Le donne della luna

«Tramontata è la luna / e le Pleiadi a mezzo della notte / anche giovinezza già dilegua, / e ora nel mio letto resto sola». Così scriveva Saffo tremila anni fa, rendendo immortale il nostro unico satellite. È d’altra parte quasi impossibile ricostruire, o anche solo immaginare la storia dell’umanità e della Terra nel suo complesso senza tener conto della Luna; quella Luna che ha catturato l’attenzione di persone innamorate o dedite alla ricerca scientifica fin dall’antichità, in ogni angolo del nostro mondo. Fino all’era dei veicoli spaziali, visitare la Luna rimaneva un sogno, che si poteva immaginare, ma non realizzare: Luciano di Samosata, ad esempio, vissuto nel II secolo d. C, pensò a un viaggio verso la Luna in una nave volante, spinta soltanto da venti impetuosi. Dopo di lui, Keplero, il vescovo inglese Francis Godwin, Giulio Verne. Di loro e delle caratteristiche della Luna parla un libro bellissimo, purtroppo in spagnolo, che ho scovato per caso: Las mujeres de la luna, edito da Next Door Publishers, ultima edizione del 2019.

Copertina e pagina interna libro Las mujeres de la luna

I suoi autori sono Daniel Roberto Altschuler e Fernando J. Ballesteros Roselló: il primo è docente di Fisica presso l’Università di Porto Rico, oltre a essere stato per dodici anni, fino al 2003, direttore dell’Osservatorio di Arecibo; il secondo è capo strumentazione dell’Osservatorio astronomico dell’Università di Valenza. Entrambi si sono dedicati e si dedicano tutt’ora alla divulgazione scientifica, in questo libro con una prospettiva molto particolare.

Cratere Hipatia, Wikimedia Commons

Perché il libro è incentrato sulla geografia lunare con un’ottica di genere, analizzando nello specifico i nomi dei crateri lunari: dalla loro ricerca emerge che dei 1594 crateri nominati, soltanto 31 sono dedicati alle donne. Certo, sono presenti crateri dedicati a Ipazia, Santa Caterina di Alessandria, Hildegard von Bingen, Henrietta Leavitt, Williamina Fleming, Marie Curie, per citare le più famose.
Ma perché il diritto ad avere “un cratere tutto per sé”, parafrasando la celebre frase di Virginia Woolf, non dovrebbe essere riconosciuto ad altre donne che hanno lasciato la propria impronta? Manca ad esempio Jocelyn Bell Burnell, la scienziata che fu ignorata nella assegnazione del Premio Nobel per la fisica del 1974, nonostante fosse lei ad aver scoperto le pulsar anni prima (vedere l’articolo Jocelyn Bell, troppo giovane e graziosa per il Nobel, apparso su Vitamine vaganti, numero 279). C’è un cratere in onore a Pierre Curie, uno che porta il nome di Marie Curie, anzi Marie Sklodowska, un altro Joliot, in onore di Frédéric Joliot-Curie, marito di Irène Joliot-Curie: i due vinsero il Premio Nobel per la Chimica nel 1935, ma a Irène non è stato dedicato nessun cratere sulla Luna; nel 1991, forse per rimediare parzialmente a tale ingiustizia, l’Unione astronomica internazionale (Uai) le intitolò un cratere su Venere.
Rimanendo nel tema dei crateri mal nominati, possiamo citare il caso di Saffo: nonostante in molti siti appaia come il nome di un cratere lunare, la stessa Uai, in comunicati ufficiali, ha dichiarato che quel cratere non è intitolato a Saffo, bensì a Johannes Stark, premio Nobel per la Fisica nel 1919; poco importa che Stark fosse nazista e che fu condannato a quattro anni di prigione al termine della Seconda guerra mondiale!
Inoltre, la distribuzione geografica dei nomi dei crateri evidenziano il predominio dell’Europa e degli Stati Uniti, in un’ottica occidentale ed eurocentrica: Stati Uniti, Germania, Gran Bretagna, Francia, Russia, Italia e Grecia coprono 1390 crateri; solo otto del Centro-Sud America, altrettanti otto della Spagna e appena due dell’Africa moderna.

