È del 2022 la scoperta della stella più lontana mai osservata: il suo nome è Earendel (WHL0137-LS), che letteralmente vuol dire “Stella del mattino”. La sua distanza dalla terra è di 12,9 miliardi di anni luce. Quando la osserviamo, è come se vedessimo un filmato risalente alle primissime fasi della vita dell’Universo.
Oggi sappiamo che la nostra Via Lattea è solo una delle tante galassie esistenti e il sistema solare, lungi dal trovarsi al suo centro come per secoli si era creduto, ne occupa all’interno una posizione abbastanza periferica.
Fino alla fine dell’800, tuttavia, si discuteva ancora animatamente su questo tema, quasi come se la rivoluzione copernicana facesse fatica a compiersi: era molto diffusa la convinzione — di certo molto più rassicurante — che, se non la terra, almeno il Sole si trovasse al centro dell’Universo. A quel tempo non esisteva alcuna possibilità di misurare la distanza di un corpo celeste se questa superava il valore di alcune migliaia di anni luce, inferiore alle dimensioni della Via Lattea. L’unico metodo a disposizione a questo scopo era quello della parallasse, che si basava sul piccolo spostamento apparente della stella durante il moto della terra, qualcosa di simile a quello che avviene quando guardiamo un oggetto chiudendo alternativamente gli occhi e abbiamo l’impressione che questo si sposti. Ma tale spostamento è inversamente proporzionale alla distanza e dunque per gli oggetti più lontani non è apprezzabile ed essi apparivano immobili nel cielo: si trattava delle cosiddette “stelle fisse”, quelle che Aristotele aveva immaginato come incastonate nell’ottava sfera, la più esterna dell’Universo.
La possibilità di realizzare le misure che hanno chiarito la reale struttura dell’Universo la dobbiamo a un’astronoma statunitense, Henrietta Swan Leavitt, vissuta a cavallo fra il diciannovesimo e il ventesimo secolo. È grazie a lei che abbiamo compreso che la nostra è solo una dei miliardi di galassie esistenti in un Mondo spaventosamente più esteso di quanto si potesse immaginare.

Henrietta Swan Leavitt era nata a Lancaster, nel Massachusetts il 4 luglio 1867. Era figlia di George Roswell Leavitt, un pastore della chiesa congregazionalista, e di Henrietta Swan Kendrick, che si occupava della famiglia e dei figli. Lei era la prima di sette fratelli e sorelle e la sua era una famiglia borghese, non ricca, ma benestante, alla quale Henrietta rimase sempre molto legata. Quando era ancora bambina, tutta la numerosa famiglia, della quale facevano parte anche i nonni paterni e una zia, si trasferì a Cambridge, in una grande casa vicina alla chiesa in cui il padre esercitava il suo ministero. Henrietta, una giovane dal carattere timido e profondamente religiosa, cresceva in un ambiente sereno e rispettabile, nel quale la cultura e l’istruzione dei figli e delle figlie occupavano un posto di rilievo.
Quando, dopo qualche anno, la famiglia si spostò a Cleveland, nell’Ohio, Henrietta ebbe l’opportunità di frequentare l’Oberlin College, una scuola superiore fondata da due pastori presbiteriani, una delle prime ad ammettere anche le ragazze. Da qui si trasferì alla Society for the Collegiate Instruction of Women dell’Università di Harvard, che sarebbe poi diventata il Radcliffe College, dove conseguì la laurea triennale nel 1892.
Questo College femminile era stato fondato dal banchiere filantropo e progressista Arthur Gilman, allo scopo di offrire la possibilità di frequentare un’università prestigiosa alla propria figlia, che si era vista negare l’iscrizione ad Harvard in quanto donna. Gilman ideò un piano per far sì che un piccolo gruppo di fanciulle potesse frequentare le lezioni tenute appositamente per loro da alcuni professori di Harvard, quarantaquattro in tutto, da lui reclutati allo scopo. La sua speranza era che questa iniziativa spingesse la Corporation che governava l’Università ad ammettere le ragazze ai suoi corsi di laurea insieme ai ragazzi, ma questo non avvenne.
A tal proposito, il presidente della Corporation di Harvard Charles Eliot, nel suo discorso inaugurale dell’Anno Accademico del 1869 dichiarava:
«Il mondo non sa quasi nulla delle capacità del sesso femminile. Solo dopo generazioni di libertà civile e di uguaglianza sociale sarà possibile ottenere i dati necessari per un’adeguata discussione sulle tendenze, i gusti e le capacità naturali della donna… Non è compito dell’Università decidere su questo punto controverso».
