Economia di guerra nell’area dell’Asia Pacifico. Parte Prima

Continuiamo il nostro approfondimento dei saggi dell’associazione Giga curati dal professor Andrea Vento sull’economia di guerra, questa volta occupandoci di una zona spesso trascurata dai media generalisti, tutti concentrati sulla cronaca quotidiana oggi del conflitto israelo-palestinese e fino a pochi mesi fa di quello “russo-americano” via Ucraina.

Tutto un altro mondo. Fonte Limes, La Cina resta un giallo

Nella quasi totale inconsapevolezza delle opinioni pubbliche italiana ed europea, lo scacchiere Asia-Pacifico, che comprende Oceania e Asia escludendo il Medio Oriente, è attraversato da tensioni geopolitiche e conflitti. Da dieci anni a questa parte questa è la seconda macroregione terrestre a impiegare per le spese militari cifre elevatissime, nel 2022 ben 575 miliardi di dollari. Prima dell’Asia-Pacifico in questa graduatoria troviamo solo il Nord America con 904 miliardi, per il 98% spesi dagli Usa. Questa corsa al riarmo, dovuta alle recenti tensioni geopolitiche, è riportata dal Sipri (https://www.sipri.org/) nella tabella sottostante che evidenzia il più grande aumento delle spese militari nel decennio 2013-22 fra le macroregioni terrestri, ben il 48%; l’Europa, l’altro principale teatro di scontro degli Usa, per mantenere il proprio ruolo di potenza egemone, occupa significativamente il secondo posto con il 38%. I contributi che oggi approfondiamo sono la VI e l’VII parte del saggio Economia di guerra. Speriamo in questo modo di contribuire a quella Public Geography di cui abbiamo parlato nel n.244 di vitaminevaganti secondo cui «la geografia italiana vuole considerarsi come disciplina aperta, orientata all’utilità sociale, chiamata ad accogliere, condividere e offrire conoscenza, costruendo una più efficace interazione e comunicazione scientifica con il territorio e la società civile». Non mancando di sottolineare, ogni volta che ci costringiamo a occuparci di preparazione alla guerra, la sensazione di estraneità che come donne proviamo di fronte a queste dinamiche tutte maschili.

Come sa chi legge Limes, nella macroregione che gli Usa chiamano Indo-Pacifico sono ben individuabili due zone di influenza contrapposte: quella statunitense e quella cinese.

Gli Stati Uniti alla prova dello scacchiere Asia Pacifico, autore Bellotto

Gli Stati Uniti godono di una indiscussa superiorità marittima, dovuta a due linee fortificate, dette “catene di isole”. La prima, dopo aver attraversato l’arcipelago giapponese passando per l’avamposto militare di Okinawa, scorre sul confine tra le due Coree, sfiora Taiwan da levante e ingloba Indonesia, Malesia e Vietnam delimitando entrambi i mari prospicienti le coste cinese; la seconda parte dal Giappone, raggiunge l’isola di Guam, piena di basi navali e aree Usa, e si ferma all’estremità nord-occidentale della Nuova Guinea, in Indonesia. La Cina, ben consapevole della superiorità marittima statunitense, con l’acuirsi delle tensioni geopolitiche, avverte gli Usa come un pericolo, sia militare che per la sicurezza della navigazione mercantile nel mar Cinese Meridionale. Infatti lo stretto di Malacca, fondamentale per i commerci cinesi verso Occidente, è controllato da Washington attraverso una base navale a Singapore e, in caso di conflitto, potrebbe essere bloccato dagli Stati Uniti e impedire i commerci e la navigazione cinese. Da qui l’urgenza, da parte della superpotenza che si candida a diventare più forte della potenza egemone, di controllare i due mari vicini alle sue coste.

L’escalation delle spese militari

Il Governo cinese si è quindi mosso pattugliando con navi e aerei il Mar Cinese Meridionale e competendo con Filippine, Vietnam e altri alleati Usa anche per le risorse ittiche ed energetiche. Dal canto loro esponenti politici statunitensi hanno effettuato visite a Taiwan, riempito di armi Taipei, stretto alleanze e realizzato progetti, intendendo riarmare l’ex Isola di Formosa trasformandola in un caposaldo fortificato come Okinawa, mentre Xi-Jinping ha da tempo dichiarato che entro il 2049 Taiwan dovrà diventare una provincia cinese. A conferma di quanto quest’area sia importante per Pechino, il saggio di geopolitica dei Giga ricorda che il Governo ha varato una dottrina apposita, denominata Anti-access/area-denial (Ad/a2) «che teorizza l’interdizione delle forze avversarie dall’area compresa tra le proprie coste e la parte centro-meridionale della “prima catena di isole”, dove sono localizzate numerose basi statunitensi».(https://en.wikipedia.org/wiki/Anti-access/area_denial#:~:text=Anti%2DAccess%2FArea%20Denial%20(,from%20entering%20an%20operational%20area).
Nel frattempo l’Indo-Pacifico è diventato il teatro di esercitazioni contrapposte ed esibizioni muscolari (Cinesi, Russo-cinesi da una parte e statunitensi con Vietnam e Filippine dall’altra).

