Il razzismo ambientale in Brasile, un problema comune

Il termine “razzismo ambientale”, coniato dall’attivista afroamericano Benjamin Franklin Chavis Jr., viene utilizzato per indicare ingiustizie sociali e ambientali che colpiscono etnie e popolazioni storicamente vulnerabili. La locuzione abbraccia gran parte della popolazione che non ha accesso alle condizioni minime di igiene e benessere, come acqua potabile, energia elettrica, gestione dei rifiuti, etc. Si parla di razzismo perché le persone che ne soffrono, pur essendo numerose, con nazionalità e lingue diverse, hanno parecchie cose in comune, tra cui il colore scuro della pelle e il basso reddito, due caratteristiche che molto spesso vanno di pari passo.
In Brasile, il razzismo ambientale riguarda soprattutto i popoli indigeni e afrodiscendenti. In un Paese di quasi 213 milioni di abitanti, secondo l’Ibge (Istituto brasiliano di geografia e statistica), nell’ultimo censimento del 2025, più del 9% vive in situazione di povertà estrema, con un reddito di R$ 665,00 al mese (meno di 110 euro). Il problema principale parte dalle condizioni abitative delle persone, che vivono in aree con quasi nessuna infrastruttura e con pochissimo accesso a spazi verdi.
La situazione diventa ancora più preoccupante se consideriamo l’impatto ambientale delle industrie petrolifere, presenti in varie regioni del Paese, e i disagi che causano nella vita quotidiana della gente, oltre a rappresentare un rischio per la salute pubblica. Le raffinerie costituiscono una delle attività umane di maggiore potenziale inquinante, sia per l’aria, mediante la combustione di gas tossici, sia per le acque, poiché molti rifiuti vengono gettati in mare durante le esplorazioni e le estrazioni navali e sottomarine. La Petrobras, azienda brasiliana di capitale misto (statale e privato), fondata nel 1953 durante il governo del presidente Getúlio Vargas, è la quarta azienda petrolifera più grande al mondo e in Brasile è presente l’ottavo parco di raffinazione del petrolio in classifica mondiale.
Per quanto riguarda le esplorazioni, le aree con il maggior numero di attività petrolifere si trovano a Campos e Santos, lungo la costa sud-est, e a nord-est nel Recôncavo Baiano, ma sono presenti anche in regioni come il Maranhão, dove si hanno le aree più estese della foresta amazzonica (34% del territorio).

A Madre de Deus, regione metropolitana di Salvador (Bahia), nel 2008 più di 180 famiglie sono state esposte alla contaminazione da derivati del petrolio, come il benzene, a causa di una fuoriuscita di sostanze tossiche da un vecchio serbatoio della Ccc (Companhia de Carbono Coloidais). Le conseguenze sono state sia abitative, poiché molte case sono rimaste danneggiate a causa dell’assestamento del suolo, sia sanitarie, a causa di un aumento significativo di residenti con problemi respiratori. Più recentemente, a soli due anni di distanza (2023), c’è stata un’altra perdita di petrolio,questa volta in una zona di mangrovie. In ambedue i casi, tutta la popolazione è stata messa a rischio, ma i più colpiti da questi problemi sono stati i pescatori (con il loro pescato) e chi si occupa della pulizia urbana. I sintomi delle intossicazioni sono i più vari possibili, tra cui malattie cutanee e respiratorie, come la dermatite e l’asma, e, in casi più gravi e di esposizioni prolungate, coloro che hanno avuto contatto con sostanze tossiche rischiano anche malattie croniche e mortali, come il cancro.
Tuttavia, la questione del razzismo ambientale non si ferma solo all’industria petrolifera, ma riguarda anche la questione generale della sanità pubblica. In Paesi tropicali come il Brasile, con l’arrivo della stagione delle piogge, la mancanza di una rete di drenaggio delle acque piovane causa allagamenti frequenti, nei quali la popolazione rischia, ancora una volta, di perdere non solo i propri beni, ma anche la salute e l’integrità fisica.
Tali allagamenti favoriscono poi la diffusione di malattie legate all’inquinamento delle acque, come leptospirosi, malaria, epatite A, schistosomiasi e altre infezioni trasmesse dall’acqua contaminata. L’acqua stagnante che rimane per giorni nelle strade diventa un terreno fertile per la proliferazione di insetti e parassiti. Oltre a ciò, gli allagamenti provocano un ulteriore problema, diventando un ostacolo quotidiano agli spostamenti per molte persone. I residenti in zone dove la sanità pubblica fatica ad arrivare sono costretti a camminare attraverso le acque per proseguire nelle loro attività giornaliere, quasi sempre senza alcuna protezione o mezzi di sicurezza, rischiando la vita ogni volta, nel tentativo di eseguire compiti che altrimenti sarebbero semplici e scontati (come fare le proprie commissioni o andare al lavoro o a scuola).

