Il primo quarto è andato. Scommetto che chiunque di noi rammenti come l’ha cominciato, soprattutto perché l’inizio del Ventunesimo secolo ha coinciso con quello del Terzo millennio e, immagino, da tale svolta epocale si aspettava molto. Il venticinquesimo è un anno simbolico, giubilare, anche per chi non si riconosce nella Chiesa cattolica, e un bilancio pare ineludibile. (In realtà non è detto che farlo sia sempre sensato: spesso è un’operazione triste e deludente e, soprattutto, dà la misura del tempo che passa e, finita l’infanzia, del nostro invecchiamento. Il che sarebbe anche tollerabile se il bilancio segnasse un’evoluzione positiva, qualcosa come La Pace Nel Mondo o Il Benessere Globale, ma tali traguardi non sembrano proprio essere stati raggiunti. Anzi. E chiedo scusa per il pessimismo).
Forse è troppo presto per dare un giudizio su questo 2025 agli sgoccioli. Gli storici e le storiche hanno bisogno di osservare, ricostruire, raccontare e commentare da una certa distanza e con una documentazione sufficiente a garantire equità e completezza di giudizio, ma queste righe non pretendono di assurgere a un saggio storico: più che altro sono un coccodrillo, di quelli che le redazioni preparano per tempo, salvo apportare modifiche all’ultimo momento perché il personaggio defunto ha dato qualche colpo di coda finale.
Nel 2025 i colpi di coda non sono mancati.
Nell’anno che stiamo lasciando, come tutti gli anni, sono successe un sacco di cose. Per esempio, Deliveroo ha pagato ai rider, per la tratta Firenze-Pistoia (56 chilometri), 13 euro; Amnesty International ha denunciato 1518 condanne a morte nel mondo (ma mancano i dati di Cina, Vietnam e Corea del Nord); da gennaio a novembre si sono suicidate nelle carceri italiane 72 persone e altre 117 sono morte per overdose, malattie non curate, omicidi e altre cause non chiarite; a gennaio è caduto il seicentocinquantesimo anniversario della morte di Giovanni Boccaccio; sulle piste da sci del monte Bondone la neve è stata portata con quaranta viaggi di elicottero e l’emissione di una tonnellata e mezzo di anidride carbonica; la giudice Chiara Comune, del Tribunale di Torino, ha ordinato al Ministero degli Esteri e della Cooperazione italiana di sbloccare i visti di centinaia di studenti di università italiane provenienti dall’Iran che, nonostante l’iscrizione e la situazione a dir poco drammatica in cui versa quel Paese, non potevano di fatto venire a studiare qui; nei primi 10 mesi dell’anno in Italia sono morte sul lavoro 896 persone; fino a dicembre i femminicidi sono stati 81 e i tentati femminicidi 70; Nicola Carnicella, consigliere territoriale di Piangipane (Ravenna), ha dichiarato nei social che «la violenza sulle donne è sopravvalutata» e che sarebbe stato necessario organizzare per il 25 novembre «un corteo per umiliarle, in modo che le lamentele prendano un senso»; a Trento Emilio Giuliana, ex consigliere comunale di Fiamma Tricolore, durante la manifestazione del Comitato Remigrazione e Riconquista ha dichiarato che in Africa si pratica il cannibalismo: «Si mangiano ancora tra loro»; il 2025 è stato l’Anno internazionale della scienza e della tecnologia quantistica e quello europeo dell’educazione alla cittadinanza digitale; la biologa e immunologa Mary Elizabeth Brunkow ha vinto il Premio Nobel per la medicina 2025 e María Corina Machado Parisca quello per la pace, ma il Nobel di Machado è stato aspramente contestato perché la politica venezuelana è una nota guerrafondaia e Julian Assange ha denunciato la Fondazione Nobel per appropriazione indebita aggravata di fondi, facilitazione di crimini di guerra e contro l’umanità, finanziamento del crimine di aggressione; il panettone in confezione regalo in velluto della pasticceria milanese Marchesi costa fino a 875 euro; fra le vicende buone, quella che a Orzivecchi (Brescia) il gatto del parroco ha fatto scattare l’allarme della chiesa mettendo in fuga alcuni ladri di opere d’arte.
E poi le altre notizie, ma continuare a parlare di Trump, di Putin, di Zelensky, di Meloni, di Kim Jong-un, di Netanhyau, del ponte sullo Stretto di Messina, degli stupratori figli di personaggi celebri, e ancora di Trump, è francamente deprimente.