Nel College fondato da Gillman, i corsi offerti alle studenti comprendevano il latino e il greco antico, arte e filosofia, ma anche geometria analitica e calcolo. Durante il suo quarto anno, Leavitt seguì anche un insegnamento di astronomia, in cui ottenne il massimo dei voti e probabilmente fu quella la molla che fece scattare la grande passione della sua vita. Nel 1893 fu ammessa al corso di laurea dell’Osservatorio astronomico di Harvard, dove però non riuscì a laurearsi per gravi problemi di salute.
Nel 1898 fu reclutata dal direttore di quell’osservatorio, Edward Charles Pickering, insieme a un gruppo di donne, il suo famoso harem di calcolatrici. Pickering aveva avviato un progetto gigantesco di catalogazione e censimento di tutte le stelle conosciute, utilizzando l’enorme materiale fotografico dell’osservatorio. Si trattava di analizzare col solo aiuto di un microscopio un numero smisurato di lastre fotografiche che attraverso lunghissime esposizioni avevano catturato le immagini di stelle anche 1000 volte meno luminose di quelle osservabili a occhio nudo. Per questo lavoro decise di reclutare una squadra formata da sole donne, che lui riteneva più adatte, perché maggiormente dotate di pazienza e attenzione, ma soprattutto perché il loro lavoro era molto meno costoso di quello degli uomini!

In realtà le donne che svolgevano questo lavoro occupavano il gradino più basso del personale dell’osservatorio. A loro non era permesso utilizzare il telescopio o le altre attrezzature presenti nel laboratorio. Dovevano limitarsi a osservare e catalogare, svolgendo un lavoro oscuro, ripetitivo e terribilmente faticoso, soprattutto per gli occhi. Per alcuni anni Henrietta lo svolse a titolo completamente gratuito, al punto da doversi far sostenere economicamente dai suoi genitori, ma in compenso questo le permise di mantenere il posto, nonostante un impegno saltuario. Oltre al lavoro all’Osservatorio, infatti, aveva la necessità di assistere l’anziana madre e la zia, ma soprattutto doveva fare i conti con la sua salute cagionevole: in seguito a un’infezione un po’ alla volta perse completamente l’udito, mentre cominciavano a manifestarsi i primi sintomi della grave malattia, un cancro allo stomaco, che l’avrebbe portata a una morte prematura a soli 53 anni. In più, questa relativa libertà le permise anche lunghe vacanze di studio in Europa.
Dopo qualche anno di lavoro da volontaria, ottenne una paga di appena 30 centesimi l’ora, il salario minimo dell’epoca. Del gruppo di calcolatrici di Pickering fecero parte alcune grandi astronome. Oltre a Henrietta Leavitt, ricordiamo Annie Jump Cannon, che ideò un metodo di catalogazione delle stelle in uso ancora oggi, e Williamina Fleming, che sarà la prima donna americana eletta alla Royal Astronomical Society.
Il compito di Henrietta era quello di identificare, catalogare e misurare la luminosità delle stelle variabili, ma lei non si limitò a svolgerlo in maniera ripetitiva e acritica. Mentre osservava un gruppo di particolari stelle variabili giganti, dette Cefeidi, si accorse che c’era un legame fra la luminosità massima della stella e il suo periodo di oscillazione: più la stella era luminosa, più lenta era la sua pulsazione. Studiando il grafico di questa relazione, riuscì a scrivere una legge che legava le due variabili, quella che noi oggi conosciamo come Legge di Leavitt, o “relazione periodo-luminosità”.

Quelle Cefeidi appartenevano tutte alla piccola nube di Magellano, che oggi sappiamo essere una galassia distante da noi quasi 200000 anni luce, e questo le permise di capire con certezza che si trovavano tutte alla stessa distanza dalla terra.
Nel 1912 fu pubblicata una nota firmata da Edward Pickering, intitolata Periods of 25 variable stars in the Small Magellanic Cloud. Nel documento, dopo il titolo, si leggeva che le misure erano state effettuate da Miss Leavitt. Si trattava di una scoperta davvero importante, perché sarebbe bastato trovare una misura di confronto per determinare con buona approssimazione la distanza di qualunque altra galassia, misurando il periodo di oscillazione delle sue Cefeidi. Questo avvenne l’anno successivo, quando Ejnar Hertzsprung determinò la distanza di alcune Cefeidi della Via Lattea, abbastanza vicine da poter utilizzare il classico metodo della parallasse. È per questo motivo che si dice che le Cefeidi sono state le prime “candele campione” per determinare le distanze extragalattiche. Con questo metodo nel 1924 il grande astronomo Edwin Hubble dimostrò che la nebulosa Andromeda era esterna alla nostra galassia, compiendo di fatto una nuova rivoluzione copernicana: non solo la Via Lattea è solo una delle innumerevoli galassie esistenti, ma non occupa affatto una posizione privilegiata al centro dell’Universo.
