Rovigo celebra l’illustre concittadina Cristina Roccati

Ci voleva una donna per celebrare degnamente una donna, e non è certo un caso. A Rovigo, a Palazzo Roncale, è stata inaugurata il 6 dicembre una mostra che sarà visitabile fino al 21 aprile 2025 dedicata alla poeta e scienziata Cristina Roccati, “la donna che osò studiare fisica”. L’iniziativa, promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, è curata dalla professoressa Elena Canadelli, docente di Storia della scienza all’Università di Padova e presidente della Società italiana di storia della scienza. Lei stessa, in una intervista rilasciata a Elena Dusi (il Venerdì di Repubblica, 6-12-24), ha dichiarato che prima di questa occasione conosceva poco il personaggio, come del resto «altre donne dell’epoca, figure che restano in parte avvolte nell’ombra», pur avendo avuto ruoli tutt’altro che marginali nell’evoluzione culturale e sociale del Secolo dei Lumi.

Una sala della mostra, foto di Monica Panetto

A proposito di pregiudizi e stereotipi che vorrebbero escludere dalle attività e dagli studi tecnici e scientifici le donne, persistenti in buona parte anche nel XXI secolo, basterà citare cosa disse il vescovo di Padova Gregorio Barbarigo allorché si doveva conferire la laurea, nel 1678, a Elena Lucrezia Cornaro Piscopia: «È uno sproposito dottorar una donna, ci renderebbe ridicoli a tutto il mondo». Invece nello stesso anno in cui nasceva Cristina Roccati, il 24 ottobre 1732, un’altra donna geniale, Laura Bassi, otteneva, prima al mondo, la cattedra universitaria a Bologna. Un filo lega dunque queste figure da conoscere e apprezzare, di cui si è in passato occupata anche la nostra rivista, grazie a degli interessanti excursus curati da Florindo Di Monaco (Vv n.110 e 174).

Ma veniamo ora ai meriti indiscutibili di Cristina Roccati.

Una stampa con il ritratto della rodigina Cristina Roccati, 1751

Come spesso accade proprio in quest’ambito, alla base di tutto c’è la famiglia: nel caso di Cristina il padre Giovan Battista aperto e moderno, aristocratico e danaroso, la fa educare in casa da un precettore, dandole una formazione culturale ampia e varia. La ragazza, assai dotata e precoce, studia latino, greco, letteratura, arte; a soli 15 anni declama una sua poesia presso l’Accademia dei Concordi di Rovigo e ciò costituisce una sorta di “incoronazione”. A dire il vero allora più che di una città, si trattava di un paesotto di poco più di 5000 abitanti, con una economia tutt’altro che florida, ma di un certo rilievo intellettuale. Altro fatto eccezionale per l’epoca, il padre, anziché privilegiare l’erede maschio, la iscrive all’Università di Bologna dove va a vivere, da studente fuori sede come tante giovani di oggi, insieme alla zia Anna e al suo insegnante privato, don Pietro Bertaglia. Affronta studi di logica, filosofia, metafisica, astronomia, fisica, geometria, meteorologia, nonché di francese. Dal bel ritratto che le ha fatto di recente il pittore e incisore Matteo Massagrande, basandosi sulle descrizioni dei contemporanei, vediamo che era particolarmente graziosa, con morbidi capelli castani, profondi occhi neri, un dolce sorriso.

Matteo Massagrande, Ritratto di Cristina Roccati, 2024

Il 5 maggio 1751, con una solenne cerimonia, si laurea a pieni voti, a soli 19 anni, dopo aver sostenuto in modo magistrale le quattro dotte disquisizioni richieste allora, e si trasferisce a Padova per approfondire le conoscenze nelle discipline scientifiche, fra cui l’astronomia, ma affronta anche l’ebraico. Prosegue gli studi, decidendo di non sposarsi per dedicarsi interamente alle ricerche, e viene ammessa alle più rinomate accademie italiane, finché arriva un grave problema economico per la famiglia, così è costretta a rientrare a Rovigo, a occuparsi delle quattro figlie del fratello Alessandro, morto prematuramente, e a trovare un lavoro vero e proprio. In quella stessa Accademia dei Concordi dove aveva avuto i primi riconoscimenti insegna fisica e le teorie di Copernico, Galileo e Newton e viene di lì a poco nominata “principe”, altro evento senza precedenti per una donna; la cosa suscitò non poco scandalo e polemiche nel mondo accademico più tradizionale.
Cristina morì nella sua città il 16 marzo 1797, dopo aver lasciato, come pure la sorella Marianna, i propri beni alle nipoti orfane. È sepolta nella chiesa di San Francesco nella tomba di famiglia. Del suo importante operato e dei suoi studi rimangono agli atti 51 lezioni manoscritte, fra cui quelle sul sistema solare, sull’occhio e sulla vista esposte alla mostra in corso.


