Margaret Collier. Una voce da riscoprire

La nostra casa sull’Adriatico è un romanzo particolare: narra la vicenda biografica di un’autrice inglese, Margarte Collier, che si ritrova a vivere nella campagna marchigiana di fine Ottocento.

Negli scorsi mesi è stata pubblicata, dalla casa editrice indipendente Giaconi di Recanati (Mc), una nuova edizione di questo romanzo, che vide la luce per la prima volta a Londra nel 1886 e che in Italia arrivò, tradotto, solo nel 1981 a cura de Il lavoro editoriale, con la preziosa prefazione di Joyce Lussu, nipote della scrittrice.
Ad oltre quaranta anni di distanza, in un’epoca storica critica, in cui c’è la necessità di evidenziare ancora una volta le conquiste femminili, riaffermare la propria libertà di essere e contrastare quell’inverno dello spirito di yourcenariana memoria, che sembra continuare ad avanzare, la decisione di ridare evidenza a un’opera come questa assume un significato molto profondo.

Copertina del libro “La nostra casa sull’adriatico”, 2021

Alla lettrice e al lettore attenti non sfuggiranno i contrasti intrinseci di questa brevissima introduzione di un’opera, che, d’impatto, sembrerebbe rievocare le atmosfere di romanzi come Camera con vista, ma che lascia intuire un costrutto di impostazione molto diversa. Di fatto, l’esperienza di Margaret Collier è ben lontana dalle suggestioni romantiche della giovane Lucy, frutto della penna di Edward Morgan Foster, figlia delle contraddizioni dell’Età edoardiana, che narra un’Italia fatta di arte e paesaggi da cartolina.
Innanzitutto Margaret Collier, autrice e protagonista del libro, è un personaggio reale e non un’invenzione letteraria. La sua concretezza è espressa nella narrazione autobiografica e non può prescindere dall’indagine sulla sua identità, ma soprattutto, quel che ha da dire, nel contesto dell’Italia post unitaria, descritta dal più profondo di una delle sue zone rurali meno note e più arretrate, mostra quanto quel contesto socio culturale abbia influenzato la mentalità dell’epoca, arrivando a travalicare le generazioni e allungando le sue propaggini fino ai nostri giorni.

Margaret Collier è stata principalmente la capostipite di tre generazioni di scrittrici, viaggiatrici e attiviste anglo italiane che si sono distinte per originalità di vita e di pensiero. I suoi scritti, quelli di sua figlia Giacinta e di sua nipote Joyce Lussu, rappresentano potenti testimonianze dei vari cambiamenti storici e culturali dell’Europa a cavallo tra XIX e XX secolo.
Margaret nacque a Londra nel 1846 da una famiglia progressista di intellettuali liberali, a capo della quale c’era suo padre Robert Porrett Collier, avvocato, poi divenuto alto magistrato, politico e primo barone di Monkswell (1817-1886). Margaret crebbe dunque in un contesto familiare colto e aperto, vicino agli ambienti dei darwiniani e dei whigs, simpatizzante dei movimenti risorgimentali italiani.
La giovane si innamorò di un giovane poeta di nome Hubert, che però morì di tisi. Questo episodio sconvolse Margaret a tal punto che cadde malata per il dolore e fu per distrarla che i genitori le proposero una vacanza in Italia, fresca di Unità.

A Roma miss Collier conobbe il tenente colonnello Arturo Galletti di Cadilhac, reduce della Terza guerra di indipendenza e della campagna nell’Agro romano condotta da Giuseppe Garibaldi, e il loro incontro fu un vero e proprio amore a prima vista. Anche Arturo Galletti di Cadilhac discendeva da una famiglia certamente non ordinaria. Suo padre Bartolomeo era stato uno degli eroi della Repubblica romana del 1849, nominato generale sul campo direttamente da Garibaldi in persona, partecipò successivamente anche alla spedizione dei Mille. La mamma, Anna di Cadilhac, donna bellissima, era discendente di una famiglia francese emigrata in Italia a fine ‘700 e anch’essa si distinse particolarmente nella difesa degli ideali patriottici, tanto che partecipò attivamente, insieme ad altre donne, alla raccolta di sovvenzioni per gli ospedali, gli asili d’infanzia, i soldati e durante il periodo della Repubblica romana si prodigò nell’assistenza ai feriti, come sottodirettrice del Comitato di soccorso dell’Ospedale dei pellegrini, composto da sole donne e organizzato dalla principessa Cristina Trivulzio di Belgiojoso, dove gestì le prime infermiere volontarie del mondo. Nella città eterna era nota come “la bella di Roma”, mentre Garibaldi amava chiamarla “l’angelo degli ospedali” e l’aveva insignita di una medaglia per meriti patriottici che ben poche donne potevano vantare.

