«Le storie sono benzine per motori bellici».
Lucio Caracciolo, La Pace è finita. Così ricomincia la storia in Europa.
«Nulla è più piacevole, nulla più pericoloso di una lunga pace. Il riposo delle armi induce oblio della guerra. C’è un tempo oltre il quale la memoria degli orrori evapora e niente può convincerti che possano tornare a turbare l’ordine delle cose. Varcata quella linea, dimentichi che nella storia umana la pace è sempre tregua. Intervallo fra due esplosioni di furia bellica. Nella psiche collettiva questa perdita di senso del pericolo scatta in genere alla terza generazione di non-guerra. Quando in famiglia i nipoti non dispongono più del rammentar del nonno, viva esperienza al fronte. Non c’è libro o video che possa trasmetterti quanto i tuoi avi avrebbero condiviso con te. Esperienza mediata lezione dimidiata. Figuriamoci se mediatizzata via social, armi di distruzione della memoria e dell’identità collettiva…»

Così si apre l’editoriale Storia all’Ucraina! di Lezioni Ucraine, il numero di giugno 2023 di Limes a firma del Direttore Lucio Caracciolo, che prosegue raccontando dell’intervista di otto ore rilasciata da Henry Kissinger, in occasione del suo centesimo compleanno, all’Economist, sullo stato del mondo e, come sempre, offre considerazioni e stimoli interessanti, in particolare sulle opposte narrazioni, russa e ucraina, della storia dell’Ucraina. In appendice all’editoriale è assolutamente da leggere Preistoria delle forze speciali Usa in Ucraina, di Giuseppe De Ruvo, una parte di un documento della Cia del 1957, nel quale si esplorava la possibilità di fomentare rivolte nazionalistiche nell’Ucraina sovietica, attraverso l’invio nella “terra di frontiera” di forze speciali che dovevano coordinarsi con i gruppi nazionalisti e separatisti locali, attivi soprattutto nelle regioni più russofobe (Resistance Factors and Special Forces Areas. Ukraine», Central Intelligence Agency, agosto 1957, Secret. Ampie parti del documento restano secretate). Di “Regime change” già si parlava allora, come recentemente ha dimostrato l’intervista al Ministro degli Esteri ucraino, a Otto e mezzo del 29 giugno scorso, in cui, come ricorda Barbara Spinelli su Il fatto quotidiano del 3 luglio 2023, Dmytro Kuleba ha sostenuto che «la resistenza ucraina mira in realtà a smembrare quello che Kiev chiama impero russo, l’ultimo restato anacronisticamente in piedi — secondo il ministro — dopo il crollo degli imperi austro-ungarico e ottomano».

