In una prima parte di questo articolo abbiamo affrontato – con l’aiuto della passata cronaca e stralci degli scritti di Carla Lonzi per Rivolta Femminile – una riflessione su quali coincidenze vi siano tra la storica sopraffazione sessuale del maschile sul femminile e l’aspetto che essa assume all’incrociarsi di ulteriori assi di differenza, nel Sud del mondo. E che dire dei paesi considerati maggiormente sviluppati? Body shaming, gaslighting, femminicidi, stupri, molestie, catcalling, uso commerciale dei corpi femminili per vendere qualunque cosa, sono solo alcuni fra i dardi esplosi verso i corpi delle donne. Ci troviamo in un gioco di specchi deformanti in cui il femminile riflette mediaticamente corpi spogliati e succubi ai quali non viene chiesta alcuna reale opinione.
Ce ne dà un assaggio Lorella Zanardo in Il corpo delle donne, video documentario del 2009, dove racconta di non essersi aspettata, all’inizio della raccolta dei materiali di studio, che le immagini televisive fossero uno specchio così preciso per alcuni comportamenti, capendo infine che gli specchi servono a nascondere oltre che rivelare. Ci parla di visi ridotti a maschere dalla chirurgia estetica e di un’idea di donna contraffatta: la proposta, volgare e ossessiva, di “pezzi di carne”: bocche, cosce, seni… Cito dal montaggio del documentario: «“Belle e mute, sono così le donne che piacciono agli uomini” la donna proposta sembra assecondare i presunti desideri maschili sotto ogni aspetto, abdicando completamente alla possibilità di essere “l’altro”».
In Speculum, Irigaray ci dice che ogni teoria del soggetto è sempre riferita al maschile, accettando ciò la donna rinuncia al rapporto con l’immaginario e attraverso questa rinuncia viene prima oggettivata da lui e poi si rioggettiva a sua volta nel tentare di essere come il soggetto maschile. Oggetto di rappresentazione, discorso, desiderio: questo le si chiede di essere. Si evidenzia una sorta di rivalità fra “soggetto” e “oggetto” soprattutto per la spartizione dell’economia del discorso. L’uno è autonomo fintanto che l’altra aderisce silenziosa al suo volere. «Ma se l'”oggetto” si mettesse a parlare? Intendiamo anche: a “vedere”, ecc. A quale disgregazione del “soggetto” assisteremmo?»
«La sessualità femminile è rimasta il “continente nero” della psicoanalisi. Questa, infatti, non poteva che disconoscere l’altro, la donna che si espande oltre il quadro del suo campo teorico, in quanto la scienza del “soggetto” che vi si definisce non ha mai interrogato la propria dipendenza da imperativi logici maschili». Luce Irigaray, Speculum l’altra donna, Milano, Feltrinelli, 2017, a cura di Luisa Muraro (Speculum de l’autre femme, Paris, Les Èditions de Minuit, 1974).
Secondo l’inchiesta Cosa stanno imparando gli adolescenti dal porno online svolta dalla giornalista Maggie Jones per il New York Times Magazine nel 2018, per la gran parte dei liceali intervistati, la pornografia rappresenta la fonte principale di informazioni sul sesso. Il tema principale è la differenza tra sesso reale e sesso mostrato nella pornografia di grande distribuzione, consumata quotidianamente da milioni di persone nel mondo. Nella maggior parte dei casi i video mostrano due persone intente a portare a termine un’incombenza meccanica, performativa e segnata da “tappe” come un copione da seguire, non un atto fra adulti consenzienti che dialogano per trarre un piacere individuale, né tanto meno un clima di rispetto dell’altra/o, della sua sicurezza e dei suoi limiti. Il sesso che mostra questo tipo di pornografia è irreale. I corpi hanno aspetti lontanissimi dai fisici medi e le situazioni sono per lo più socialmente inaccettabili (molestie sul lavoro, incesti, sopraffazione di persone incontrate per strada, ecc). Inoltre le reazioni sono esagerate e non vi è mai l’utilizzo di alcun contraccettivo che possa tutelare da malattie veneree e gravidanze indesiderate. Il punto di vista è quasi solo maschile, violento, dominante, umiliante per le donne. Queste ultime non raggiungono quasi mai l’orgasmo e se lo fanno deve sempre dipendere da due imprescindibili condizioni: l’essere dominata e l’essere penetrata. La spropositata disponibilità di pornografia online 24/7, soprattutto nelle/nei giovanissimi, sta influenzando lo sviluppo della concezione di: mascolinità, femminilità, intimità e potere.
Mi viene spontaneo aggiungere una menzione relativa allo stealthing, ossia una delle più insidiose conseguenze che reputo riconducibili all’errata codifica di comportamenti visti nel porno. Si tratta di una pratica dilagante che consiste nel danneggiare – o addirittura togliere – il preservativo durante un rapporto sessuale, senza il consenso del/della partner. Benché questo rientri nella sfera della coercizione riproduttiva e rappresenti un illecito dignitario, esistono forum online dove le/gli utenti si incoraggiano a praticarlo. Si danno consigli su come evitare che, in particolare, la partner di sesso femminile se ne accorga, rivendicando l’atto come: «naturale diritto dell’uomo a spargere il suo seme». Un uomo, dunque, avrebbe il naturale diritto a fecondare una donna contro la sua volontà, ma una donna non avrebbe il naturale diritto a provare l’orgasmo.