L’unione tra Margaret e Arturo e il loro proposito di unirsi in matrimonio tuttavia non furono accolti in modo particolarmente entusiasta dalla famiglia della giovane inglese. Sulla considerazione di suo padre Bartolomeo Galletti, infatti, nonostante gli onori pubblici, c’era qualche ombra derivata dalla sua reputazione di amante del lusso e incallito corteggiatore e da alcune accuse piuttosto gravi da cui si scagionò presto, ma che continuarono sempre a pesare sulla sua figura, tanto che si vociferava fossero state queste situazioni disdicevoli ad averlo spinto verso l’impegno politico, allo scopo di risalire nell’opinione pubblica. Nel 1845 l’uomo fu arrestato per ordine del tribunale del Vicariato con l’accusa di violenza a due sorelle minorenni e rinchiuso in Castel Sant’Angelo, per poi essere rilasciato dopo meno di 3 mesi per mancanza di prove. In passato Bartolomeo era anche stato denunciato per avere eluso una promessa di matrimonio e dunque il popolino continuò a lungo a pensare che fosse stato rimesso in libertà solo grazie alla sua importante posizione sociale.
Sua moglie Anna poi, dopo gli anni dell’importante impegno alla causa patriottica, fu protagonista di uno scandalo piuttosto importante, poiché divenne l’amante del re Vittorio Emanuele II, e, sebbene la relazione fosse durata veramente pochissimo, da essa nacque nel 1864 una bambina di nome Aurora, che fu il motivo della definitiva separazione da suo marito.

Un’ulteriore perplessità della famiglia inglese riguardo all’unione dei due giovani riguardava poi anche il patrimonio dello sposo, che non era di certo fiorente perché suo padre Bartolomeo investì quasi tutto ciò che aveva, unitamente ai beni della moglie, per finanziare la difesa della Repubblica romana e il giovane Galletti si trovava quindi piuttosto sfornito, tanto da destare preoccupazione sulla sua capacità di garantire un adeguato benessere alla futura moglie. Ogni ostacolo fu però superato con la forza dell’amore e con l’intervento che la giovane richiese al suo lord padre come regalo di nozze, consistente in una somma di denaro da impiegare per l’acquisto di un appezzamento di terreno con annessa una casa, sufficiente a garantire alla coppia un’adeguata rendita e una dignitosa dimora di campagna.
Il matrimonio tra i due fu celebrato nel 1873, con una semplice cerimonia laica, essendo lei protestante e lui libero pensatore. La scelta della dimora ricadde sull’acquisto di una ex cappellanìa di circa 200 ettari, con annessa casa colonica, nel comune di Torre San Patrizio, non lontano dall’antica città di Fermo, nelle Marche. Lord Monkswell dunque consegnò al genero la somma necessaria alla felicità della figlia e il fatto che il denaro venne poi utilizzato in altri modi non venne rivelato che molti anni dopo, simulando una sfortunata quanto fatale perdita del portafogli che conteneva la somma, probabilmente usata per saldare dei precedenti debiti. L’immobile e i terreni vennero dunque presi in affitto all’insaputa di Margaret, che si credeva proprietaria a tutti gli effetti.

La narrazione de La nostra casa sull’Adriatico prende il via proprio a questo punto, nel momento in cui la giovane coppia si trasferì nelle Marche, pronta a iniziare la nuova vita comune in quel caratteristico e isolato angolo dell’Italia rurale ancora estraneo agli abituali percorsi turistici stranieri nel bel Paese. La storia copre un arco temporale che va dal 1873 al 1885. Margaret capì subito l’eccezionalità del suo punto di vista e decise di restituirlo nel contesto letterario inglese a lei contemporaneo rappresentando la sua inusuale esperienza di vita.
La sua scrittura dunque attinse a piene mani dalla sua esperienza di vita, andando a delineare un’analisi antropologica e una ricerca sugli aspetti storici e sociali del mondo con cui entrò in contatto, evidenziandone le differenze culturali col suo di provenienza e disegnando infine, in una prosa scorrevole non priva di ironia, un quadro piuttosto crudo e realistico, che non risparmiava né i rustici compaesani marchigiani, né la società inglese.

