori condivisi, le verità assolute divengono retaggi di un passato lontano: appartengono a un mito vanaglorioso che l’umanità desidera lasciarsi alle spalle.
Il valore della vita non è più affidato a un’aura di senso, ma è sostenuto dalla fugacità dei desideri e dall’irrazionalità dell’istinto. Questa emorragia di senso fa tramontare i grandi ideali e i princìpi assoluti. Il relativismo e il pluralismo divengono i criteri regolativi che svuotano giustizia e verità delle loro pretese ontologiche: è l’avvento del post-modernismo.

Bomba nucleare su Hiroshima (6 Agosto 1945)
Hiroshima: effetto dell’olocausto atomico

La dimensione del sacro come si posiziona rispetto a un simile quadro?

Il concetto di sacro, escludendola, presuppone la definizione di profano, sicché sacro e profano si costituiscono come coordinate antropologiche complementari e alternative, ciascuna con la sua area d’influenza. La sfera del profano comprende la quotidianità, il lavoro, il calcolo, il progetto, la produttività; in quest’ordine il mondo non è nient’altro che un insieme di cose. Il sacro sfugge a una definizione precisa: in esso agiscono energie e forze che se da un lato si sottraggono all’umana comprensione, dall’altro donano un alone di senso che unisce il mondo materiale all’orizzonte sovrasensibile.
È il rito ad attivare il sacro. Il rituale è codificato da una serie di azioni che attingono al linguaggio simbolico, la partecipazione a queste celebrazioni consente un’esperienza umana del trascendente e una relazione con il divino. In ragione della sua trasversalità storica, le scienze sociali considerano il rito come un fatto sociale totale essendo a tutti gli effetti un’espressione del patrimonio culturale in grado di stabilire e mantenere un’identità collettiva che vincola i singoli individui.
L’evento del rito è preceduto da pratiche di purificazione come il digiuno ed è seguìto dalla festa in cui ha luogo il dispendio, la dilapidazione di quanto si è accumulato nel tempo profano. Alle persone cristiane è prescritto il digiuno durante il Venerdì Santo, così come durante il Ramadan i/le fedeli dell’Islam si dedicano al digiuno per tutto il giorno e lo interrompono con i due pasti permessi: il suḥūr (prima dell’alba) e l’ifṭār (dopo il tramonto); mentre è nella domenica di Pasqua per il cattolicesimo e nell’Id al-fitr per chi pratica la fede musulmana che ha luogo la celebrazione della festa con banchetti sontuosi e scambio di doni. Appunto il dono, dall’etimologia sanscrita dāna दान [dare, donare] indica un atto di generosità che non prevede alcun vantaggio per il benefattore o la benefattrice; esso è dispendio, puro sperpero, dilapidazione, questi aspetti ne fanno la modalità per eccellenza della festa.

Domenica di Pasqua (2025): Papa Francesco dalla loggia vaticana saluta i fedeli
Ramadan 2025 alla Mecca

Il sacro implica una visione integrale dove la singolarità si perde a favore della regalità dell’Essere completo e compiuto. Sacro e profano si determinano per giustapposizioni: il primo è universale, circolare, super conscio, a-causale, senza tempo, totale e sincronico e simultaneo; mentre il secondo è locale, lineare, conscio, deterministico, nel tempo presente, individuale in quanto esige la distinzione soggetto/oggetto. L’ecosistema del lavoro realizza il profano, giacché il lavoro è nient’altro che vendita di risorse fisiche e mentali in cambio di denaro, esso richiede un sistema divisivo che atomizza chiunque vi partecipi. La qualità singolare perde la sua specificità per tradursi in un indice quantificabile, omologato, paragonabile, poiché tutto deve essere stimabile secondo criteri di mercato.

Ora, se in Occidente si è compiuta la realizzazione del relativismo, unito a ciò che René Guénon definì il Regno della Quantità, come può manifestarsi il sacro? Il sacro è assoluto e come tale è inconciliabile con un sistema che quantifica e compara. Allora ci si chiede: le condizioni affinché il sacro s’inveri, esistono tutt’oggi o si sono disciolte nell’onda laicista? La risposta è piuttosto controversa e, a questo proposito, le tesi più interessanti sono due.
Vediamo la prima: la laicizzazione del sacro. Ad appropriarsi della festa, scollegandola dal suo contesto cultuale, è il regime secolare che — attraverso un processo di decostruzione e contaminazione — ne compromette l’essenza. La festa si trasforma in evento: la formalità rituale della celebrazione perde il suo alone simbolico lasciando spazio all’esibizione e all’esaltazione estetica. Il divertimento e l’intrattenimento fanno sì che i sensi sostituiscano il senso, divenendone un blando surrogato.
La calendarizzazione profana con le sue giornate internazionali e le commemorazioni genera nuovi dispositivi simbolico-rituali ancorati a valori laici. Si tratta di un’operazione che tenta di riscrivere l’identità collettiva attraverso nuove pratiche sociali. Questa interpretazione di stampo sociologico esalta la spinta secolarizzante e la sua capacità di assorbire e metabolizzare la dimensione sacra secondo le coordinate laiche.
Anche secondo un’impostazione antropologica, il sacro è una componente umana inalienabile e, benché vi siano delle condizioni che ne minaccino l’esistenza, esso assumerà e attiverà forme espressive alternative in funzione del contesto socio-storico.