Carte sciolte
Lezione n.7

Da notare che i testi sono in italiano, mentre la lingua ufficiale della scienza è stata a lungo il latino, ed è un italiano semplice e chiaro, tanto da far pensare che forse alle sue lezioni potevano assistere, oltre agli accademici, anche privati cittadini. Di sua mano sono parecchie lettere, soprattutto del periodo bolognese, in cui frequentava i corsi di anatomia con i compagni (uomini, ovviamente), ma si annoiava agli incontri mondani, desiderosa di tornare agli amati studi. Per tutta la vita continuò a scrivere versi che declamava talvolta in pubblico, utilizzando ― come si usava in Arcadia ― il soprannome di Aganice Aretusiana, ma le sue parole non ci aiutano a conoscerne i sentimenti, la vita interiore, le aspirazioni, e magari le delusioni. Sottolinea nel suo articolo Elena Dusi che forse solo in un caso, secondo la curatrice Canadelli, Cristina apre il suo cuore davvero, quando scrive con tono di rimpianto per quanto è passato e non tornerà: «Forse ebbi un tempo/or non ho già più quello».

Alla mostra sono esposti molti dei suoi libri, venduti dopo la bancarotta paterna, e preziosi strumenti scientifici dell’epoca, fra cui curiosi apparecchi per simulare fulmini, pompe pneumatiche, la macchina per esperienze sulla forza centrifuga, l’apparecchio in legno per studiare gli urti elastici e anelastici, i prismi attribuiti a Newton di proprietà di Lorenzo Algarotti, prestati in buona parte dal museo Galileo di Firenze.

La sala 2, foto di Monica Panetto

Un’opportunità davvero unica per far luce, pur parziale, su una scienziata vissuta nel Secolo dei Lumi, a cui Rovigo ha dedicato sia un liceo che una via e l’Esa ha intitolato uno dei telescopi spaziali del progetto Plato per la ricerca di pianeti simili alla Terra. Da segnalare una pubblicazione per conoscere, come piace a noi, numerose figure femminili venete, attive nei campi più svariati e di particolare talento: Raccontami di lei. Ritratti di donne che da Padova hanno lasciato il segno, a cura della redazione di Il Bo Live.

Nell’occasione della mostra si è risvegliato l’interesse anche su altre donne di scienza che indicarono la strada a quante sono venute dopo di loro, a costo di sacrifici, incomprensioni, difficoltà di ogni genere. In un bell’articolo Virginia Ricci (Io Donna, 7-12-24) ne ricorda alcune che vale la pena approfondire.
In Germania, dove pure in un testo satirico del 1595 si sosteneva che le donne non fossero veri esseri umani, Dorothea Christiane Leporin Erxleben (1715-1762) fu la prima a laurearsi in medicina nel 1754, sostenuta da un padre medico e straordinariamente moderno per l’epoca.

Dorothea Christiane Erxleben

Quando a causa della guerra il fratello non poté iscriversi all’università, la ragazza scrisse direttamente al sovrano Federico II chiedendogli la facoltà di frequentare lei stessa i corsi. Il sovrano, anche lui lungimirante, accettò, ma questo creò un notevole subbuglio nel mondo accademico e comunque la laurea non poteva portare all’esercizio della professione medica.
Dorothea per il momento rinunciò e sposò il vedovo della sorella, con ben cinque figli. Ma lei si ingegnò lo stesso a praticare la medicina, finché riuscì, nonostante il gravoso carico familiare (nel frattempo aveva avuto quattro figli), a laurearsi in brevissimo tempo, facendosi poi apprezzare per la professionalità e l’esperienza. Molto interessante il titolo di una sua polemica pubblicazione, risalente al 1742: Analisi approfondita sulle cause che impediscono al sesso femminile di studiare, in cui punto per punto contestava le motivazioni addotte da docenti e intellettuali affinché l’università rimanesse preclusa alle donne. In un altro testo, pubblicato anonimo, spiegava invece perché amasse tanto la medicina. Dopo di lei passarono ben più di cento anni prima che le donne tedesche potessero avere accesso agli studi universitari, nel 1893.
Una bella figura fu pure Caroline Lucretia Herschel (1750-1848), nata ad Hannover, sorella dell’astronomo William, scopritore di Urano.