Lo scontro tra un’inglese di alto ceto, proveniente da un ambiente aperto e progressista, con lo statico e primordiale mondo contadino marchigiano di fine XIX secolo fu decisamente interessante. Davvero rivelatore ed estremamente crudo è il ritratto che l’autrice fa dell’educazione del ceto medio alto marchigiano, in particolare della parte femminile: bambini e bambine venivano mandati in campagna, a balia, per i primi quattro o cinque anni di vita, dopo di che, intorno agli otto-dieci anni, passavano in seminario gli uni e in convento le altre, dove le ragazze restavano fin verso i sedici anni, quando andavano incontro al matrimonio, unico obiettivo delle loro vite.
Nello svolgersi del diario di Margaret viene passata in rassegna una grande varietà di tematiche, che muovono dall’analisi dei vari personaggi, gente semplice, notabili, religiosi, balie e servette, vergari, nobili decaduti e medici, fino a una lucida analisi della politica locale. Agli occhi dell’inglese, la popolazione appariva divisa tra i due estremi dell’ultraclericalismo e del socialismo, ma gli estremi, come noto, finivano quasi sempre per incontrarsi, arrivando fino alla creazione di “alleanze innaturali”, tanto che alla fine gli unici legami realmente vincolanti sembravano essere quelli segreti.

Dopo i primi anni di matrimonio la relazione fra Margaret e Arturo cominciò a deteriorarsi, prendendo una deriva via via sempre più irrecuperabile. Le differenze di ambiente, di formazione ed educazione, superati i primi periodi di passionale innamoramento, vennero prepotentemente a galla, scavando un baratro profondo tra i due. Il comportamento del colonnello Galletti si fece sempre più prepotente e autoritario, tipico di un signorotto di paese e sempre più lontano dall’ideale di gentleman britannico che la moglie avrebbe voluto diventasse. Margaret si allontanò emotivamente sempre di più da lui e Galletti, dal canto suo, cominciò ben presto a sentirsi a disagio con quella moglie così controllata, perfetta e ineccepibile, cominciando a cercare altrove ciò di cui aveva bisogno.
Le sue avventure galanti erano note a tutti, moglie compresa, della quale non riusciva a capire l’offesa che questa situazione le arrecava: «Rita, tu sei mia moglie, la donna che amo e rispetto, perché te la prendi?» Le altre mogli italiane, infatti, riuscivano a far finta di non accorgersi delle scappatelle dei loro mariti, perché erano atteggiamenti tradizionalmente tollerati, che non minavano la loro posizione sociale e il loro ruolo di padrone di casa. Margaret però non tollerava il tradimento, atteggiamento totalmente avulso dalla sua mentalità.
L’atteggiamento di Arturo divenne di fatto sempre più aggressivo nei confronti della moglie, la quale più volte si allontanò da lui. In seguito a un episodio più grave degli altri, nel 1900 si decise a lasciare il marito definitivamente con un accordo formale, anche su spinta dei figli, ormai anch’essi in aperto contrasto col padre, e dei fratelli. Pare infatti che Arturo si fosse creato un’altra famiglia insieme a una delle sue domestiche, con cui strinse una relazione più stabile delle altre e che gli diede alcuni figli.

La situazione in verità era meno rara di quel che si potrebbe pensare e anche piuttosto comune tra le famiglie di ricchi possidenti terrieri e di aristocratici di un tempo, tuttavia per Margaret fu decisamente la goccia che fece traboccare il vaso. Dopo aver lasciato la casa di San Venanzo, per alcuni anni si spostò in diverse città italiane e quindi si trasferì definitivamente in Inghilterra, nel Devon, raggiungendo i suoi cugini. La separazione tuttavia la fece soffrire moltissimo, anche se fu sempre lucidamente consapevole delle difficoltà che si potevano presentare in un matrimonio fra persone molto diverse.

Proprio quella del matrimonio è una tematica ricorrente nelle opere della Collier, che sottolineò di frequente i dissidi che scaturiscono dal dilemma se sposare o meno una persona appartenente a un ambiente molto diverso da quello di provenienza. Nelle sue narrazioni, alla base del contrasto c’è sempre una tensione molto tormentata fra passione e ragione e raramente si trova un lieto fine per queste unioni difficili.

Margaret Collier morì nel 1928 in una clinica londinese, a causa di un cancro allo stomaco. Molta della sua produzione letteraria rimane ancora inedita, conservata presso i suoi eredi.

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Articolo di Silvia Alessandrini Calisti

Laureata in Lettere e Archivistica e Biblioteconomia, ha lavorato nel settore bibliotecario per poi passare a occuparsi di contenuti web, social media management e web marketing. Ha ottenuto il Golden Media Marche nel 2015 e il Premio Impresa Donna nel 2016. Collabora con l’Osservatorio di Genere. Nel 2016 ha pubblicato il saggio Sani e Liberila maternità nella tradizione marchigiana (sec. XVI-XX), e nel 2020 Marche stregate, viaggio nella stregoneria popolare marchigiana, entrambi con Giaconi Editore.

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