Anche sulle diverse e opposte narrazioni storiche si gioca il conflitto russo-ucraino. L’accurato saggio di Simona Merlo, Gli usi ucraini della storia ovvero la Rus’ siamo noi, che ripercorre i rapporti tra russi e ucraini nel tempo, ne riferisce in modo articolato e diffuso. Con il crollo dell’Urss si è riscritta in parte la storia dell’Ucraina, come quella delle altre Repubbliche indipendenti; ciò al fine di costruire una identità nazionale che, insieme ad alcune «leggi memoriali» ha costruito una versione egemonica della storia, «funzionale alle classi dirigenti per guidare l’opinione pubblica e di conseguenza per motivare le proprie scelte politiche e geopolitiche». In Ucraina questo percorso è stato molto più difficile e a lungo si è parlato di una “memoria divisa”; la vicinanza alla Russia e alla sua storia lo ha reso, se, possibile, ancora più complesso. Sull’eredità della Rus’ Ucraina e Russia si sono scontrate. Merlo riporta i discorsi di Putin e Zelen’sky al riguardo. «Nel lungo articolo «Sull’unità storica di russi e ucraini» del 12 luglio 2021 Putin ha sostenuto la comune discendenza dall’antica Rus’ di russi, ucraini e bielorussi, uniti dalla stessa lingua e dalla stessa fede ortodossa. La caduta sotto il giogo tataro avrebbe distrutto tale unità, ma sarebbero stati i principi di Mosca a ripristinarla, con la «raccolta» delle terre storiche precedentemente appartenute alla Rus’. Per contro, il 28 luglio seguente Zelens’kyj, in occasione dell’anniversario del battesimo della Rus’, fornì una propria versione della storia: «Oggi celebriamo la Giornata della cristianizzazione della Rus’ di Kiev-Ucraina. Questo è il nome ufficiale e, soprattutto, storicamente giusto della festa, che sottolinea l’inseparabilità dei due Stati. Ci sono mille anni e un segno tra la Rus’ di Kiev e l’Ucraina. C’è un trattino tra di loro nel testo del relativo decreto del presidente dell’Ucraina. E non è solo un segno di punteggiatura. Questo è il segno che l’Ucraina è il successore di uno degli Stati più potenti dell’Europa medievale. Nella sua capitale, che è la capitale della moderna Ucraina, iniziò la storia del cristianesimo in Europa orientale, quando 1033 anni fa il gran principe Volodymyr di Kiev battezzò la Rus’ di Kiev. La Rus’ di Kiev-Ucraina. (…) La Rus’ di Kiev è la madre della nostra storia. Le ventiquattro regioni dell’Ucraina e la penisola di Crimea sono le sue figlie carnali. E sono giustamente le sue eredi. Cugini e parenti molto lontani non devono cercare di appropriarsi della sua eredità né tentare di dimostrare il proprio coinvolgimento in una storia di migliaia di anni e di migliaia di eventi, trovandosi a migliaia di chilometri di distanza dai luoghi in cui si sono svolti».
Un altro punto divisivo è l’interpretazione della Grande guerra patriottica. In Russia la memoria collettiva è tutta costruita sulla vittoria sovietica contro il nazismo. L’Ucraina ha gradualmente sostituito questa memoria con quella della guerra di liberazione nazionale contro il potere sovietico condotta nelle regioni occidentali dall’Esercito insurrezionale ucraino (Upa) di Stepan Bandera, emanazione dell’Organizzazione dei nazionalisti ucraini (Oun), il movimento filofascista e antisemita nato alla fine degli anni Venti. Tuttavia, una parte della popolazione, in maggior misura nelle regioni orientali e meridionali, si è rifiutata di condividere questa narrazione, restando orgogliosamente fedele alla memoria dell’Urss vincitrice della Grande Guerra patriottica. Dopo Jevromajdan, sono state emanate nel 2015 alcune leggi, tra cui quella del 9 aprile «Sulla condanna dei regimi totalitari comunista e nazional-socialista (nazista) in Ucraina e la proibizione dei loro simboli e propaganda», che ha avuto come obiettivo soprattutto le statue e i simboli di epoca sovietica, monumenti, dipinti e opere d’arte. Proprio perché la toponomastica è un rilevatore sociale, come ricorda la nostra Presidente Maria Pia Ercolini, furono «rinominate vie, città, istituzioni, spesso ribattezzate in onore di figure e luoghi della mitologia nazionale». Da quel momento fu messo al bando anche il Partito comunista ucraino, cui fu vietato di partecipare alle elezioni del 2019. Nel maggio 2015 Porošenko aveva fatto approvare leggi che riabilitavano Upa e Oun e che prevedevano l’arresto di chi provasse a criticare figure come quella di Stepan Bandera e la condanna penale di quegli studiosi che provassero a discostarsi dalla versione ufficiale della storia. Il regime ucraino dopo la cosiddetta «rivoluzione della dignità», alla cui riuscita britannici e americani avevano contribuito non poco, prevedeva leggi liberticide che difficilmente potevano qualificarla come Paese democratico.

È ancora in atto questa «rivoluzione toponomastica» in Ucraina, come ci ricorda nel suo Non è un Paese per Puškin, Camilla Gironi riportando la notizia dell’abbattimento della statua di Caterina la Grande a Odessa. «Eclatante è la crociata intrapresa contro lo scrittore e poeta ottocentesco russo Aleksandr Sergeevič Puškin. Sebbene non incarni dinamiche imperialiste, Puškin diventa vittima ideale in un contesto di guerra totale e di incondizionato rigetto di tutto ciò che è russo. Insieme al padre di Il cavaliere di bronzo anche Jurij Gagarin, Mikhail Lermontov, Vladimir Majakovskij e Maksim Gor’kij. Nomi che il Consiglio di esperti del ministero della Cultura e dell’informazione ha sancito dovranno scomparire dalla toponomastica per «ridurre l’influenza della narrazione russo-sovietica, rendere giustizia storica e ripristinare i toponimi ucraini originali». Tra i tanti contributi di questo saggio sull’Ucraina è da segnalare la conversazione di Fulvio Scaglione con Ivan Katchanovski, di nazionalità ucraina, docente all’Università di Ottawa. I risultati cui è pervenuto, dopo un lunghissimo periodo di ricerca durato anni in cui ha esaminato 1.200 ore di video ripresi durante la giornata che è stata definita della “rivoluzione della dignità”, studiato decine e decine di testimonianze sia per l’accusa sia per la difesa e analizzato tutti gli esami forensi sui feriti e sui morti e le rilevazioni scientifiche sul terreno, sono sorprendenti e scomodi, ma mettono in luce il ruolo delle destre ultranazionaliste, “poche ma influenti”, sia in quella cosiddetta rivoluzione, che, negli anni successivi, anche durante la Presidenza Zelen’sky. In appendice all’approfondimento di Scaglione merita una lettura accurata I maggiori partiti e movimenti dell’ultradestra ucraina, in cui apprendiamo le differenze tra Assemblea nazionale ucraina – Autodifesa nazionale ucraina (Una-Unso), Svoboda, Azov, Pravyj Sektor (Ps), Bratstvo (Fratellanza).