Secondo i dati dell’Istituto “Trata Brasil”, quasi 35 milioni di persone vivono in luoghi senza accesso all’acqua potabile, 100 milioni senza accesso alla raccolta delle acque reflue e solo il 49% delle acque reflue nel Paese vengono trattate.
Per quanto riguarda i rifiuti, dal 2010 la raccolta differenziata è diventata obbligatoria in tutto il territorio nazionale, ma purtroppo la sua attuazione non si applica in molte regioni del Brasile. Non soltanto i cittadini e le cittadine spesso non rispettano le normative, ma anche molte amministrazioni comunali, specialmente nei paesi più piccoli, non attrezzati per garantire un sistema di raccolta e smaltimento adeguato. Questi comuni, infatti, talvolta non dispongono delle risorse necessarie, né delle strutture organizzative per gestire correttamente la separazione dei rifiuti. Secondo i dati di Abrema — Associazione brasiliana di residui e ambiente — solo il 4% dei rifiuti viene riciclato, numero ben dieci volte inferiore se pensiamo all’Italia. Il risultato di ciò sono i cosiddetti lixões: la parola è un superlativo di lixo, che in portoghese significa “spazzatura”, “immondizia”, e indica spazi territoriali immensi in zone periferiche delle città, dove vengono gettati irregolarmente i rifiuti. Da ciò nasce la professione dei catadores de lixo, ovvero persone che cercano e recuperano materiali riciclabili per tentare di ricavarne qualche piccola somma di denaro per la propria sussistenza. Questa attività, però, comporta il rischio di contrarre malattie a causa del contatto con sostanze come il percolato, un liquido che si forma dalla decomposizione dei rifiuti organici, estremamente tossico e pericoloso sia per l’uomo sia per l’ambiente, soprattutto se pensiamo all’inquinamento delle falde acquifere che compromette l’acqua potabile di chi vive nelle vicinanze dei lixões.

Catadores Brasile – Fonte www.ecowords.com.br

Per risolvere il problema del razzismo ambientale bisogna partire dalle Istituzioni pubbliche, che devono essere in rapporto anche con le aziende private o miste, come la Petrobras, per regolamentare lo smaltimento delle sostanze tossiche da loro prodotte ed evitare una serie di inquinamenti e problemi di sanità pubblica, cercando di migliorare le condizioni di vita di chi ne soffre. In aggiunta a ciò, è necessario che l’intera popolazione nazionale e mondiale ne prenda coscienza e atto, giacché il razzismo ambientale riguarda tutte e tutti, compresi coloro che non lo vivono direttamente.

In copertina: allagamenti in Rio De Janeiro. Fonte www.radarsaudefavela.com.br.

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Articolo di Nicole Ferreira Tascillo

Sono italobrasiliana e vivo in Italia da settembre 2020. Studio Lingue e culture moderne presso l’Università degli Studi di Pavia e insegno italiano ai lusofoni da cinque anni.

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