In questa settimana di tentativi diplomatici di pace tra Russia e Ucraina, su cui siamo informate/i giorno per giorno, diversamente da quanto accadde all’inizio della guerra, riprendiamo l’esame di Tutti contro tutti dalla prima sezione. In Acrobazie cinesi, russe e indiane si segnala l’articolo di Victor Gao Per la Cina la potenza non è più un tabù in cui l’analista geopolitico, che ha studiato a Yale, illustra la sua «teoria della pace inevitabile». Oggi la Cina ha più navi militari dell’America e ne vara di nuove a un ritmo che gli Usa non riescono a sostenere. Se fino a ieri gli Stati Uniti avevano un’indubbia superiorità aerea, oggi l’Aeronautica cinese ha fatto passi da gigante e riuscirebbe ad abbattere anche gli F-35. Se scoppiasse la terza guerra mondiale, questa sarebbe combattuta anche sul suolo continentale degli Stati Uniti. Per questo la pace è inevitabile.

Si fa sempre più fatica a scrivere di Russia perché si rischia di essere etichettati/e come “putiniani/e” da chi non sa che cosa sia la geopolitica. Ogni volta che lo si fa si avverte al proprio interno una qualche forma di autocensura. Orietta Moscatelli, brillante docente esperta di Russia della Scuola di Limes guida le/i lettori a decifrare ilrapporto di partenariato tra questa e la Cina, due superpotenze che si sono avvicinate dopo la guerra di Ucraina. Si parla molto in Russia di «ritornare all’Est per ritornare a casa». Una scelta strategica, pragmatica e dal 2022 quasi dovuta, anche se caratterizzata da forte ambiguità e fluidità. Basti a comprenderlo il discorso di Putin al Valdai Club: «I rapporti all’interno della maggioranza mondiale rappresentano il prototipo delle pratiche politiche richieste da un mondo policentrico, si fondano sul pragmatismo e sul realismo, sul rifiuto di ogni logica di “blocco”, sull’assenza di modelli rigidi imposti da terzi, modelli in cui esistono sempre “partner” più importanti di altri. E, infine, sulla capacità di armonizzare interessi che sono ben lontani dal coincidere spontaneamente […] In questo modo, l’assenza di antagonismo viene elevata a principio fondamentale». Dal punto di vista russo, scrive Moscatelli, una fluidità che può agevolare la grande ricomposizione e l’agognata coabitazione tripolare Usa-Cina-Russia, quella che Caracciolo, citando Camilleri, chiama La Grande Componenda. Il memorandum di intesa «giuridicamente vincolante» tra Gazprom e la cinese Cnpc per la costruzione del gasdotto Power of Siberia 2 riguarda un progetto che potrebbe compensare quasi la metà del crollo delle esportazioni russe verso l’Europa, ma avrebbe molti altri vantaggi. Il termine «reciproco» è essenziale per cogliere la natura del rapporto sino-russo.
Serva per tutti un esempio: in occasione delle celebrazioni per la fine della seconda guerra mondiale, la Cina ha revocato unilateralmente la richiesta di visto alle/ai cittadini russi, con l’effetto di far raddoppiare le prenotazioni di voli per la Cina. Putin ha concesso pari trattamento il primo dicembre scorso per i cittadini e le cittadine cinesi.

