Il genere Grottesco. Todo Modo di Elio Petri

Secondo il filosofo Bernard Stiegler il cinema è stata un’invenzione supplementare: ovvero fa parte di quelle innovazioni che pur scaturendo dal sistema capitalistico, assorbendone il linguaggio e le tecnologie, se ne affranca. Nello specifico, il cinema avendo fatto appello al desiderio ha disinnescato gli atteggiamenti automatici imposti dal sistema economico; tuttavia la sua forza dis-automatizzante cessa nel momento in cui il mercato finanziario si appropria della cinematografia trasformandola in una fabbrica di sogni. Nasce Hollywood: industria dell’intrattenimento in grado di orientare — attraverso un’intensa attività subliminale — opinioni, comportamenti, gusti, scelte. In questo determinismo tecnologico ed economico, il cinema e poi la Tv hanno calato nella società il conformismo del saper-vivere plasmato secondo gli standard consumistici. Le industrie dell’immaginario, come le chiama Price Flichy, hanno disciplinato sogni e desideri su scala globale, producendo ciò che Stiegler ha opportunamente definito come miseria simbolica: ogni àmbito umano, anche quello emozionale ed immaginativo, è stato colonizzato dall’automazione capitalista.

Eppure c’è chi ha avuto la capacità creativa di sottrarsi a una simile desertificazione simbolica. La maggioranza di questi fuoriclasse si concentra negli anni Settanta, periodo nel quale il clima sovversivo e antiautoritario consentiva una maggiore forza esplorativa dei codici estetici e della sperimentazione simbolica. I generi che sostanziano questa nuova presa di posizione dei cineasti sono l’horror e il grottesco. Quest’ultimo non ha una vera e propria struttura narrativa che lo distingua, ma è più che altro un registro estetico che impartisce alla rappresentazione della realtà una qualità freudiana di perturbante: laddove caratteristiche riconoscibili assumono tratti deformati e inquietanti, restituendo un mondo familiare e simultaneamente estraniato — si veda Wolfgang Kayser, Sur le grotesque. Dunque i film grotteschi sono dotati di un genere predominante che ne caratterizza l’intreccio, ad esempio: in Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975) di Pier Paolo Pasolini il grottesco soggiace al drammatico; in I viaggiatori della sera (1979), Ugo Tognazzi lo coniuga col fantascientifico; in La decima vittima (1965) di Elio Petri, fa da sfondo alla fantascienza. Si noti che molte serie distopiche distribuite dalle varie piattaforme streaming hanno numerosi espedienti narrativi in comune con La decima vittima.

Salò e le 120 giornate di Sodoma (1975), Pasolini; I viaggiatori della sera (1979), Ugo Tognazzi; La decima vittima (1965), Elio Petri

Ora, il grottesco non è un registro stilistico dettato da una mera esigenza estetica, ma — nella maggior parte dei casi — si rivela una presa di posizione politica. Così come Brecht promosse la tecnica dello straniamento, per cui recitazione e scenografia denunciavano al pubblico la messa in scena teatrale, allo stesso modo il grottesco, attraverso la raffigurazione alterata della realtà, impedisce che il pubblico possa immedesimarsi nella situazione. Ambedue le soluzioni, inibendo il processo di identificazione del pubblico coi personaggi, determinano quell’osservazione scettica che è condizione necessaria per un approccio critico. Dunque questo tipo di estetica stimola un’esperienza più intellettuale che non emotiva. Inoltre la deformazione e le tinte surreali dànno luogo a suggestioni, insinuazioni, evocazioni cosicché i contenuti ambigui possano eludere eventuali misure censorie.

Elio Petri è stato un regista politicamente impegnato che ha saputo servirsi magistralmente di un’espressività fuori dagli schemi. Il suo intento era smaccatamente politico: i suoi film erano concepiti come un risarcimento alla classe operaia per l’alienazione subìta nel tempo produttivo, quello del lavoro. Pertanto le sue non sono solo opere artistiche, ma divengono veri e propri elementi di lotta politica capaci di partecipare alla dialettica contro il potere. Todo Modo (1976) — trasposizione dell’omonimo romanzo di Leonardo Sciascia — è un film esemplare. A concorrere al suo successo vi è un cast d’eccezione: Gian Maria Volonté nella parte del “Presidente”, ovvero la caricatura di Aldo Moro; Marcello Mastroianni è il prelato che dirige il ritiro spirituale; Mariangela Melato è la devota moglie del Presidente; Ciccio Ingrassia è Voltrano, l’onorevole pentito; Renato Salvatori incarna una pedina del potere. Nello schema narrativo il Presidente è espressione del potere politico italiano di stampo democristiano, mentre Don Gaetano è il rappresentante del potere della Chiesa. I due protagonisti saldano le premesse della Democrazia-Cristiana come forza di Governo.

Elio Petri (1929-1982)

Ecco una stringata sinossi: mentre la popolazione fa i conti con una preoccupante situazione pandemica, importanti personalità italiane — espressioni della politica, della finanza e del giornalismo — partecipano a un ritiro spirituale presso un albergo sotterraneo chiamato Zafer. Gli esercizi spirituali di Ignazio di Loyola, a cui si sottopongono gli illustri intervenuti, sono guidati da Don Gaetano, prete carismatico e dai modi intransigenti.

