Qualche anno fa, nell’intervista in cui ci parlava del suo percorso culturale e ci presentava il suo libro Madre Natura. La Dea, i conflitti e le epidemie nel mondo greco (si può rileggere qui), nell’ultima sua risposta l’autrice Vittoria Longoni ci diceva: «Non so ancora se da questi approfondimenti e da queste discussioni mi verrà la spinta per altre pubblicazioni, di tipo saggistico oppure creativo, narrativo o magari poetico. Tengo aperto il cantiere personale di riflessioni, di intuizioni e di immagini, e continuo a leggere molto, in più direzioni; sono soddisfatta delle reazioni che il mio libro finora ha suscitato, in chi mi legge e anche dentro di me. Un percorso che, dati i temi, è impossibile dichiarare concluso». Infatti successivamente abbiamo visto pubblicato, sempre con sguardo di attenta studiosa e amante delle civiltà classiche, Come si nasce. Miti e storie (Ledizioni, 2024), una coinvolgente narrazione, ricca di informazioni e illustrazioni su tutto ciò che concerne la nascita, la genitorialità, le adozioni e molto altro, che spazia dal mito greco a oggi, con le nuove famiglie arcobaleno e la consapevolezza che ogni concezione, di qualsiasi aspetto dell’esistenza, al di là dell’essere “naturale”, è sempre figlia del proprio tempo.
Il saggio si apre con una citazione di Hannah Arendt, molto indicativa di quello che vuole essere lo sguardo con cui si è affrontata la ricerca: «Gli uomini, anche se devono morire, sono nati non per morire ma per incominciare», con l’esplicita perplessità per tanti e tanti secoli molto più concentrati sul tema della morte rispetto a quello della vita, nella letteratura, nella poesia o nell’arte. Forse perché la narrazione, nei millenni che abbiamo alle spalle, dominati da una cultura patriarcale, è stata compiuta dal genere umano maschile — guerrieri, politici, padri della “cultura” — che hanno relegato l’essere madre a una funzione di “natura”, sempre inferiorizzata e non degna di nota?
Leggiamo questo nell’introduzione: «Nella cultura occidentale e in particolare nella filosofia, il tema della nascita ha avuto meno spazio e minore incisività di quello della morte: a partire da Socrate e da Platone, che hanno sancito la superiorità della generazione “delle menti” rispetto a quella dei corpi. Il tema della morte eroica si è affiancato spesso all’esaltazione della guerra», motivo per cui, vista l’importanza e l’accentuazione oggi di un pensiero “di pace”, Vittoria Longoni considera questo saggio molto utile da far conoscere e da discutere nelle scuole.
Nella ricca bibliografia finale sono ricordate le opere di moltissime autrici che hanno finalmente e in modo potente introdotto il corpo e il femminile nella riflessione culturale, grazie anche all’influsso dei femminismi. Tante studiose, da Luisa Muraro ad Annie Ernaux, da Adrienne Rich a Silvia Vegetti Finzi, da Adriana Cavarero a Michela Murgia… dalle studiose del passato classico alle più recenti intellettuali… Dopo millenni ora finalmente la strada di studi che vadano a indagare sulle responsabilità culturali di stupri di guerra, infanzia devastata dalla fame, migrazioni pericolose e femminicidi… — solo alcune delle più evidenti e immediate risultanze del patriarcato — è stata tracciata.
Certo l’immaginario arcaico sulla creazione del cosmo nella cultura greca classica — con i molteplici dei e dee, forze caotiche oppure ordinate, in cui l’elemento centrale non è certo l’uomo — è molto distante dalla concezione successiva di un Dio Padre creatore di ogni cosa, ma oggi (quasi in un eterno ritorno di nicciana memoria) quell’orizzonte simbolico classico ritorna prepotente, a decostruire millenni di patriarcato, a volte in nome di una Natura come Grande Dea Madre (di attuale ispirazione ecologista) a volte nelle opere più recenti che hanno per oggetto la fantascienza femminista, come quelle, per esempio, di Donna Haraway.
Il saggio, quindi, attraversa narrazioni mitologiche, letterarie, artistiche e storiche sulle diverse tipologie di nascite, diversi modi di riconoscere e accudire la prole, diverse concezioni della famiglia. Anche se tutto ciò che concerne la maternità, dal concepimento al rapporto con figli e figlie, è stato nell’antichità prevalentemente parte di una cultura orale, diverse testimonianze si trovano per esempio nel teatro classico, in resoconti di viaggi o nell’epica, per non parlare dell’analisi attenta delle opere d’arte.
Voglio fare qui solo alcuni esempi e lasciare tutta la ricchezza di storie, citazioni e analisi presenti nel testo — che sarà certo appassionante — a chi si introdurrà nei meandri della lettura: a partire da Gaia, “Madre Universale”, “Madre di tutti gli dei e di tutti gli umani”, come viene definita dal poeta Esiodo (VII sec. a.C.), sino ad arrivare all’oggi, con i dibattiti sulla fecondazione eterologa, la Gpa e le famiglie queer.
