La rivista statunitense Rolling Stone la pone al 46º posto della lista dei/delle 100 artisti/e più importanti della storia e al 28º della classifica del 2008 dei/delle 100 cantanti più importanti di tutti i tempi.
Riconosciuta e ricordata per l’intensità delle sue interpretazioni, nel 1995 è stata inserita nella Rock and Roll Hall of Fame e nel 2005 è stata insignita del Grammy Award alla carriera postumo.

Janis Lyn Joplin nasce il 19 gennaio 1943 a Port Arthur, in Texas, che lei definirà la sua “prigione natale”. La sua è una famiglia conservatrice: il padre è un ingegnere e sua madre, profondamente devota, canta nel coro della chiesa finché, durante un’operazione alla tiroide, per sbaglio le lesionano le corde vocali. Il suo pianoforte viene venduto. Quella che diventerà la regina hippy di Haight-Ashbury cresce immersa in principi cristiani di rinuncia e di astensione, la maggiore di tre fratelli. Scopre da subito la sua prima passione, i libri, iniziando a leggere da sola. Parallelamente coltiva l’amore per l’arte: da un lato la pittura e dall’altro, sin da adolescente, si avvicina al blues. Inizia a cantare nel coro cittadino e ad ascoltare artiste come Bessie Smith, Odetta e Big Mama Thornton, da cui probabilmente “eredita” quella voce graffiante e profonda che le varrà, più tardi, l’appellativo di “la donna che cantava con l’utero”. Resterà il legame profondo soprattutto con Bessie Smith, a tal punto che Janis le donerà una lapide nuova, poco prima di morire a sua volta.

Fin da ragazza, Janis si schiera contro il Ku Klux Klan e persegue gli ideali di uguaglianza, contro la pesante segregazione razziale, in quel periodo fortemente presente nello Stato del Texas. Gli anni trascorsi a scuola sono difficili per lei, bullizzata da compagni e compagne per il suo aspetto fisico e per il carattere fuori dagli schemi, oltre che per la sua notevole intelligenza. Uniamo questi primi due punti fondamentali della sua giovane vita per arrivare alla sua inossidabile passione per il blues: combatte al fianco del popolo nero che ha inventato e diffuso il genere musicale e prova, fin da ragazza, una malinconica sofferenza di emarginazione e non accettazione che solo un genere come quello dei “diavoli blu” le consente di narrare e, in chiave catartica, esorcizzare, diventando per lei il suo “kozmic blues”. Si diploma nel 1960 e passa al baccellierato in Arti liberali presso il Lamar State College of Technology di Beaumont. Da qui inizia una carriera di studi altalenante: resta iscritta al college fino al 1966. Pur frequentando solo 50 ore, nel 1965 sostiene con un profitto quasi massimo (99/100) una prova di esame in Problemi sociali. Viene poi ammessa all’Università del Texas ad Austin, ma non ha mai completato gli studi.

In questo periodo vive in un edificio comunemente chiamato “The Ghetto“, al 2812 1/2 di Nueces Street, per un affitto di 40 dollari al mese. Le cose non migliorano molto rispetto ai tempi del liceo: anche quelli dell’università non sono anni facili per lei, definita “l’uomo più brutto del campus”. D’altronde, dirà poi lei nel suo brano Kozmic blues: «Said you, they’re always gonna hurt you. I said they’re always gonna let you down. I said everywhere, every day, every day. And every way, every way» (Ho detto che ti deluderanno sempre. Ho detto ovunque, ogni giorno. E in ogni modo). Eppure, Janis trova un suo spazio espressivo e libero in cui muoversi: la scena musicale di Austin in quegli anni è brulicante di artisti e artiste dallo strabiliante genio creativo, nei generi come blues, rock, jazz, gospel. Al campus anche Janis inizia a cantare bluegrass, un tipo particolare di musica country, accompagnata da un duo di musicisti. Si esibisce al Threadgill’s, la mecca musicale di Austin, e ottiene un séguito importante: «Cantava il blues meglio di qualsiasi ragazza bianca che avessi mai ascoltato», dirà il proprietario del locale, Ken Threadgill.

Uno dei personaggi più in vista del Ghetto dell’Università di Austin è Chet Helms, che diventerà un leggendario organizzatore di eventi e impresario musicale di San Francisco. Quando Janis molla l’università, lei e Chet attraversano l’America in autostop fino a raggiungere proprio San Francisco. C’è Kerouac sulla “sua strada”: sono gli anni in cui le influenze beat giungono nei pensieri dei e delle più giovani e, quando possibile come accade per Janis, ne intercettano l’arte. Chet porta Janis ad esibirsi al Coffee & Confusion, dove canta a cappella quattro brani country-gospel, scatenando un’autentica ovazione e ben 14 dollari in monetine di mancia, che, tuttavia, non bastano a mantenersi in città, nemmeno integrandole con il sussidio di disoccupazione e con qualche occasione di taccheggio. Così, Janis ritorna a Houston per riprendere gli studi e per riprendersi da qualche eccesso con droghe e alcol ma viene presto ricondotta a San Francisco: la formazione californiana dei Big Brother and the Holding Company è alla ricerca di una vocalist e, su suggerimento di Helms che la incoraggia a farsi avanti, sceglie lei. Da questo momento comincia la sua vera ascesa musicale: incide e reincide brani di successo con i Big Brother, esibendosi in diversi concerti, la sua unica passione di tutta la frenetica macchina dell’industria musicale.