Jones prosegue l’articolo per mezzo di numerose interviste a insegnanti, esperte ed esperti, ragazze e ragazzi. Dichiarazioni che nella loro totalità non fanno che mettere in luce quanto l’educazione sessuale – uno dei possibili salvagenti – sia scarsa, approssimativa, antiquata e spesso in mano a persone senza competenze o mistificata da preconcetti religiosi che la sostituiscono a un’improbabile professione d’astinenza. In molti paesi, peraltro, non è neppure obbligatoria per legge: l’Italia è tutt’ora uno di questi. Si afferma, inoltre, che il metodo più efficace per formare i giovani uomini a non replicare comportamenti scorretti sarebbe di far capire loro che non è quello il modo per essere un buon amante e non si può attribuire la colpa del dolore inferto a una partner al suo non essere abbastanza “abituata” o “rilassata”, accusa che le ragazze accettano credendo di mancare a un dovere. Fonte: Maggie Jones, What Teenagers Are Learning From Online Porn, New York Times Magazine, 7 febbraio 2018.
A questo proposito, Lonzi ci dice che nell’imposizione del modello sessuale maschile la donna acquisisce la rinuncia come caratteristica del suo sesso e godendo di un piacere in risposta a quello maschile perde la propria autonomia diventando complementare al maschio, sua ragione di esistenza. Essendo la cultura sessuale patriarcale procreativa, tale modello le impone un piacere vaginale. Contraccettivi, aborto, sterilizzazione, rivelano un’incongruenza del sistema, evidenziando che procreazione e piacere non coincidono e dunque non siamo in presenza di un modello “naturale”. È grazie al controllo demografico, anzi, che la donna ha avuto la possibilità – non ancora del tutto sfruttata – di entrare nel rapporto erotico come soggetto. La clitoride, organo di piacere indipendente dalla procreazione collegata al pene-egemone, perde così l’identificazione col ruolo secondario della sessualità femminile immatura e diventa il segno fisico mediante il quale la natura autorizza il piacere non procreativo. Una qualche complementarietà fra i sessi trova riscontro solo a fine procreativo, non sensoriale. Il patriarca è accentrante: rende la donna eroticamente succube e ostracizza qualunque forma di piacere non lo includa. L’orgasmo clitorideo è strettamente connesso all’autonomia psichica dallo stereotipo: «l’uomo prende, la donna si dà». Accade che la donna clitoridea, vessata dalle pressioni quotidiane, aspiri a diventare vaginale mediante un processo di neutralizzazione della sua creatività originaria e acquisendo culturalmente una dipendenza erotica e psichica dal maschio. Quest’ultimo opprime la donna vaginale – indaffarata a lusingarlo – e la manipola valendosi di una presunta scissione erotico-sentimentale secondo la quale lei non deve indagare la propria sessualità. Si include una citazione di Kinsey, dal Rapporto Kinsley redatto tra 1948 e 1953, rispettivamente analizzando Il comportamento sessuale dell’uomo e Il comportamento sessuale della donna, secondo cui moltissime donne traggono sufficiente soddisfacimento dall’aver reso possibile il piacere del maschio. In funzione di questo e dell’armonia familiare si contano numerosissimi matrimoni longevi durante i quali le mogli non hanno mai raggiunto l’orgasmo. La nefasta analogia fallica con la quale Freud ha interpretato la clitoride – prosegue Lonzi – ha ostacolato, ma non interrotto, l’identificazione dell’organo del piacere già scoperto in tenera età con blande forme di autoerotismo. Per la donna vaginale ne consegue una necessaria passività: erotizzata dai contenuti psichici maschili, che interpreta adeguandosi fiduciosa. Oggetto, dunque, non soggetto dell’erotismo, in quanto l’uomo è in grado di mantenere l’erezione pur sapendo che la donna non gode e manifestando così autorità utilitaristica a senso unico, certo non reciprocità. Se ne conclude che senza la liberazione da questo schema perfettamente ricaricabile sul binomio servo-padrone non esiste reale emancipazione, dunque, parità. Emancipazione che a sua volta non significa fare a meno dell’uomo, ma uscire da questo intrigo labirintico ad armi pari. Per farlo, la strada offerta dal femminismo, secondo Lonzi, è l’inizio della comunicazione unito all’abbandono dei ruoli: invece di percepirsi nel riflesso condizionato, avvertire la presenza erotica scambievole da e verso l’altro. Fonte: Carla Lonzi, La donna clitoridea e la donna vaginale, Milano, Rivolta Femminile, 1971.
Avvalendomi di un raffronto tra alcuni passaggi degli scritti di Carla Lonzi e Luce Irigaray, fra loro e con altri inerenti soprattutto cronaca e attualità, ho inteso esporre la tesi secondo la quale il piacere fisico femminile, al pari di un immenso labirinto, sia ancora oggi considerato da molti come qualcosa di complicato, sconosciuto e temuto al punto da usare mille artifici per renderlo secondario se non superfluo. Di contro, lo “specchio sociale”, ci restituisce un’immagine deformata come quella delle stanze di specchi nei Luna Park: tanto temuto è il sentire interno e misterioso delle donne, quanto irrinunciabile risulta manipolare la loro estetica a misura del desiderio maschile, dovendo rispondere a precisi canoni fisici e codici sessuali volti a compiacerlo. Ecco il violento paradosso: le donne devono essere desiderabili senza desiderare. Per effetto di entrambi questi aspetti in combinazione, noi donne, rese oggetto, abbiamo la responsabilità di batterci affinché vinca la necessaria determinazione individuale come soggetti del nostro piacere, oltre che – globalmente – delle nostre vite.
***
Articolo di Roberta Russo

Attrice, modella d’arte e scrittrice di origine calabro-campana. Dopo un’esperienza di vita in Lettonia, attualmente abita tra Roma e Firenze. Terminata la formazione attoriale ha intrapreso un percorso universitario in Discipline, arti e scienze dello spettacolo presso l’Università “La Sapienza” di Roma e pubblicato il suo primo libro Io sono onda di mare nel 2023.

Un commento