La seconda e più corposa parte del libro è dedicata proprio alle donne della Luna, che formano un gruppo eclettico che non segue un criterio logico: ci sono vincitrici di Premi Nobel, scienziate più o meno famose, astronome o cosmonaute. La maggior parte delle donne a cui è dedicato un cratere è nata tra il 1723 e il 1896, e può richiamare l’attenzione il fatto che il 60% di loro non si sposò mai. Solo una è ancora viva ancora oggi, Valentina Vladímira Tereshkova.

Cratere Fleming, Wikimedia Commons

In tre casi, il nome del cratere si riferisce oltre che alla donna a un uomo: Williamina Paton Fleming, ad esempio, condivide il nome con Alexander Fleming, dottore e scopritore della penicillina e Premio Nobel, che non ha nessuna relazione con Willialmina, a parte il cognome.
Una tabella riporta anche l’anno dell’assegnazione del nome, il diametro del cratere, le sue coordinate e se si trova sulla faccia visibile della Luna. Ma, soprattutto, il libro ci regala storie di amore, dolore e coraggio, di trionfi inaspettati raggiunti solo grazie alla perseveranza, di tragedie provocate dalle circostanze e dai pregiudizi, storie dunque di donne spesso ignorate, o dimenticate. Le ho lette con curiosità, emozione e coinvolgimento: a titolo esemplificativo ne condivido due, quelle di Anne Sheepshanks e di Catherine Wolfe Bruce. Poco si sa della vita di Anne, nelle bibliografie associata a quella di suo fratello, Richard Sheepshanks, un astronomo britannico che dal 1829 fino alla sua morte fu segretario della Royal Astronomic Society, oltre che editore della sua rivista, Monthly Notices. Appartenenti a una famiglia facoltosa, vissero insieme per molti anni e nessuno dei due non si sposò mai. Alla morte di Richard, Anna fu l’unica ereditiera: decise quindi nel 1858 di donare una cospicua somma all’Università di Cambridge per promuovere la ricerca in astronomia, magnetismo terrestre e meteorologia. L’anno prima donò l’imponente collezione di libri e strumenti di Richard alla Royal Astronomic Society, di cui fu nominata membro onorario nel 1862. Anne condusse una vita molto ritirata fino alla sua morte, avvenuta nel 1876, a ottantasei anni. Purtroppo non ci sono molte informazioni sulle sue aspirazioni e sogni, ma possiamo immaginarla curiosa e interessata allo sviluppo della scienza astronomica, come dimostra la donazione di un telescopio all’Osservatorio di Cambridge.

Cratere Sheepshanks, Wikimedia Commons

Si può notare che nessun cratere è in onore del fratello, probabilmente le generose somme donate hanno permesso ad Anne di ottenere invece questo privilegio. Nel 1865 William R.Birt e John Lee, su commissione dell’British Association for the Advancement of Science, prepararono una mappa ad alta risoluzione della Luna, proponendo molti nomi per i crateri classificati: di quella proposta, solamente ottantacinque sono ancora utilizzati e uno di quelli è proprio Sheepshanks. Il suo cratere si colloca nella faccia visibile della Luna, molto vicino al polo lunare.