Anche a Nord di Taiwan i problemi per Pechino sono grandi, per la presenza di due alleati Usa come Giappone e Corea del Sud, dove gli Stati Uniti godono di una fitta rete di basi militari, organizzano esercitazioni congiunte e aumentano le forniture di armamenti. (https://www.ilsole24ore.com/art/corsa-riarmo-giappone-usa-nuova-commessa-militare-aerei-sorveglianza-AEV2me2C).
Le tensioni in quest’area hanno portato a un aumento delle spese militari da parte di tutti gli attori regionali, compresa la Cina.
La strategia di contenimento dell’espansione di Pechino ha avuto come conseguenza una spinta al rialzo delle spese per le armi a livello mondiale.

I primi 15 Stati per spese militari nel 2022

Le spese per la guerra statunitensi e cinesi sono in aumento anche per effetto dell’impulso delle alleanze strette dagli Usa per rafforzare la cintura anticinese nell’Indo-Pacifico: il Quad (Quadrilateral Security Dialogu) e l’Aukus (Australia, United Kingdom, United States Security Treaty) di cui abbiamo già scritto in occasione delle recensioni dei numeri di Limes su vitaminevaganti. Dopo aver chiarito l’origine del termine geografico Indo-Pacifico, reso noto dallo studioso tedesco di geopolitica Karl Hushofer, che lo utilizzò in molte sue opere negli anni ’20 e ’30 del secolo scorso e che, a partire dal 2010, è stato adottato da alcuni analisti geopolitici statunitensi, l’analisi del Giga si sofferma sul Quad, «un’alleanza informale tra Stati Uniti, Giappone, Australia e India, che, oltre ad ampliarsi fino all’Oceano Indiano, offre una visione geopolitica diversa rispetto al concetto di Asia-Pacifico. In sostanza il Quad consiste in un’ampia cintura di contenimento intorno alla Cina che attraversa parzialmente i due oceani in questione».
Lo scopo del Dialogo Quadrilaterale di Sicurezza (Quad), fondato nel 2007, è quello di costruire un “Arco asiatico della democrazia”. Nelle intenzioni dei fondatori avrebbe dovuto comprendere anche gli Stati centro-asiatici, la Mongolia, la Corea del Sud, il Giappone e altri del Sud-Est asiatico, «praticamente tutti i Paesi ai confini della Cina, ad eccezione della Cina stessa». La rivitalizzazione del Quad è avvenuta in seguito al vertice dei Paesi Asean (l’Associazione delle Nazioni del Sud Est Asiatico) a Manila del 2017 in cui venne stabilita una sinergia militare anticinese con i Paesi di questa organizzazione (Indonesia, Malesia, Filippine, Singapore e Thailandia, cui nel 1984 si è aggiunto il Brunei Darussalam, seguito dal Vietnam nel 1995, dal Laos e da Myanmar nel 1997 e dalla Cambogia nel 1999). Dal 2017 sono aumentate le esercitazioni e le forme di cooperazione congiunte che hanno contribuito a inasprire il confronto globale Usa- Cina, secondo la teoria di Hillary Clinton di un “Indo-Pacifico libero e aperto” in risposta alla ”Via della seta”. Come reazione a questo accerchiamento, Pechino ha rafforzato e ampliato lo Sco, l’Organizzazione per la cooperazione di Shangai, creato nel 2001 da Cina, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan, a cui si sono aggiunti, significativamente nel 2017, India e Pakistan, e nel luglio 2023 l’Iran.

In questo contesto sta acquisendo un nuovo status geopolitico anche il Giappone. Secondo il direttore di Limes Lucio Caracciolo, l’ex potenza imperiale rappresenta infatti «l’architrave del disegno strategico Usa nella regione», dopo avere abbandonato la sua politica non interventista e non militarista. L’articolo 9 della Costituzione nipponica, definita la più pacifista al mondo dopo la fine della seconda guerra mondiale, recita: «Aspirando sinceramente ad una pace internazionale fondata sulla giustizia e sull’ordine, il popolo giapponese rinunzia per sempre alla guerra, quale diritto sovrano della Nazione e alla minaccia o all’uso della forza, quale mezzo per risolvere le controversie internazionali»; nonostante ciò il governo giapponese, senza essere riuscito a modificare in alcun modo questo pilastro costituzionale, ha recentemente intrapreso una nuova corsa al riarmo in base a quanto stabilito dalla “Nuova strategia di sicurezza nazionale”. Il documento, pubblicato nel 2022, prevede «piani ambiziosi per aumentare la capacità militare del Paese nel prossimo decennio in risposta alle crescenti minacce percepite da Cina, Corea del Nord e Russia».

Il cambiamento di rotta in spregio al dettato costituzionale, peraltro imposto dagli Usa al Giappone dopo la sconfitta bellica, è stato pilotato da Washington in funzione del contenimento cinese ai bordi del mar Cinese Orientale.

Nell’ultimo decennio Tokyo ha aumentato le spese militari “solo” del 18%, come si evince dalla Tabella 1; lo scorso anno le uscite militari di Tokyo sono però salite a 46 miliardi di $, pari all’1,1% del Pil.

La Corea del Sud, l’altro alleato tradizionale degli Usa in cui dalla guerra di Corea (1950-53) si trovano otto basi militari statunitensi è, come il suo omologo del Nord, una delle zone più militarizzate del pianeta. Nonostante ciò, nel decennio 2013-22, Seul ha aumentato le spese militari di ben il 37%.
(continua)

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Articolo di Sara Marsico

Giornalista pubblicista, si definisce una escursionista con la e minuscola e una Camminatrice con la maiuscola. Eterna apprendente, le piace divulgare quello che sa. Docente per passione, da poco a riposo, scrive di donne, Costituzione, geopolitica e cammini.

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