Si continua a parlare di Russia e dei suoi immani investimenti nell’Artico con l’approfondimento di Mauro De Bonis, che solleva anche il problema dello scioglimento del permafrost e delle sue conseguenze. Una visione diversa è quella di Giorgio Cuscito, esperto di Cina, nel suo La Cina mette la Russia in ghiaccio in cui il docente della Scuola di Limes racconta l’importanza del Profondo Nord nella deterrenza nucleare cinese e il nuovo percorso commerciale tra Cina ed Europa passante per il Polo: «Un’ennesima diramazione della cosiddetta «via della seta sul ghiaccio» (bingshang sichou zhilu), nel quadro della Belt and Road Initiative (Bri, nuove vie della seta).
Assolutamente da leggere Afriche non vogliono diventare gialle di Domenico Galliani perché fornisce una descrizione dei rapporti tra Cina e Paesi africani articolata, approfondita e diversa da quella veicolata dai media mainstream.
Completa il quadro sulla potenza rivale degli Usa il saggio di Marcello Spagnulo Nello spazio vince la Cina.
Sulla posizione e sul ruolo dell’India sono da segnalare due approfondimenti: il primo di Lorenzo di Muro, che così esordisce: «L’India non intende diventare lo junior partner di nessuno, ma un polo indipendente del nuovo ordine mondiale multicentrico. Né occidentale né anti-occidentale bensì autocentrata, fiera erede di una cultura millenaria. Per questo l’unico faro della geopolitica di Delhi è il pragmatico perseguimento dell’interesse nazionale, che si declina nell’intessitura di una ragnatela di rapporti con tutti gli attori dello scacchiere globale. Obiettivo: elevare il proprio status socioeconomico e geopolitico un secolo dopo la dichiarazione d’indipendenza, rendendo Bharat grande potenza di rango mondiale»; il secondo ha una firma femminile ed è sulla figura di Subhas Chandra Bose, l’antagonista bengalese di Gandhi, oggi rivalutato da Modi e molto più in linea con la politica pragmatica del Primo Ministro indiano.
La terza parte è dedicata alle Europe in guerra, un’analisi spietata delle diversità interne a quella che ambiziosamente si è voluta chiamare Unione Europea. Apre la sezione Nicola Cristadoro, analista militare che si cimenta in un divertissement fantapolitico in cui impersona, sulla falsariga di Uragano rosso di Tom Clancy, uno stratega designato da Gerasimov per progettare quell’attacco russo all’Europa e alla Nato. A molte persone questo articolo avrà dato fastidio e potrebbe essere tra quelli che hanno portato in questi giorni a pubbliche critiche feroci nei confronti della rivista. Sono quelle stesse persone che ignorano i principi cui gli analisti e le analiste geopolitiche dovrebbero ispirarsi. Come attaccare la Russia e perdere tutto del generale in pensione Fabio Mini potrebbe essere un altro approfondimento disturbante perché molto critico verso la cosiddetta Europa e anche per questo se ne consiglia vivamente la lettura. Contiene affermazioni e dati di cui tutte e tutti dovremmo tener conto.
Nello spirito della rivista in questa sezione si accolgono punti di vista diversi, tra cui spicca quello norvegese dal titolo Lasciate la Russia a noi nordici, accanto alle analisi su Berlino e sulla Svezia.

Mi piace chiudere la seconda parte di questa recensione divulgativa riportando la seconda parte delle riflessioni dell’editoriale di Lucio Caracciolo: «Se la geopolitica è dialogo, difficile che trovi spazio nel nostro tempo, rimbombo di monologhi […] “Criticare non è distruggere, ma precisare”. Così Paolo VI, autore nel 1964 della prima, insuperata enciclica sul dialogo, Ecclesiam Suam […]. Criticare per precisare, scavare per scoprire le radici delle dispute, invita a non considerare destino la guerra di tutti contro tutti. Al contrario, siamo tutti destinati a scongiurarla. E a ricostruire nel dialogo, su basi aggiornate, un nuovo contratto sociale, emancipato dalla contrapposizione fra populisti ed élite che, scardinando le nostre sempre meno libere e democratiche liberaldemocrazie, quelle tempeste alimenta. Vuoto che uccide la politica, condizione della geopolitica. Mentre concentra il potere nelle mani di decisori senz’anima né appartenenza democratica e nazionale. Autoproclamati detentori dell’unica scienza di governo: governance autoritaria di ispirazione neoliberista declinata in formule tecnocratiche che si vorrebbero neutre, universali. Senza alternative. Poteri privati dotati di ricche finanze incrociate a patrimoni preferibilmente ereditari occupano e sfruttano a man salva istituzioni dello Stato e agenzie sovranazionali. Legittimati dai propri algoritmi, in agile stile manageriale trattano da proprie aziende le pubbliche istituzioni […] Il populismo è rivolta, spesso rozza e xenofoba, contro il privilegio elitista. Chiusura contro chiusura. Perbene e permale. Tutto fuorché dialogo. Ma non è coprendo la pentola bollente con doppio coperchio d’acciaio che se ne evita l’esplosione. Trump e i suoi numerosi emuli europei, altrettanto se non più elitisti delle élite che deprecano, cavalcano le ribellioni di popolo non per ricucire la nazione ma per adattarla alla propria tribù.
C’erano una volta partiti e movimenti sociali in competizione aperta. Oggi il campo occidentale in depressione si arrocca in monadi incomunicanti. Avrà avuto ragione Margaret Thatcher quando statuiva inesistente la società? Presto conteremo solo individui adattati alla legge del più forte? Dalla civiltà alla giungla? A costo di farci male, accettiamo la sfida che ci siamo imposti».
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Articolo di Sara Marsico

Giornalista pubblicista, si definisce una escursionista con la “e” minuscola e una Camminatrice con la “C” maiuscola. Eterna apprendente, le piace divulgare quello che sa. Procuratrice legale per caso, docente per passione, da poco a riposo, scrive di donne, Costituzione, geopolitica e cammini.