La vita di Catherine Wolfe Bruce presenta molti parallelismi con quella di Anne Sheepshanks, che compiva ventisei anni quando Catherine nasceva a New York, seconda figlia di un ricco fabbricante di strumentazione nel settore tipografico; quando il padre di Catherine morì, lasciò una grande fortuna ai propri figli. Catherine visse una vita riservata, movimentata soltanto da problemi di salute, sempre accompagnata dalla sorella minore, Matilda, divenuta la sua preziosa amministratrice. Con una grande fortuna in tasca e senza nessuna aspirazione imprenditoriale, Catherine scelse di viaggiare molto per conoscere l’arte e la letteratura; nel 1877 donò una cifra consistente, paragonabile a un milione di euro attuali, per costruire una succursale della Biblioteca Pubblica di New York in onore di suo padre, la George Bruce Branch Library. Nel 1889, lo stimato astronomo Simon Newcomb affermò che ormai in astronomia tutto era stato scoperto: Catherine ne rimase colpita e indignata, scegliendo di rispondergli con una lettera pubblica del 1890, in cui affermò invece che la ricerca scientifica era ancora agli inizi e che era necessario lavorare nel campo della fotografia, spettroscopia, chimica, elettricità… Per questo, a settantasette anni, sfidando le parole di Newcomb, decise di appoggiare ricerche astronomiche in Europa come negli Stati Uniti, comprando strumenti, pagando salari e permettendo la pubblicazione di ricerche. Era un modo per costringere Newcomb a rimangiarsi le sue parole. Quando lesse la lettera aperta del direttore dell’Osservatorio di Harward, Edward Pickering, in cui si chiedevano risorse economiche per un telescopio, Bruce non ebbe nessun dubbio: donò quanto serviva per l’acquisto della strumentazione. Il telescopio, completato nel 1893, nel 1896 venne trasportato nell’Osservatorio di Arequipa in Perù, per poter osservare il cielo dell’emisfero sud.
Le donazioni in astronomia di Catherine continuarono, raggiungendo una cifra esorbitante per l’epoca, più di cinque milioni di euro attuali; all’astronomo tedesco Max Wolf di Heildelberg donò il necessario per comprare un telescopio: lui con quello strumento scoprì nel 1891 un nuovo asteroide e lo chiamò proprio Brucia in onore della sua benefattrice. Nel 1897 Catherine donò invece circa tremila dollari all’Astronomical Society of the Pacific per creare la Catherine Wolfe Bruce Gold Medal, che divenne ben presto uno dei riconoscimenti astronomici di maggior prestigio al mondo; questa medaglia viene concessa annualmente ad astronome/i che si sono distinti per una traiettoria di impegno scientifico nella propria vita: per questo non può essere assegnata due volte alla stessa persona.
Curiosamente, il primo a vincere la Bruce Gold Medal fu Simon Newcomb, nel 1898; soltanto nel 1982 la medaglia fu concessa invece a una donna, E. Margaret Burbidge, astronoma e astrofisica statunitense. Al giorno d’oggi, appena quattro donne hanno vinto la medaglia, su centododici premi assegnati. Catherine morì a ottantaquattro anni nella sua residenza di New York: due anni prima, il selenografo Johann N. Krieger battezzava con il suo nome un cratere sulla Luna: a questa mecenate dell’astronomia viene così riconosciuta l’immortalità grazie a un piccolo cratere di sette km di diametro, situato nel punto più vicino alla Terra della superficie lunare.

Cratere Bruce, Wikimedia Commons

Una considerazione finale confortante: si stima che ci siano circa 300 mila crateri maggiori di 1 km di diametro nel lato visibile della Luna, di cui moltissimi ancora senza nome: c’è dunque la possibilità di rimediare alla ingiustizia nei confronti delle donne nella toponomastica lunare. Basta volerlo.

In copertina: One small step (Maunder Crater). Impronta di un cratere lunare riprodotta nella sabbia: il progetto è della studiosa Bettina Forget. © Bettina Forget.

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Articolo di Maria Teresa Messidoro

Classe 1954, insegnante di fisica, da quarant’anni vicina alla realtà latinoamericana, in particolare a El Salvador, e con un occhio di genere, è attualmente vicepresidente dell’Associazione Lisangà culture in movimento; è scrittrice per diletto ma con impegno e spirito solidario.

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