La seconda interpretazione, la sacralizzazione del profano, è agli antipodi ed è un’ipotesi particolarmente suggestiva avanzata dall’illustre Roberto Calasso nel saggio La rovina di Kasch. Calasso riflette sul rovesciamento del sacro: ciò che di primo acchito appare come un oblio del sacrificio, si rivela la forma oblativa più fulgida ed estesa mai realizzata dall’umanità. Infatti il sistema capitalistico con la sua mastodontica filiera produttiva dà luogo a un campo di distruzioni multiple: il mondo diviene «un’immensa officina sacrificale». Il sacro, infatti, si dilata oltre i confini inglobando l’ordine profano, questa esondazione avviene senza che vi sia coscienza umana. Il sistema produttivo ha subìto un effetto imprevisto e opposto: laddove ha escluso l’ordine sacro, è finito per esserne sopraffatto, sicché il consumo e il sacrifico risulterebbero due pratiche intercambiabili laddove non vige un principio di consapevolezza che le discrimina.

L’indimenticato Roberto Calasso (1941-2021)
La Rovina di Kasch (1983), Adelphi

Secondo Calasso, la scienza istituzionalizza un modello sacrificale privato del senso di colpa, i laboratori manipolano la realtà in nome «di un dio ignoto, che è dio dell’ignoto». Lo scienziato è l’officiante di un culto nel quale si immolano vittime in nome del sapere. A legittimare la distruzione delle vite animali nei laboratori è la promessa di un futuro migliore, dunque l’agire in funzione di un avvenire desiderabile rimane il denominatore comune tra i sacrifici di ieri e quelli di oggi.
Calasso, attraverso la costellazione concettuale vedica, ha articolato una profonda riflessione sulla nozione di sacrifico in relazione al contesto post- moderno. La sua trattazione erudita apre un’inaspettata finestra da cui osservare il mondo; la scelta di distogliere lo sguardo o di comprenderlo è solo nostra.
La sacralizzazione del profano, partendo da una concezione puramente metafisica, descrive come la compressione del sacro produca un effetto inatteso e contrario. Il sacro non può implodere: i ridicoli spazi a cui è relegato dalle istanze secolari finiscono per essere travolti dalla sua forza, al punto che il sacro si estende oltre sé stesso, trascende fino ad assimilare l’ordine profano. Tuttavia, se prima il senso numinoso di cui era dotato risultava imperscrutabile, ora è del tutto ignorato: la contaminazione delle due realtà — quella profana e quella sacra — ha gettato l’umanità in un abisso incosciente dove qualsiasi ente mondano è potenzialmente soggetto all’orda distruttivo-sacrificale.
La visione di Calasso ci invita a una riflessione: laddove l’essere umano smarrisce i riferimenti sacri e con essi il senso che li articola, non riconosce più il suo ruolo all’interno dello scacchiere della realtà. L’umanità è mossa da forze che, non riconoscendole, non può più governare. In questo scenario la tecnologia dà solo un’illusione di controllo.

Il sacro séguita a esercitare la sua autorità in molteplici attività, di cui però non si ha più consapevolezza. L’erosione del sacro è a conti fatti la vittoria di quest’ultimo sul profano, i gas serra non sono altro che i nuovi fumi sacrificali che gli dèi contemporanei pretendono dall’umanità. Senza più alcuna divinità il mondo intero diventa un’ara sacrificale che gronda sangue, giacché tutto si dispone per essere usato sconsideratamente senza più le prescrizioni rituali tradizionali. La quota di vittime aumenta in modo sproporzionato. Questa distruzione massiva e incessante è l’offerta che l’essere umano inconsapevolmente porge a degli dèi ignoti che abitano e governano il capitalismo.

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Articolo di Sathya Cucco

Studiosa di filosofia e comunicazione, uso la conoscenza come compagna di vita.

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