Françoise Barré-Sinoussi. Nobel per la Medicina 

Françoise Barré-Sinoussi, premio Nobel per la Fisiologia e la Medicina nel 2008 congiuntamente a Luc Montagnier per la scoperta del virus dell’immunodeficienza umana (Hiv), nasce a Parigi nel 1947. Da bambina, durante le vacanze in campagna, trascorre intere giornate all’aria aperta osservando la natura: «il più piccolo insetto poteva catturare la mia attenzione per ore», racconta. A scuola, i suoi voti nelle materie scientifiche sono alti e all’università sceglie la facoltà di Scienze. Con l’avvicinarsi della laurea, inizia a prendere in considerazione la carriera di ricercatrice. Per capire se questa potesse essere la sua strada, scrive a laboratori pubblici e privati, proponendosi come volontaria part-time; per molti mesi non riceve risposta finché non viene accettata all’Istituto Pasteur, nel gruppo guidato da Jean-Claude Chermann, che studiava le relazioni tra il cancro nei topi e i cosiddetti “retrovirus”. Si appassiona così tanto alla ricerca che spende tutto il suo tempo in laboratorio, facendo solo brevi apparizioni all’università per dare gli esami. E Chermann, dopo la laurea, le propone di svolgere presso l’Istituto Pasteur il Dottorato di ricerca, che completa rapidamente nel 1974. Dopo una breve esperienza di un anno negli Stati Uniti, torna all’Istituto Pasteur: sarà qui che svolgerà la ricerca che la porterà al Nobel e sarà qui che continuerà a lavorare fino alla pensione, assumendo, dal 1992, la direzione dell’Unità di Biologia dei Retrovirus. 

Françoise e il suo team in laboratorio

Una scoperta da Nobel – Nel 1982, Françoise Brun-Vézinet, virologo dell’ospedale Bichat di Parigi, si rivolse all’Istituto Pasteur per chiedere aiuto: una nuova malattia si stava diffondendo in tutto il mondo, diventando una vera e propria pandemia. Era stata denominata “Acquired Immune Deficiency Syndrome”: Aids. 

Già dalla fine degli anni Settanta, si stava registrando un numero crescente di morti tra giovani uomini omosessuali o tossicodipendenti da eroina a causa di diverse patologie: un tumore, il sarcoma di Kaposi, un’improvvisa e inspiegabile polmonite o infezioni che raramente portavano alla morte soggetti non immunodepressi. Nell’82 si erano registrati casi anche tra pazienti affetti da emofilia, una malattia ereditaria del sangue il cui trattamento richiede trasfusioni. Sempre nell’82 si ha anche la prima trasmissione da madre a feto.  

Le cartelle cliniche dei pazienti indicavano la drastica diminuzione di un particolare tipo di cellula del sangue, il linfocita CD4 (o T4), il “regista” del sistema immunitario: l’organismo non era più in grado di riconoscere e contrastare gli agenti patogeni esterni e il più banale raffreddore poteva essere letale. La causa della perdita dei linfociti non era chiara ma si ipotizzava fosse un retrovirus.  

Il direttore dell’Istituto Pasteur, Luc Montagnier, chiese a Françoise Barré-Sinoussi di occuparsi del caso. Così Barré-Sinoussi e il suo team coltivarono i linfociti CD4 estratti dai linfonodi dei pazienti nella fase iniziale della malattia e rilevarono l’attività di un enzima, detto “trascrittasi inversa”, segno diretto della replicazione del retrovirus. Nel giro di pochi mesi isolarono, amplificarono e sequenziarono quello che in seguito sarà chiamato il virus dell’immunodeficienza umana, Hiv, e lo identificarono come causa dell’Aids. Si compresero dunque il funzionamento del virus e l’interazione con i linfociti. Nella prima fase della malattia il virus Hiv era presente nei linfociti senza “esprimersi” e la/il paziente, sebbene positivo e in grado di infettare altri individui, risultava asintomatico. Nella seconda fase il virus iniziava a esprimersi, cioè a replicarsi, distruggendo i linfociti del/la paziente, che manifestava la sindrome da immunodeficienza acquisita, Aids, non riuscendo a contrastare le infezioni e arrivando alla morte. Si comprese che il virus veniva contratto quando il sangue in circolo entrava in contatto con sangue infetto, ad esempio per trasfusione o tramite lo scambio di siringhe o per via sessuale o trasmissione materno-fetale.  

