Il cammino come cura. Emma Gatewood e l’Appalachian Trail

Il 4 giugno di cinquanta anni fa ci lasciava Emma Rowena Caldwell Gatewood, la prima donna ad aver percorso il sentiero degli Appalachi, noto come Appalachian Trail.

Emma Gatewood sull’Appalachian trail

Immaginiamo una signora di sessantasette anni, alta poco più di un metro e mezzo e con un ginocchio infermo. Immaginiamo una madre di undici figli e nonna di ventitré nipoti, ex moglie di un marito violento. Immaginiamo ora che un giorno questa donna legga un articolo sul National Geographic riguardante l’Appalachian Trail e ne rimanga così affascinata da non toglierselo più dalla testa.

Siamo nell’Ohio degli anni Cinquanta, in un contesto contadino e ordinario, che però ospita una storia che di ordinario non ha nulla. La storia di Emma Gatewood, o almeno la parte della sua storia che l’ha resa nota ai più, inizia quando decide di “andare a fare una camminata”. È così che saluta la famiglia, nel 1954, prima di tentare di percorrere il sentiero di cui aveva letto e che a lungo aveva sognato. Dopo questo primo tentativo, decide di tornare indietro senza concludere il percorso, dando appuntamento agli Appalachi all’anno successivo. Arrivata in cima al monte Katahdin, infatti, deve fronteggiare un’emergenza: si rompono i suoi occhiali da vista, indispensabili per la continuazione del viaggio; finisce anche le scorte alimentari, dal momento che era partita con un equipaggiamento davvero misero. Nel primo approccio alle montagne porta con sé soltanto un fagotto con acqua, cerotti, torcia, coltellino svizzero, carta e penna, würstel, noccioline e latte in polvere. Fortunatamente un cugino di Atalanta che l’aveva ospitata durante il trasferimento in Georgia conosce le intenzioni dell’avventuriera, e ciò permette l’invio dei soccorsi e il ritorno a casa. A una settimana da quel tentativo di abbracciare la libertà, si ritrova al punto di partenza, nella sua casetta nell’Ohio, immersa in una quotidianità stagnante. La condizione domestica di Emma, infatti, non è mai stata tranquilla e sicura, non ha mai vissuto in un ambiente protetto: sposa P. C. Gatewood, un repubblicano di buona famiglia, all’età di diciannove anni. Dopo i primi tempi, il matrimonio si trasforma in un incubo: il marito rivela il suo lato violento e lei deve portare avanti un’estenuante battaglia per ottenere il divorzio; finalmente, negli anni Quaranta, ci riesce. Le viene assegnata anche la custodia di figli e figlie, ma non riceverà mai il pagamento degli alimenti da parte dell’ex coniuge, nonostante l’imposizione del giudice.

Portando sempre con sé il tormento di questo vissuto, il 3 maggio 1955, un anno dopo il primo tentativo, Grandma Gatewood ― così era soprannominata ― parte nuovamente alla volta degli Appalachi. Prende un volo per Atlanta e arriva ai piedi del monte Oglethorpe, in Georgia, pronta per iniziare un cammino lungo 3.500 km. Si tratta infatti del sentiero più lungo d’America, concepito da una guardia forestale di nome Benton MacKaye nel 1921: la sua idea era quella di creare un tragitto che collegasse fattorie, campi, luoghi naturali, e li rendesse accessibili a coloro che vivevano nelle sempre più caotiche città. Il primo a percorrere il sentiero nella sua interezza fu Myron Avery, un uomo di legge che nel 1936 si lanciò in quest’impresa, seppur in modo discontinuo. Nella sua versione definitiva, ovvero come si presenta oggi, l’At si estende per 3.510 chilometri e collega il monte Springer, nella foresta nazionale di Chattahonchee-Oconee, in Georgia, al monte Katahdin nel parco statale Baxter, nel Maine. Attraversa così quattordici Stati e numerosi parchi nazionali, per un totale di duecentocinquanta rifugi e posti per campeggiare, oltre a godere dell’impegno di tutela di diversi comitati locali.

Mappa dell’Appalachian Trail. Fonte: Appalachian Trail Conservacy

Ma torniamo alla nostra esploratrice e al suo secondo viaggio tra i monti. Nonostante le difficoltà incontrate durante la prima esperienza, Nonna Gatewood parte di nuovo con un equipaggiamento scarno: una tenda da doccia come impermeabile, scarpe da tennis e poco altro. Tuttavia, ciò non le impedisce di portare a termine l’impresa: 146 giorni dopo la partenza arriva sul monte Katahdin. È l’ultima tappa. Con una media di trenta chilometri al giorno e con dieci chili in meno, Emma finisce il suo viaggio e realizza il suo sogno. Durante il percorso attira l’attenzione mediatica, perciò la sua storia diviene presto famosa e si diffonde ovunque. Non paga, e anzi forte del primo cammino, nel 1957 e nel 1964 ripete il percorso, attestandosi come unica escursionista ad aver calpestato quel sentiero più di una volta.

Ben Montgomery, La signora degli Appalachi. Grandma Gatewood in solitaria lungo il sentiero più famoso d’America, 2021.

Possiamo ripercorrere i passi di questa coraggiosa e determinata donna grazie a un libro dal titolo La signora degli Appalachi. Grandma Gatewood, in solitaria lungo il sentiero più famoso d’America di Ben Montgomery, edito in Italia da Terre di Mezzo. La ricostruzione della storia è stata possibile grazie al ritrovamento del diario di Emma e di alcune lettere scritte da lei e custodite dalla famiglia. Possiamo sentire la voce di una figlia, Lucy Gatewood, nel documentario Trail magic diretto da Peter Huston, che indaga la parte meno celebre della storia della donna, e si concentra sulla persona dietro la grande impresa. Tanto è stato detto e scritto su questa vicenda straordinaria, ma ciò che colpisce se si usa uno sguardo più empatico e se si osserva la triplice avventura con il cuore aperto, è la dimensione di cura. Emma Gatewood ha avuto cura di sé. Ha iniziato a camminare, un passo dopo l’altro, verso la liberazione e l’autodeterminazione. Dopo una vita di soprusi, violenze, ruoli preconfezionati e cucitile addosso, lei ha semplicemente deciso di iniziare a camminare. Nient’altro. Ha deciso di ritagliarsi il suo spazio, ma uno spazio lungo più di tremila chilometri, uno spazio che le permettesse finalmente di respirare a pieni polmoni. Ha trasformato il dolore in movimento, la paura in monito e compagna di viaggio, la rabbia in creatività. Non si tratta di un’esploratrice o un’escursionista, o almeno non solo, e non da principio: si tratta di una forza motrice e ispiratrice, di un invito a prendersi cura di sé e dei propri desideri, della propria libertà e dei propri limiti. È un invito a spingersi oltre, ad ascoltarsi, a provare e riprovare, a perdersi e tornare. A camminare più che ad arrivare.

Emma Gatewood. Fonte: Bettmann Archive/Getty Images

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Articolo di Emilia Guarneri

Dopo il Liceo classico, si laurea in Lettere presso l’Università degli Studi di Torino. In seguito si trasferisce a Roma per seguire il corso magistrale in Gestione e valorizzazione del territorio presso La Sapienza. Collabora con alcune associazioni tra le quali Libera e Treno della Memoria, appassionandosi ai temi della cittadinanza attiva, del femminismo e dell’educazione alla parità nelle scuole.

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