Ancora oggi sono le Cefeidi sono usate per misurare distanze fino a circa 60 milioni di anni luce, anche se disponiamo di nuovi metodi che ci permettono di spingerci a distanze ancora maggiori.
Oltre a questa importante scoperta, Henrietta individuò e catalogò ben 1777 stelle variabili, fra le quali T Pyxidis, una nova ricorrente nella costellazione Pyxis, con eruzioni osservate nel 1890, 1902, 1920, 1944, 1967 e 2011. Inoltre è sua la maternità di una scala standard per le magnitudini fotografiche delle stelle accettata nel 1913 dal Comitato Internazionale per le Magnitudini Fotografiche e nota come Harvard Standard.
Dopo la morte di Pickering, avvenuta nel 1919, a succedergli fu un giovane astronomo, Harlow Shapley, che aveva compreso l’importanza della scoperta di Leavitt e decise di porla a capo del Dipartimento di Fotometria dell’Harvard Observatory. Ma purtroppo ormai lei era in fin di vita e il nuovo direttore fece appena in tempo ad andare a conoscerla in ospedale. «Una delle poche cose giuste che abbia mai fatto è stato farle visita mentre si trovava sul letto di morte. I suoi amici mi hanno detto che il fatto che il direttore fosse andato a vederla aveva significato molto per lei», raccontava.
Henrietta morì il 12 dicembre 1921 e fu sepolta nella tomba di famiglia nel cimitero di Cambridge.
Nel 1925 all’Osservatorio arrivò una lettera indirizzata a lei da parte del matematico svedese Gösta Mittag-Leffler, che non era a conoscenza della sua morte. Questi, membro dell’Accademia delle Scienze di Svezia, era da sempre un grande fautore del riconoscimento dei meriti delle donne in campo scientifico: era stato lui a promuovere l’assegnazione del Nobel a Maria Curie e si era impegnato per far ottenere a Sofia Kovalevskaya un posto di professoressa ordinaria di matematica all’Università di Stoccolma.
Nella lettera scriveva: «Pregiatissima signorina Leavitt, ciò che il professor von Zeipel, amico e collega di Uppsala, mi ha raccontato a proposito della sua notevole scoperta di una legge empirica sulla relazione tra magnitudine e lunghezza del periodo delle variabili cefeidi della Piccola Nube di Magellano mi ha profondamente impressionato, tanto che sarei propenso a nominarla per premio Nobel per la fisica del 1926, sebbene debba confessare che le mie conoscenze in materia sono alquanto rudimentali».
Il direttore Shapley ricevette la lettera e rispose comunicando la scomparsa di Leavitt. Nella sua risposta fece anche un tentativo piuttosto sleale di attribuire a sé la sua scoperta, probabilmente nella speranza, che si dimostrò vana, di ottenere il Nobel al suo posto. Per quella timida, oscura lavoratrice a cui era stata negata la prestigiosa carriera accademica che avrebbe meritato, questo riconoscimento, che non può essere assegnato alla memoria, era arrivato quando era ormai troppo tardi.
L’asteroide 5383 Leavitt e il cratere Leavitt sulla Luna prendono il nome da lei per onorare gli uomini e le donne sordi che hanno lavorato come astronomi.
Uno dei telescopi ASAS-SN, situato nell’Osservatorio McDonald in Texas, è chiamato così in suo onore.
Per saperne di più:
- Massimo Capaccioli, Henrietta Swan Leavitt: la signora che trovò lo strumento per decifrare le nebulose bianche – Il Nuovo Saggiatore, Vol. 37, anno 2021, n. 3-4
- Henrietta Swan Leavitt, AIF: https://www.aif.it/fisico/biografia-henriette-swan-leavitt/
- http://cwp.library.ucla.edu/articles/leavitt/leavitt.note.html (il lavoro sulle Cefeidi)
- H. Mitchell. Henrietta Leavitt and the Cepheid Variables, The Physics Teacher, Mar. 1976, vol. 14, p. 162
- D. Sobel. Le stelle dimenticate – Storia delle scienziate che misurarono il cielo, Rizzoli, Milano 2017
In copertina: Annie Jump Cannon e Henrietta Swan Leavitt.
***
Articolo di Maria Grazia Vitale

Laureata in fisica, ha insegnato per oltre trent’anni nelle scuole superiori. Dal 2015 è dirigente scolastica. Dal 2008 è iscritta all’Associazione per l’Insegnamento della Fisica (AIF) e componente del gruppo di Storia della Fisica. Particolarmente interessata alla promozione della cultura scientifica, ritiene importanti le metodologie della didattica laboratoriale e del “problem solving” nell’insegnamento della fisica.