Françoise e Montaigner che ricevono il premio Nobel

Questa scoperta portò rapidamente a sviluppare test diagnostici per rilevare la presenza del virus e alla produzione di farmaci antiretrovirali. La combinazione di prevenzione e trattamento ha poi sostanzialmente ridotto la diffusione della malattia e ha trasformato l’Aids da condanna a morte a malattia cronica gestibile.  

Attivismo – Dalla scoperta alla cura, però, il passaggio non poteva essere immediato. Nel maggio del 1983, non appena i risultati furono pubblicati sulla rivista Science, le persone malate terminali iniziarono a cercare l’aiuto di Françoise Barré-Sinoussi all’Istituto Pasteur o durante i suoi viaggi, chiedendo una cura. Ha dichiarato: «È stato davvero traumatico. Sapevo, come scienziata, che non avremmo avuto un trattamento a breve, perché sappiamo che la scienza ha bisogno di tempo per sviluppare farmaci. Vedere i pazienti morire e aspettarsi così tanto da noi è stato terribile». Françoise Barré-Sinoussi ha dedicato allora la sua carriera a fermare la diffusione dell’Aids .

La piena cognizione che sangue ed emoderivati trasmettessero l’Aids avvenne tra molti ritardi: l’opinione pubblica e le politiche sanitarie inizialmente sottovalutarono la malattia, associandola a comportamenti socialmente stigmatizzati, tanto che su alcuni quotidiani nazionali di diversi Paesi si leggevano espressioni come “cancro dei gay”. Françoise Barré-Sinoussi si è impegnata in prima persona per una corretta comunicazione dei rischi connessi alla malattia e per ottenere le adeguate misure di salute pubblica. Mentre le procedure di prevenzione e cura si stavano rendendo disponibili negli Stati Uniti e in Europa, i costi rendevano le terapie inaccessibili per i Paesi poveri e in particolare in Africa era in atto una vera e propria catastrofe sanitaria. 

La scienziata ha dichiarato: «La mia prima visita in un Paese africano risale al 1985, in occasione di un seminario dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) a Bangui (Repubblica Centrafricana). Questa visita è stata un’esperienza impressionante. Lo shock culturale e le condizioni terribili mi hanno turbato molto e hanno fatto nascere in me il desiderio e l’urgenza di collaborare con Paesi con risorse limitate». 

Françoise Barré-Sinoussi

Nel 1986 Françoise Barré-Sinoussi contribuì a organizzare la Conferenza internazionale sull’Aids a Parigi e due anni dopo, insieme ai suoi colleghi, ha formato la Società internazionale per l’Aids, che ha lanciato il progetto “Share” per una chiamata a una mobilitazione collettiva mondiale. L’attivismo non ha interrotto il suo lavoro scientifico e l’Unità di Regolazione delle Infezioni Retrovirali presso l’Istituto Pasteur, che ha diretto, è ancora oggi impegnata nella ricerca di un vaccino o di una cura funzionale. La Francia l’ha  fregiata della Legion d’Onore, a più riprese, nel 2006, nel 2009, fino alla nomina a Grand’ufficiale nel 2013. 

«Come tutti, ho dei momenti nella mia vita in cui sono pessimista. Mi chiedo se continuare… Poi vado a fare un viaggio in Africa o nel Sud-est asiatico e ho un piccolo incontro con persone affette da Hiv, e dimentico il mio umore. Dico: “Va bene, andiamo avanti. Continuiamo. Questa è la vita reale. Non pensare a te stessa”».

Qui le traduzioni in francese, inglese, spagnolo e ucraino.

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Articolo di Cinzia Belmonte

Laureata in matematica, dottore di ricerca in astronomia, docente di matematica e fisica, è co-fondatrice del Laboratorio FormaScienza, dove si occupa di ricerca nell’ambito della didattica e della comunicazione della scienza, progettando e sperimentando laboratori didattici e ambienti di comunicazione e dirigendo programmi di ricerca dell’associazione.

 

Irene Cannata

Docente di fisica nelle scuole superiori, i suoi interessi spaziano dalla comunicazione della scienza all’interculturalità. Ha curato il progetto Scienze, nome comune femminile plurale. Fa parte della redazione di formaScienza che ha curato la manifestazione Le vie della scienza nel municipio XI di Roma. È stata consulente scientifica per le biografie delle scienziate nel progetto ‘nDonnamo curato da Global Shapers.

 

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