La sensazione generale, a dirla tutta, è che nel 2025 abbiamo perso quel po’ d’innocenza che ci restava. La retorica sui decenni di pace seguiti alla Seconda guerra mondiale, sugli impegni di disarmo e denuclearizzazione, sulla globalizzazione positiva ci avevano lasciato sperare in un futuro radioso di pace e prosperità che non è mai arrivato. A ben vedere quella retorica era fuorviante: solo nella “pacifica” Europa, per buona parte del secolo scorso, le dittature fasciste spagnola e portoghese sono state ben vive e vegete; dal 1964 al 1975 in Grecia si scatenò un’altra dittatura feroce; l’ultimo decennio del Ventesimo secolo vide le stragi nella ex Iugoslavia con la partecipazione, detta “di pace” ma non sempre pacifica, delle nostre forze armate; per non parlare dei vari colpi di Stato e dei regimi autoritari di altre parti del mondo. Ma, almeno nella buona vecchia Europa, tutto questo poteva sembrare il famoso colpo di coda, mentre, dall’abbattimento del muro di Berlino e dalla fine della Guerra fredda, era viva l’impressione che le barriere nazionali stessero crollando e che ci si stesse avvicinando al sogno di un pianeta privo di frontiere, così come lo descrivono gli astronauti e le astronaute dall’alto dei cieli.
Quasi sessant’anni fa i Gufi cantavano Non maledire, di Luigi Lunari e Lino Patruno, che non smetto di ricordare, di ascoltare e di ripetere. «Non maledire questo nostro tempo», diceva, «non invidiare chi nascerà domani, chi potrà vivere in un mondo felice senza sporcarsi l’anima e le mani». Ecco l’idea di progresso: domani sarà meglio di oggi, gli «anni oscuri senza libertà» sono finiti per sempre. Era una bellissima idea, peccato sia tramontata.
Mai come nell’anno che si chiude, la guerra, ripudiata dalla nostra Carta fondamentale, è apparsa vicina e, da più figure istituzionali e della comunicazione, addirittura auspicabile. Eventi scandalosi, come gli interventi dei militari nelle scuole per propagandare il verbo guerriero, sono giustificati in nome della formazione alla vita cosiddetta adulta, dell’appello al coraggio virile e all’orgoglio nazionale. E, come sempre, anche alla crescita economica, perché con le guerre alcuni fanno i soldi, ma quelli veri.
La pace perpetua, come ricordato da Immanuel Kant, «non è un’idea priva di senso, ma un compito che, risolto a poco a poco, si avvicina costantemente al suo fine, poiché i progressi dell’umanità seguono un moto che diviene, col tempo, sempre più veloce». Il problema è proprio la velocità, che contraddistingue non solo i «progressi» positivi ma anche l’evoluzione dei disastri. E mai come nel 2025 abbiamo assistito a un succedersi tanto rapido di eventi nefasti. Gran parte della stampa e dei personaggi politici non sembra mettere più in discussione l’eventualità, anzi la certezza, anzi la necessità, anzi la positività della guerra. Ormai poche figure continuano a insistere e a invocare il rispetto della nostra Costituzione, che sul ripudio della guerra è chiarissima — perché, come ha scritto Piero Calamandrei, è anche il «testamento di centomila morti» — e della Corte penale internazionale, ma si tratta di persone scomode e osteggiate, o talvolta ossequiate come il papa, le cui parole, però, vengono riportate dalla stampa edulcorate e ridotte dalla destra a meri slogan, come le famose — e irreperibili — «radici cristiane» dell’Europa.
La comunicazione malata dà assuefazione. Il rischio che corriamo — il verbo “correre” non è mai stato tanto opportuno — è di abituarci al vortice degli avvenimenti, al cambio di mentalità che ci viene imposto attraverso sottili e quasi impercettibili “slittamenti progressivi” della logica. Le parole d’ordine delle destre di governo, ripetute e ribattute senza sosta, hanno l’effetto di far smarrire il significato, come in un gioco della nostra infanzia. Per questo dobbiamo stare in guardia. Ricordare. Pensare ostinatamente. Manifestare.
Nel 2026 dobbiamo cantare come i Gufi: «Vogliamo un mondo senza patria in armi», «Vogliamo un mondo senza ingiusti sprechi», «Vogliamo un mondo fatto per la gente».
Come sembrano ingenui oggi questi versi! E come sono invece necessari!
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Articolo di Mauro Zennaro

Mauro Zennaro, grafico, è stato insegnante di Disegno e Storia dell’arte presso un liceo scientifico. Ha pubblicato numerosi articoli e saggi sulla grafica e sulla calligrafia. Appassionato di musica, suona l’armonica a bocca e qualcos’altro in una blues band.ciali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.