Le fasi che articolano lo sviluppo narrativo sono intitolate: vigilia; prima giornata; meditazione sul peccato; il Santo rosario; seconda giornata; meditazione sull’inferno; meditazione sulla Croce; terza e ultima giornata. Durante le pratiche espiative avverrà una catena di omicidi a cui segue la numinosa interpretazione onomantica. Le vittime, infatti, sono scelte in base alle sigle delle società finanziarie che presiedono: ordinando le sigle secondo la cronologia di sangue risulta — beffardamente — il motto di Ignazio di Loyola: «Todo modo para buscar la voluntad divina [Ogni mezzo per cercare e trovare la volontà di Dio]».

Todo Modo si può leggere nell’estrema attualità in cui s’incastona l’intreccio, ovvero una denuncia alla crisi politica che erodeva i capisaldi ideologici: in quegli anni emerge la corruzione che avviluppa organicamente politica e finanza (si veda lo scandalo della Lockheed Corporation), la strategia della tensione scuote la Penisola con una sequenza di tragici attentati, l’imperversare delle Brigate Rosse. Sullo sfondo della Guerra Fredda, la politica italiana tenta il Compromesso storico. La locandina del film che pone al centro una statua femminile in pezzi allude proprio ai destini dell’Italia: frammentata e paralizzata da forze nazionali e transnazionali che la sovrastano senza alcuna pietà.

La pellicola, tuttavia, propone anche l’immutabile grammatica del Potere e ne demistifica le logiche. Il Potere non si arrocca in alto, ma in basso: agisce nell’oscurità e nell’isolamento; il bunker Zafer è asfittico, claustrofobico, ciò ne fa un luogo eccellente per ordire le trame e impedire qualsiasi atto sovversivo.
È il simbolo perfetto della piramide spezzata, in cui il vertice è discontinuo rispetto alla totalità. È un sistema che prospera grazie alla vanità e all’ambizione di chi lo incarna. Giace nel compromesso e nella corruzione. Ciò nondimeno la dedizione che richiede è totalizzante al punto che la volontà di quanti lo esercitano è sottomessa alle necessità del Potere.
Quando i partecipanti al ritiro hanno contezza della serie di omicidi, allarmati per la loro incolumità, tentano di abbandonare i sotterranei che li ospitano, ma una telefonata di chi è più in alto vieta loro di allontanarsi. Ciò dimostra che il Potere può essere esercitato, ma non controllato, perché è lui che controlla chi lo esercita.
Chiunque ricopra una posizione apicale è immune dai pericoli fintanto che coopera al disegno che esso comanda, qualsiasi personalità si opponga, per quanto appaia intoccabile, la si immola ai suoi sublimi altari con operazioni di dossieraggio e scandali a orologeria. Esso ha una propria consistenza metafisica e pratica che lo mantiene intatto. Nella dialettica del Leviatano non esistono padroni, ma solo una gerarchia di servi. Non è autoritario: esso sa subdolamente persuadere. Todo Modo fa del Potere un meta-personaggio che realizza sé stesso a scapito di quanti coinvolge.

L’immagine del crocifisso, ispirata al Corpus Hypercubus di Salvador Dalì, è posta a copertura dell’unica finestra visibile in tutta la struttura scenica; è una scenografia allegorica. La debole luce rosa è lo spirito umano, mentre la struttura cruciforme del tesseratto è il regno della materia da cui germinano i sette vizi capitali che allontanano l’essere umano dalla dimensione spirituale. La croce ipercubica connota un’ipermaterialità: chiunque ne sia schiavo offusca la sua condizione spirituale di cui la circolarità della finestra è la metafora (il cerchio infatti è la forma che denota l’ordine trascendente). Lo scenografo Dante Ferretti organizza e progetta gli spazi realizzando un’architettura del Potere composta da cunicoli, labirinti, spazi angusti: allegorie dell’ineludibilità dei suoi intrecci.

Mastroianni nel ruolo di Don Gaetano; Crucifixion – Corpus Hypercubus (1954) di Dalì
 

Benché Elio Petri si serva dell’industria dell’intrattenimento per dar voce alle sue idee, il tenore delle sue opere ne sfida il paradigma economico. Per dirla alla Stiegler, i suoi artefatti cinematografici hanno una forza disautomatizzante perché non implicano un consumo di tempo conforme allo svago, ma richiedono un investimento del pensiero. Il profetico finale del film ne sancirà la limitata circolazione, e non intendo qui anticiparlo. Incoraggio chi mi legge a vederlo perché se il testo del film dà risposte, il sottotesto invoca domande; è da quest’ultime che dobbiamo partire.

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Articolo di Sathya Cucco

Studiosa di filosofia e comunicazione, uso la conoscenza come compagna di vita.

Un commento

  1. Ottimo pezzo, al solito, anche se onestamente non conosco bene alcuni dei film citati… Scusa la sfrontatezza, ma non è che prima o poi ti occuperai di film noir anni 40/50, americani e non? In ogni caso ancora complimenti.

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