«Per le sue opere caratterizzate da grande abilità di romanziera, sostenuta da una forza visionaria e da intensità poetica che danno vita a un aspetto essenziale della realtà nordamericana».
In occasione della cerimonia in cui le venne conferito il premio la scrittrice pronunciò un lungo discorso che pone in evidenza l’attenta riflessione sul linguaggio e sul potere che caratterizza la sua opera.
«Il linguaggio oppressivo fa qualcosa di più che rappresentare la violenza: è la violenza; fa qualcosa di più che rappresentare i limiti della conoscenza; limita la conoscenza. Se è il linguaggio che offusca lo stato o il falso linguaggio dei media stupidi; se è l’orgoglioso ma imbalsamato linguaggio dell’accademia o il comodo linguaggio della scienza; se è il linguaggio maligno della legge senza etica, o il linguaggio fatto apposta per discriminare le minoranze, nascondere il suo razzistico saccheggio nella sua sfrontatezza letteraria – esso deve essere rifiutato, modificato e palesato. È il linguaggio che beve sangue, che piega le vulnerabilità, che nasconde i suoi stivali fascisti sotto crinoline di rispettabilità e patriottismo e si muove in fretta e furia verso la linea inferiore e verso le menti inferiori. Linguaggio sessista, linguaggio razzista, linguaggio teistico – tutti sono linguaggi tipici della politica del dominio, e non possono, non permettono nuove conoscenze né incoraggiano il mutuo scambio di idee».

Chloe Anthony Wofford nasce a Lorain, città industriale dell’Ohio il 18 febbraio 1931. Di famiglia operaia, originaria del Sud, fin da bambina si dimostra sensibile alle narrazioni orali e alle tradizioni della cultura afroamericana. Compie gli studi superiori alla Howard University e alla Cornell University di Ithaca, dove si specializza in letteratura inglese con una tesi su William Faulkner e Virginia Woolf.
Tra il 1955 e il 1964 insegna alla Texas Southern University e alla Howard University. Nel 1958 sposa l’architetto giamaicano Harold Morrison, da cui ha due figli e dal quale divorzia nel 1964, pur mantenendone il cognome. Dal 1964 al 1983 lavora come redattrice presso l’editore Random House di New York e in questa veste segue la pubblicazione delle opere di numerosi autori afroamericani. Nel 1970 pubblica The Bluest Eye. Nel 1973 dà alle stampe Sula. Insegna all’Università di Yale e alla State University of New York di Albany.
Nel 1977 esce Song of Salomon, romanzo che viene scelto dal Book of the Month Club e diventa Libro del Mese e in seguito ottiene il National Book Critics Circle Award. Nel 1987 pubblica Beloved grazie al quale vince il Premio Pulitzer, lavora alll’Università di Berkeley e poi all’Università di Princeton, dove insegna Studi Afroamericani e scrittura creativa. Negli anni novanta pubblica il romanzo Jazz, cura e pubblica antologie di saggi e il nuovo romanzo Paradise. Dal duemila scrive libri per l’infanzia e fiabe con il figlio Slade Morrison e si interessa del ruolo della musica nella narrativa afroamericana. Nel 2012 dà alle stampe Home, il terzo romanzo di una trilogia che include Love e A Mercy, riceve dal presidente Obama la Presidential Medal of Freedom.
Il 5 agosto del 2019 muore all’età di 88 anni, presso il Montefiore Medical Center di New York.

Quando pubblica la sua opera prima, The Bluest Eye, Toni Morrison ha quarant’anni e, per sua stessa ammissione, ha scritto «un libro che mi sarebbe piaciuto leggere» nel quale cioè si coagulano alcuni dei grandi temi della questione nera: il difficile rapporto con il sistema imperante di valori dei bianchi, la povertà, la marginalità, l’umiliazione, il peso del pregiudizio razziale.
Pecola Breedlove, una bambina di colore nata da genitori miseri e litigiosi, che non sanno prendersi cura di lei, viene affidata a una coppia modesta ma affettuosa che la cresce assieme alle figlie, Frieda e Claudia.
Attraverso lo sguardo di Claudia possiamo osservare Pecola, irrisa, ignorata e fatta oggetto di violenza proprio da chi dovrebbe amarla, che prega ogni sera perché i suoi occhi diventino finalmente azzurri come quelli di Shirley Temple. Un mondo in cui non sembra esserci speranza di riscatto, in cui la svalutazione e la subalternità sono accettati anche da chi ne è vittima, viene raccontato con la forza di uno stile originale che insegue la fluidità del parlato.
In Song of Salomon il giovane Malcon Dead, che da sempre si porta dietro un soprannome imbarazzante, Milkman, è oppresso da un padre indifferente e manesco, capace di nascondere le proprie origini dietro il conquistato benessere economico, e da una madre fragile e ossessiva. Milkman si scopre lentamente grazie a Pilate, la sorella del padre, una delle grandi figure di donne tratteggiate da Morrison, madri e streghe, inizia il suo viaggio alla ricerca delle proprie radici e di un tesoro nascosto, al posto dell’oro troverà le tracce dei suoi avi e la storia meravigliosa di un uomo che sapeva volare.
Non ci sono bianchi in questo racconto ma solo neri che, finalmente liberi e agiati, guardano indietro per ritrovare la memoria e riconoscersi.

Beloved è il canto corale, intimo e doloroso, che sale dal popolo nero ridotto in schiavitù. È la storia di una vita di incredibile forza e insopportabile dolore, che ha attraversato ogni umiliazione, ogni affronto, ogni ingiustizia e ha saputo testimoniare la forma più terribile d’amore.
Sethe fugge dal Kentucky schiavista verso la libertà dell’Ohio con i figli ma, quando il padrone sembra in procinto di raggiungerla per riportarla indietro, si nasconde nella legnaia, decisa a eliminare i suoi stessi figli pur di sottrarli a un destino di schiavitù, e uccide Beloved, la piccola di due anni.
Sethe, finalmente libera, vive con Denver, la figlia partorita durante la fuga, ma è perseguitata dalla presenza della bambina uccisa che, un giorno, si materializza in una ragazza di cui nessuno sa nulla.
Il romanzo, in un vortice di piani temporali, grazie a uno stile che echeggia la voce afroamericana, l’alterità della cultura nera, mescolando realtà, magia e folklore, trascina chi legge nell’orizzonte, indicibile, di chi si è visto sottrarre ogni diritto e ogni dignità.
Costringe insomma a ricordare l’orrore che si vorrebbe dimenticare: alla fine, come sostiene Morrison, ciò che è veramente incredibile è che ci possa essere stata la schiavitù, non certo un romanzo su di un fantasma.
Jazz si svolge ad Harlem, luogo afroamericano per eccellenza.
Negli anni Venti del Novecento un uomo uccide la giovane amante, la moglie cerca di vendicarsi sfregiando la salma, ma poi poggia sul camino la foto della ragazza. Il romanzo racconta una storia di amori, di desideri, di silenzi e di musica, in cui ognuno dei personaggi offre la propria versione del dramma, con la propria voce e il proprio dolore, secondo una tecnica che imita la varietà dei ritmi e l’improvvisazione della musica jazz.
Qui le traduzioni in francese, inglese, spagnolo e ucraino.
***
Articolo di Tiziana Concina

Ho insegnato per molti anni italiano e storia negli istituti tecnici e italiano e latino nei licei, mi interesso di letteratura femminile italiana e straniera, in particolare mi sono occupata di Elsa Morante e Anna Maria Ortese. Attualmente rivesto la carica di vicesindaca e di assessora alla cultura in un comune in provincia di Rieti.

Un commento