Un esempio che mi ha particolarmente colpito, ovviamente conosciuto, ma non così bene in tutti i dettagli descritti, è questo: Codice di Hammurabi, considerato il più antico della storia dell’umanità, di cui il libro di Vittoria Longoni riporta anche tante leggi attinenti i matrimoni, la procreazione, l’eredità dei beni e molti altri aspetti sul tema: «Gli articoli del codice di Hammurabi, considerati nel loro complesso, pur in un quadro nettamente patriarcale, prevedono anche alcune tutele a vantaggio sia della moglie principale che della “cameriera servente”, a condizione che quest’ultima avesse partorito figli al padrone. La “cameriera”, essendo in condizione di schiavitù, non poteva certo rifiutare questa proposta: era un oggetto nelle mani della padrona e del padrone, del tutto priva di diritti. Tuttavia si può ipotizzare che, almeno in certi casi, la “cameriera” vedesse in questo obbligo riproduttivo che comportava rapporti sessuali col padrone anche un modo per migliorare, di fatto o di diritto, la propria condizione di schiava.
La moglie veniva tutelata in qualche misura dal divorzio in caso di sterilità, che poteva essere fatto facilmente da parte del marito in assenza di figli, come previsto dall’art. 118; il padrone in quel caso poteva prendere una seconda moglie, ma in posizione subordinata alla prima. Se la moglie principale decideva di mettere a disposizione una sua cameriera servente, il padrone non poteva sposare un’altra moglie. La cameriera servente, se generava bambini, non poteva essere venduta come schiava e alla morte del padrone acquisiva la libertà, insieme ai propri figli».
Si incontreranno poi anche nella Bibbia casi di poligamia e genitrici sostitutive, come la storia di Sara — moglie del patriarca Abramo — a lungo sterile, che offre al marito la sua schiava egiziana Agar, per poter poi adottare il figlio che sarebbe nato da lei; o la complessa vicenda delle due mogli di Giacobbe, Lia e Rachele, che fanno accoppiare col marito, per avere più discendenza, le loro due schiave, Zilpa e Bila. Leggiamo: «Lia partorì più figli a Giacobbe, mentre la bella Rachele restò sterile per anni. Infine Rachele, disperata anche per il confronto umiliante con la fertilità della sorella, fece a Giacobbe la stessa proposta che Sara aveva fatto ad Abramo: gli dette la propria serva Bila. Giacobbe si unì alla schiava, che egli partorì due figli. Infine anche Rachele riuscì ad avere figli; a sua volta anche Lia mise a disposizione del marito la propria serva Zilpa che gli diede due figli. Poi Lia ebbe a sua volta altri figli propri.
Si direbbe che i parti delle genitrici sostitutive abbiano stimolato la fertilità delle rispettive padrone. Rachele riuscì a generare infine due figli e Giacobbe: Giuseppe, destinato a essere perseguitato per gelosia dai fratelli, e l’amato Beniamino, frutto del suo dolore, che ella mise al mondo morendo durante il parto. Giacobbe così ebbe una numerosa progenie da quattro donne, le due mogli e le loro due serve».
La pratica si ritrova anche nel mondo romano: «Da alcune testimonianze antiche pare che la pratica della cosiddetta “cessione della moglie” fosse stata codificata a Roma fin dall’epoca di Numa Pompilio. Un padre di famiglia che aveva già avuto figli dalla moglie, ancora fertile, poteva cederla a un altro cittadino per consentirgli a sua volta di avere figli. Il primo doveva divorziare dalla moglie; dopo che l’altro padre aveva avuto uno o più figli, la moglie “ceduta” poteva tornare nella casa del primo marito.
Col passare dei secoli questo antico costume, destinato soprattutto a garantire ed aumentare la fecondità, fu rispolverato a volte con lo scopo di stabilire un legame stretto tra due famiglie o due “gentes” e migliorare così la coesione tra i due gruppi. Il tutto nel quadro dello strapotere dei padri».
A voi la scoperta di tanti altri racconti di procreazione, gestazione, nascita e maternità. Arrivando all’oggi e nelle discussioni sui nuovi modi di generazione e di famiglia, l’autrice così commenta: «Anziché proporre divieti, bisognerebbe cercare di affrontare queste difficoltà e sviluppare i servizi sociali. Nel mondo antico l’esperienza della maternità si realizzava all’interno di una cerchia ampia di donne, con possibili vantaggi e conflitti. Anche oggi si possono creare intorno ai bimbi/e che nascono e crescono forme diverse di collaborazione di scambio. Le donne per essere veramente libere non dovrebbero mai essere costrette a dover scegliere tra figli e lavoro, ritardare troppo l’età di una gravidanza, subire discriminazioni, svantaggi professionali alla nascita di un bambino».
In copertina: antica scultura in rilievo romana di un’ostetrica che assiste una donna che partorisce. Via Wikimedia Commons.

Vittoria Longoni
Come si nasce. Miti e storie
Ledizioni, 2024
pp. 170
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Articolo di Danila Baldo

Laureata in filosofia teoretica e perfezionata in epistemologia, già docente di filosofia/scienze umane e consigliera di parità provinciale, tiene corsi di formazione, in particolare sui temi delle politiche di genere. Giornalista pubblicista, è vicepresidente dell’associazione Toponomastica femminile e caporedattrice della rivista online Vitamine vaganti.
