Imma Monsó i Fornell è una nota scrittrice catalana nata nel 1959 a Lleida, insegnante di lingue, collaboratrice del quotidiano La Vanguardia e di vari periodici, autrice pluripremiata a partire dal primo romanzo del 1996. Per il suo recente La maestra e la Bestia, tradotto da Nancy De Benedetto (Feltrinelli, 2025), ha ottenuto il Premio Omnium e il Premio Joaquim Amat-Piniella per il miglior romanzo catalano.

In varie interviste racconta efficacemente i motivi che caratterizzano la vicenda e descrive la protagonista, Severina, la maestra che non ha frequentato la scuola da bambina e ha avuto due genitori importanti per la sua formazione. Nata nel 1942, ha vissuto in una casa isolata, in un luogo sperduto di fronte a una via provinciale in Catalogna, manifestando un amore assoluto per la lettura, di qualunque genere. Crescendo poi ha avuto altre due passioni: bere, ma in modo quasi comico perché dopo due bicchieri di vino arrivava il sonno, e fumare, circondata da una «persistente nebbiolina». Un dato rilevante è l’epoca: Severina cresce durante il regime franchista e Román e Simona, un padre «segnato da una misteriosa ferita» e «una madre visionaria», la tengono all’oscuro, parlano poco, sono oppositori politici costretti a esprimersi per enigmi. Quando ascolta la radio, Román la avvolge in un panno e ci infila sotto la testa, facendo sporgere la mano che tiene una sigaretta. Che si tratti di trasmissioni non proprio permesse dalla dittatura, appare evidente. Ma la figlia, pur molto intelligente, è ingenua, inconsapevole, disinformata; vorrebbe tendere all’invisibilità, metafora della condizione di un intero popolo lasciato nell’ignoranza. Ha un solo conoscente, Lopez, il meccanico vicino di casa con cui, fra tanti silenzi, fa un gioco: indovinare la marca delle rare auto di passaggio. Nel 1958 muore la mamma di tisi, nel 1961 il padre per un incidente, così, da orfana, si ritrova a studiare alle magistrali a Girona. Va come giovane insegnante a Dusa, sui Pirenei; in realtà, spiega la scrittrice, si è ispirata al paese d’origine paterno, Vilaller, nella regione dell’Alta Ribagorça (Ribagorza in castigliano), una zona poco nota e selvaggia.