Giunge poi la partecipazione ad alcuni dei festival più importanti di quegli anni, tra cui il Festival Pop di Monterey, dove ottiene un trionfo con un’indimenticabile versione del brano Ball and Chain di Big Mama Thornton. In quell’occasione è l’unica artista ad essere richiamata a furor di popolo sul palcoscenico. E, naturalmente, arriva il Festival di Woodstock, che tuttavia non si rivela un gran successo per Janis, provata dall’abuso di alcol.
Nel 1969 inizia la carriera da solista e sceglie come gruppo d’accompagnamento la Kozmic Blues Band, con la quale pubblica I got dem ‘ol Kozmic Blues Again mama. Purtroppo, però, anche il rapporto con questa band viene rovinato dall’abuso di eroina e alcol e il gruppo si scioglie. Lei ci riprova: per un periodo si disintossica e forma ancora un’altra band, la Full Tilt Boogie Band, con cui lavora per la realizzazione del terzo album, Pearl, al quale si dedica con impegno e precisione, fino a registrare alcuni brani persino in un solo giorno. L’album uscirà l’11 gennaio del 1971 ottenendo un grandissimo successo, soprattutto grazie a Cry baby e Me and Bobby mcGee (cover di un pezzo di Kris Kristofferson), ma sarà postumo. Il 4 ottobre 1970, qualche mese prima, Janis Joplin viene trovata morta nella stanza di un hotel di Los Angeles. L’esame autoptico stabilisce una morte accidentale, causata da overdose di eroina. Il suo corpo viene cremato al Westwood Village Memorial Park Cemetery e le ceneri sparse nell’Oceano Pacifico.

L’iconografia e l’aneddotica di questa artista è vastissima: potremmo ricordare la sua Porsche dipinta da Dave Richards, con una bandiera americana insanguinata sul baule, i volti dei Big Brother e paesaggi fantastici. Il nome della macchina è Fantality, che combina fantasy e reality. O ancora segnalare che nel 1970 Janis Joplin è la prima donna dello show business a farsi tatuare, da Lyle Tuttle, il primo artista del tatuaggio psichedelico, con un cuore sul seno, un bocciolo su una caviglia e un braccialetto al polso.
Nello stile, in quella che sarà la sua immagine più matura, creata dopo i primi successi, grazie all’amicizia con la moglie di un componente dei Big Brother, Janis combina colori e tessuti tra abiti e accessori: il viola e il porpora, il rosa pastello, il verde pavone, indossa campanellini alla cintura e ai polsi. Iconici del suo look sono i sabot dorati, con il tacco a rocchetto. In alcune sue apparizioni catturano l’attenzione le piume verdi e fucsia che sovrastano i suoi capelli, un po’ capa indiana, un po’ omaggio ad un’altra grande artista, Etta James.

Janis Joplin ha percorso gli anni Sessanta con il suo blues irriverente e il suo stile sfrenato, il periodo che ha rappresentato nella sua vita ben più che un contesto di riferimento: per alcune e alcuni potrebbe trattarsi di un genio dalla vita sregolata, dedita all’inscindibile trio di sesso, droga e rock and roll, ma la sua biografia non racconta solo di una donna che ha sfidato i limiti imposti alla libertà sessuale e all’uso di sostanze sballanti. Anzi, di lei si dice che non amasse assumere sostanze psichedeliche per non perdere lucidità durante le sue performance e che si fosse autoimposta una regola, ovvero quella di non assumere mai eroina prima di una esibizione. La sua breve vita ci racconta di una ragazza che vagava nel suo vivere profondo all’interno della musica. Nel documentario L’altra faccia del rock – In ricordo di Janis Joplin del 1981, la voce narrante dice, fuor di retorica, che «senza di lei, il rock, la musica colonna sonora del nostro tempo, ma anche la musica più rivoluzionaria ed eversiva, non sarebbe mai diventata un’arte femminile».
Janis, con il suo blues della tartaruga, che ha seguito ed inseguito le artiste che l’hanno preceduta come grandi icone nella musica e nello stile, è diventata lei stessa sorgente di ispirazione per moltissime altre artiste dopo di lei.

Una artista di confine tra blues, rock, soul e jazz se n’è andata sul più bello, si direbbe. Si chiama “club 27” un gruppo (non musicale) di cantanti famosi/e che hanno perso la vita all’età di 27 anni. Tra loro: Jimi Hendrix, Jim Morrison, Kurt Cobain, Amy Winehouse e, appunto, Janis Joplin. Anche lei farebbe parte del gruppo degli eccessi, nello stile di vita, probabilmente, nello stile musicale, certamente. Buried alive in the blues, una delle tracce inserite in Pearl, è priva di voce, è solo strumentale, non avendo fatto in tempo a registrare il testo. Eppure il titolo dice molto più di tante altre parole, Janis: sepolta viva nel blues.
Qui la traduzione in francese, inglese, spagnolo.
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Articolo di Gemma Pacella

Nata a Foggia e laureata in Giurisprudenza con una tesi dal titolo “Il linguaggio giuridico sessuato: per la decostruzione di un diritto sessista”. Attualmente svolgo un dottorato di ricerca in Management and Law. Studio il femminismo che nel tempo e nello spazio attraversa la nostra civiltà.