Caroline Herschel

Caroline fu la prima donna a scoprire una cometa: era il 1786. La ragazza fu educata dal padre, musicista, allo stesso modo dei cinque fratelli (anche qui un uomo di idee aperte) grazie alla musica, alla filosofia, all’astronomia, mentre la madre voleva per lei un mestiere semplice e pratico, quello della sarta. Fra l’altro la giovane non aveva un bell’aspetto, aveva il volto deturpato dal vaiolo, era estremamente bassa di statura a causa di febbri tifoidi giovanili, non si prospettava per lei la possibilità di un matrimonio. Per fortuna però il fratello, intuendo le sue potenzialità, la portò a Bath, in Gran Bretagna, dove lui era organista. Caroline divenne un’ottima soprano, mentre con William costruiva per passatempo telescopi e praticava l’astronomia.
Nel 1787 Giorgio III nominò il fratello “astronomo del re” e Caroline sua assistente, per cui era regolarmente pagata. Anche questo è un fatto eccezionale: fu infatti la prima donna a ricevere uno stipendio, vedendo riconosciuto il suo lavoro in ambito scientifico. Continuò a scoprire comete, arrivando a quota otto, e dedicò parte del suo tempo a un compito immane: la revisione di un testo astronomico inglese che vedeva il computo complessivo di circa 3000 stelle, a cui lei ne aggiunse altre 500. Non contenta, elaborò il catalogo di 2500 nebulose; a questo punto ricevette nel 1828 un onore senza pari: la medaglia d’oro della Royal Astronomical Society. Per trovare la seconda donna, Vera Rubin, dobbiamo aspettare fino al 1996!
Herschel, sette anni dopo, ne divenne membro onorario, insieme alla scozzese Mary Somerville (1780-1872); dal 1838 fu membro pure della Royal Irish Academy. Nel 1846 il re di Prussia, suo Paese di nascita, ne riconobbe gli straordinari meriti con la medaglia d’oro delle scienze. È bello sapere che un cratere lunare e un asteroide portano il suo nome, a perenne ricordo di questa geniale astronoma.

Il terzo personaggio citato nell’articolo è la francese Martine Bertereau (1600 circa-1642), che non rivolse al cielo la sua attenzione, ma alle viscere della terra. Appartenente a una famiglia dedita ad attività minerarie, si sposò con il barone di Beausoleil, appassionato di mineralogia come la futura moglie. Martine coltivò i suoi vasti studi e arrivò a padroneggiare sette lingue. Dopo secoli di disinteresse per la questione, insieme scoprirono giacimenti minerari in varie parti d’Europa e in Sudamerica, specie in Bolivia e Guyana. In un mondo dominato da superstizioni e paure ancestrali, accusati di praticare arti magiche, dovettero fuggire dalla Bretagna, dove vivevano. Martine scrisse allora un testo in forma poetica per chiedere al cardinale Richelieu il dovuto risarcimento per il loro imponente lavoro di ricerca a vantaggio del governo francese.

Sonetto dedicato a Richelieu

Invece del denaro, marito, moglie e figlia maggiore, con l’accusa di stregoneria, finirono in carcere, lui alla Bastiglia, loro a Vincennes dove la donna morì ancora molto giovane. Lasciamo il commento conclusivo alle sue illuminanti parole: «Ma che ne dici di quello che viene detto da altri su una donna che si impegna a scavare buche e perforare montagne: è troppo audace e supera le forze e l’industria di questo sesso, e forse, ci sono più parole vuote e vanità in tali promesse (vizi per i quali spesso si osservano le persone volubili) dell’aspetto della verità. Vorrei riferire questo miscredente, e tutti coloro che si armano di tali e altri argomenti simili, a storie profane, dove scopriranno che, in passato, lì sono state donne che non erano solo battagliere e abili nelle armi, ma anche più, esperte in arti e scienze speculative, professate tanto dai greci quanto dai romani». Come non essere pienamente d’accordo?

In copertina: una sala della mostra. Foto di Monica Panetto.

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Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.

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