«Questa storia ― afferma Monsó ― ha molto a che fare con le scoperte che ho fatto su mio padre, tra cui il fascicolo aperto dalla Corte marziale su di lui: mia madre non me ne aveva mai parlato» (Io donna, 15-2-25). I suoi appartenevano alla “generazione del silenzio” che «non parlava per il trauma della guerra, per la paura di quarant’anni di dittatura e per la disinformazione; nella stampa c’era solo occultamento o menzogna» (Il Venerdì, 31-1-25).
L’arrivo della maestrina, la più giovane che sia mai comparsa lassù fra i monti, è un avvenimento per la minuscola comunità, raccontato attraverso gli occhi stupiti e imbarazzati di Severina che si aspettava chissà quali meravigliose montagne innevate, case romantiche dai tetti spioventi, alberi maestosi. Il capitolo inquadra subito vari personaggi locali, fra cui spicca uno strano individuo, a suo modo affascinante, il “non sindaco” detto la Bestia. Da ora in poi i ricordi della ragazza, che ripensa agli strani colloqui fra i genitori, ai viaggi misteriosi del padre, alla propria esistenza solitaria, si alternano con il presente: l’indipendenza raggiunta, la modesta abitazione, la quotidianità nel paesino, dove insegna ma anche riceve lezioni di vita. Di particolare interesse sono, in questa parte della narrazione, i capitoli 10 e 12 per comprendere il clima politico e sociale del periodo storico, l’oscurantismo, il timore di delazioni, la connivenza fra esercito e chiesa cattolica, i rari momenti di libertà e di svago. Severina era stata alle prese con i metodi educativi materni, assai originali, che si scontravano con i testi scolastici obbligatori per superare ogni volta l’esame; Simona non condivideva nulla di quello che c’era scritto, ma la bambina doveva conoscerli. Le diceva allora di imparare a memoria, per poi ripetere a pappagallo alla commissione, e subito dimenticare tutte quelle assurdità: «All’interno della famiglia l’autorità è esercitata dal padre. Il padre comanda per delega divina, cercando il bene morale e materiale della moglie e dei figli». Meglio dedicarsi alla matematica e alla musica, «innocente come sono la lingua e la poesia», sosteneva. Dalla divertente e mutevole zia a Barcellona arrivavano per Severina sollecitazioni e novità, almeno ogni tanto, uniche occasioni per uscire dall’isolamento familiare.
Nei suoi sforzi immensamente faticosi di socializzare, Severina (ormai chiamata la “signorina”) predilige il rapporto con alcune persone anziane e con le due cordiali cugine Teresa e Justa; tenta pure di frequentare le colleghe maestre delle località vicine. Veramente gustoso il capitolo 17, scritto con una destrezza e una verve straordinarie, in cui le ragazze consultano l’Inventario degli scapoli da tenere in considerazione. Ma del resto Monsó è un’abilissima narratrice che utilizza la lingua con assoluta padronanza e uno stile vivace, brillante, coinvolgente, alternando i vari piani temporali.
Un ruolo crescente lo avrà la Bestia, uomo ultraquarantenne dalla doppia personalità: ubriacone e perdigiorno da un lato, assennato e persino gentile quando assume il vero nome di Simeó. «È la sua prima passione erotica ― afferma la scrittrice nell’intervista citata (Io donna) ― ed è quel tipo di persona a cui si perdonano i difetti perché li compensa con una grazia difficile da descrivere. Oggi sarebbe un personaggio politicamente scorretto, ma negli anni Sessanta era il mito erotico del paese, indulge all’alcol ma è pieno di saggezza e svela a Severina alcuni enigmi della sua infanzia». Il capitolo 21 costituisce la svolta e lo svelamento di tanti misteri, per cui la ragazza apre gli occhi sul passato che le risultava spesso oscuro. Ma Simeó, fonte di una attrazione sognata, immaginata, percepita con i sensi, deve rimanere tale, lasciando un bel ricordo alla maestra che se ne va per sempre da Dusa.
Il romanzo ha un epilogo: dopo 57 anni troviamo Severina anziana immersa nella vita che ha condotto a Barcellona, il suo lavoro interessante di linotipista, il compagno, la figlia medica, la nipote; un contrattempo la porta a ricordare quel lungo periodo, con le difficoltà e le gioie di ogni esistenza umana. Poi arriva il finale delicatissimo e senza retorica: a poco a poco cala «il buio, come quando il proprietario di un bar inizia a spegnere le luci una alla volta per mandare via gli ultimi clienti».
Romanzo di donne, per le donne, tratteggiato con finezza e frequente disincanto, non indulge al sentimentalismo e si mantiene su un piano narrativo piacevolmente scorrevole. Ricordiamole ancora queste donne: non solo la protagonista Severina, la maestra dal carattere complesso, che seguiamo per tutta la vita, ma anche l’affascinante figura della madre Simona, la nonna Elvira, maestra epurata dal regime, la simpatica zia Julia che si unisce a un torero, Adela che sfugge al destino designato per fare la contadina, le gentili signorine Teresa e Justa, la vivace figlia Virginia che vuol indagare sul passato del nonno. Se invece ci vogliamo soffermare sui personaggi maschili, rimangono nel nostro cuore Lopez e Román, anarchici generosi e un po’ ingenui, disposti a ogni rischio per la causa, il medico che cura con dedizione Simona, il simpatico marito di Severina, che la conquista perché è il solo giovanotto che non la guarda, e, per forza, la Bestia che ai nostri occhi di lettrici e lettori è soprattutto Simeó, rude all’apparenza, ma pieno di garbo nella sostanza.
Un romanzo molto bello, questo di Imma Monsó, che ci riporta agli anni della dittatura spagnola, di cui cominciano a scarseggiare testimonianze dirette, senza voler dare lezioni, scegliendo piuttosto la strada del ricordo, delle esperienze umane, dell’inserimento delle piccole storie quotidiane nella grande Storia, perché mai vinca l’oblio, non solo in Spagna.

Imma Monsó
La Maestra e la Bestia
Feltrinelli, Milano, 2025
pp. 352
In copertina: Vilaller sotto la neve.
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Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.