Occupiamoci infine della terza parte della rivista, Grandi manovre nella Guerra Grande. Un approfondimento di Giorgio Cuscito, Un improbabile paciere cinese, è dedicato alla posizione della Cina, che dal 2019 è diventata il principale partner commerciale dell’Ucraina, importando soprattutto mais, orzo, semi di girasole, ferro e armi. Sino a pochi mesi fa l’ex repubblica sovietica — ricorda il consigliere di Limes — era il terzo fornitore di dispositivi bellici acquistati da Pechino dopo Russia e Francia. Il quadro dei rapporti della Cina con Ucraina e Russia è ben descritto, anche negli aspetti critici del ruolo che Xi si è ritagliato come paciere nel mondo. Fabrizio Maronta analizza invece i contraccolpi della guerra sulla Germania, documentandoli accuratamente, contraccolpi dovuti soprattutto all’esborso, secondo solo agli Usa e alla Gran Bretagna, militare e a quello per aiuti umanitari. Ma pesa sulla Germania anche la forte immigrazione ucraina con la spesa che comporta per il bilancio tedesco. La distruzione di Nord Stream 1 e 2 ha danneggiato soprattutto la Germania. L’ambiguità della posizione dell’India è ben messa in evidenza da Lorenzo di Muro, mentre Pietro Schiavazzi dedica a Papa Francesco e alla sua posizione sulla guerra e non solo il suo pezzo dal titolo Cappellano di Putin o Cappellano del mondo, commentando la sua indovinata espressione di “guerra mondiale a pezzi”, la scelta del Cardinale Zuppi, «il più e meno «ecclesiastico» dei cardinali, Dna di curia e cv di strada. Esperto di periferie quanto introdotto nelle cancellerie. Negoziatore del processo di pace in Mozambico ed esponente di punta della diplomazia parallela di Sant’Egidio. Ma soprattutto capo della Conferenza episcopale italiana», per un’operazione di mediazione, purtroppo non riuscita. Di Bergoglio Schiavazzi riporta una parte dell’omelia pronunciata in occasione di Pentecoste: «Tante guerre, tanti conflitti. Sembra incredibile il male che l’uomo può compiere! Ma, in realtà, ad alimentare le nostre ostilità c’è lo spirito della divisione, il diavolo, il cui nome significa proprio “divisore”. Sì, a precedere ed eccedere il nostro male, la nostra disgregazione, c’è lo spirito maligno che seduce tutta la terra».

Lezioni ucraine è un volume particolarmente riuscito della rivista Limes, che ha il pregio di offrirci una cassetta degli attrezzi per capire, con gli strumenti della storia e della geografia, i più efficaci per la geopolitica, quanto sta accadendo in Ucraina, oltre «la rumorosa comunicazione mainstream, che si sofferma con abbondanza di dettagli sulle sofferenze delle popolazioni locali, poco rispettosamente trattate con le leggi dell’effettismo. Una tragedia epocale che — con le parole del Direttore Lucio Caracciolo — scade a sequenza di mille episodi di cronaca nerissima in ignoto altrove».
Le carte di Laura Canali che accompagnano la lettura di Limes sono sempre interessanti ed istruttive. La copertina di Lezioni ucraine viene ben descritta dall’autrice a questo link: https://www.youtube.com/watch?v=EYKzYjw3kk0, in cui si possono esaminare con lei anche altre carte contenute in questo numero della rivista. Particolarmente apprezzato il suo intervento sulla guerra, in cui afferma che le guerre finiranno solo quando i soldati si rifiuteranno di combattere.
Si segnala con piacere nel volume di giugno l’aumento delle firme femminili. Oltre alla cartografa ufficiale di Limes, che dà alla rivista un plus inarrivabile, vi hanno scritto Greta Cristini, Camilla Gironi, Simona Merlo, Orietta Moscatelli, Oxana Pachlowska, Agnese Rossi e la ex diplomatica svizzera Heidi Tagliavini.
In questo momento il pericolo di un’escalation nucleare è molto vicino. Per questo ho scelto di chiudere questa recensione con le parole di Gunther Anders, dall’esergo al suo Discorso sulle tre guerre mondiali, in particolare da Hiroshima è dappertutto, Una prefazione (1982), Si tratta, è vero, di parole scritte in piena Guerra fredda, quindi in tempi, come ci ricorda spesso Caracciolo, molto diversi dai nostri. A mio parere valgono ancora.
Dedicato:
a quegli uomini di Stato, industriali,
scienziati e pubblicisti
che sono intellettualmente troppo pigri
o moralmente troppo limitati
per immaginarsi le conseguenze
del proprio fare,
e che restano incapaci di capire
che con il loro incessante ricattare
e terrorizzare l’umanità
meritano per primi quel nome di terroristi
da loro giustamente maledetto.
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Articolo di Sara Marsico

Giornalista pubblicista, si definisce una escursionista con la e minuscola e una Camminatrice con la maiuscola. Docente per passione, da poco a riposo, scrive di donne, Costituzione, geopolitica e cammini.
